PROFESSIONE DI FEDEZ - IL RAPPER ORA HA LA SUA ETICHETTA E INSEGNA AI GIOVANI “COME NON FARSI FREGARE” - “L’ARTISTA NON PUÒ PIÙ PERMETTERSI DI FARE L’ARTISTA, E BASTA” - “FIGLI DI”: “LA CARRIERA TV DI FACCHINETTI NON È MERITATA”

Ha cominciato da solo, autoproducendo musica e video. “Ma non morivo di fame, ero media borghesia, che con la crisi è diventata piccola” - L’arte: “vinsi uno stage alla fondazione Arnaldo Pomodoro. L’unica cosa che mi è rimasta è che mi rubarono il motorino”...

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Edoardo Vigna per “Sette - Corriere della Sera

 

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In tv non si è mai visto, perché era «troppo "forte". Ma quando ho riunito la mia squadra di X Factor, ho messo i ragazzi davanti a una lavagna. "Come non farvi fregare", c'era scritto in alto. Era il titolo della mia prima lezione di "discografia": ho spiegato loro le edizioni, la Siae... L'avessero fatto a me, a suo tempo!». Ma perché, Fedez, prendersi la briga? «Perché la discografia è cambiata, è più veloce di un tic all'occhio. E non funziona più che partecipi a un talent e poi vendi la tua musica. La verità è che l'artista non si può più permettere di fare l'artista, e basta. Perché non dovevo spiegarlo, a quei ragazzi?».

 

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La vita di Federico Leonardo Lucia va veloce. A 25 anni, ha accumulato così tanta esperienza da poter fare lezione a dei coetanei su come va il mondo («Brutto, è un mondo brutto, in generale e quello discografico in particolare»). A modo suo, il rapper Fedez (che tutt'attorno, tra la madre Tatiana, che gli è accanto come un'agente, e i collaboratori stretti, chiamano sempre Federico) è la rivelazione del secondo semestre del 2014 (anche per noi, ormai, la vita è fatta di frammenti più brevi di un intero anno).

 

Ha vinto tre dischi di platino (oltre 180mila copie, un'enormità in questi tempi di mercato); sul suo "canale" di YouTube conta più di 765mila persone. Dalla fine dell'estate, è riuscito in varie imprese: a firmare l'inno del Movimento 5 Stelle e finire di conseguenza nel mirino di mezzo Pd per le parole sul presidente Napolitano («La polemica non finirà, perché un ragazzo che arriva senza spinte e riesce a dire quello che pensa, non può andar giù», precisa), ma anche a diventare uno dei cantanti italiani più cliccati (in un mese, il singolo Magnifico in duetto con Francesca Michielin è stato visualizzato da 10 milioni di persone).

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Soprattutto, è stato il vero trionfatore di X Factor, piazzando entrambi i finalisti, per di più "imponendo" il suo corpo pieno di tatuaggi dal collo in giù -, e decorato di piercing dal collo insù -, al pubblico del talent di Sky (appena terminato) che quando l'ha visto apparire al tavolo dei giudici, con Mika, Morgan e Victoria Cabello, un salto sul divano l'ha fatto di sicuro.

 

«Se la gente incontra un rapper, lo saluta ancora con il gesto stereotipato di Spiderman che si lancia dai palazzi. Sapevo di portare un'immagine che non c'entrava con la trasmissione. E poi tutti pensavano che fossi un cafone. Io, in effetti, volevo andare lì preparato, senza sbagliare una virgola. Ma le persone che ora collaborano con me mi hanno convinto a essere "io"».

 

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La sua Generazione Boh, Ha funzionato. Ancora, come ormai ogni sua mossa. I ragazzi lo amano (Sara, osservandolo in posa per questo servizio fotografico al Museo del Novecento di Milano: «Mamma mia, quanto è bello!»; «Possiamo ammirarlo un attimo?», implora l'amica Nadia). Lui, con gli italiani d'ogni età, non è tenero: Generazione televoto coi cervelli sotto vuoto/sempre più risucchiati dal televuoto, canta nel nuovo Generazione Boh, dell'album Pop-Hoolista.

 

Ai ragazzi, però, tende la mano: Voi parlate spesso dei giovani/ma troppo poco con loro, scrive in Nuvole di fango (cantato con Gianna Nannini). «Ho 25 anni, non ho idea del perché i genitori non capiscono i figli. Ma penso che sia un cane che si morde la coda: i più anziani tendono a svilire i giovani semplicemente perché loro hanno un "vissuto" che i ragazzi invece si stanno creando. Tutte le generazioni nuove vengono viste come svogliate e meno intraprendenti, è sempre andata così. O no?».

 

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Sì, però... «A ogni modo, io non posso essere il portavoce del disagio dei giovani». In tanti vogliono appioppargliela, questa etichetta. «Col mestiere che faccio, e la fortuna che ho avuto, il disagio non lo vivo più! Coi miei coetanei ho però in comune il fatto d'avere avuto una vita normale, da non privilegiato, da ragazzo del popolo. Attenzione, non voglio passare per ciò che non ero: non morivo di fame, non vivevo nelle case popolari. Ero "media" borghesia (a Corsico, periferia di Milano, ndr), che con la crisi, ora, è "piccola"».

 

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Con Fedez va così. Lo guardi, tatuato («Il tatuaggio è arte: uno preferito? No, ma ce ne sono diversi che mi fanno schifo...») e perforato, e ti ricorda che di recite di Natale non ne ha fatte mai, ma «una figuraccia storica, a un saggio in seconda media, con la chitarra che non suonava, sì!».

 

Quando ti sembra di averlo afferrato, fa uno scarto e ti spiazza. L'Italia dei giovani, però, l'ha vista bene, anche dall'osservatorio di X Factor, fra concorrenti e aspiranti. «Macché: in tv l'umanità viene uccisa. L'ho verificato con i miei occhi: questo è un luogo fatto di personaggi, e non di persone». Una cosa, però, l'ha sorpreso: «Vedere ragazzi molto più competenti di musica di quanto non fossi io, che voglio tutto subito». Una generazione che s'impegna: positivo, no?

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«Sento spesso parlare di cultura», teorizza Fedez, «"L'ignoranza non porta a niente", disse Morgan (quando cita qualcuno, usa il passato remoto come un "ipse dixit", ndr). Io sono della sponda opposta. Senza l'ignoranza, senza il disagio popolare, se avessimo avuto solo Bach e Mozart, non avremmo avuto i cantautori, il rap e altri generi musicali che sono partiti dall'ignoranza. Chi dice che bisogna studiare musica viene da una situazione agiata. Sfido chiunque a trovare una famiglia di classe medio-bassa che possa mandare con serenità un figlio al conservatorio: un lusso, non perché costi tanto, ma perché è un'incognita, non come un istituto tecnico che ti dà una formazione professionale, e ti manda a trovare un lavoro».

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Elogio dell'ignoranza, dunque. Della tabula rasa. Salvo poi, però, fermarsi ammirato nel museo che ci ospita davanti all'opera Schema luminoso variabile di Grazia Varisco. Arte cinetica contemporanea. «Andavo all'artistico, che non ho finito, ma ero decentemente bravo, seppure senza il talento di altri nel disegnare. A 16 anni ho vinto un concorso, fra tutti i licei di Milano, per uno stage alla Fondazione Pomodoro. Bisognava interpretare le opere concettuali di Kounellis, che erano veramente difficili: librerie con dei quarti di bue, macchie a inchiostro con delle sedie. Mi andò di c...! Un mese di lavoro. Gratis naturalmente. Arrivava Arnaldo Pomodoro, dovevi dire: "Salve, Maestro". L'unica cosa che mi ha lasciato è che mi rubarono il motorino...».

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Qualcosa il liceo gliel'ha lasciata. «M'interessa tutta l'arte contemporanea. La "concettuale", da Duchamp in poi, è un po' reiterata», "sgarbeggia". «Mi sono appassionato alla "non arte", alla Street Art, che poi è stata considerata arte pura quando s'è creata un'economia intorno. Come in tutto il mercato dell'arte».

 

Che ha ispirato il suo primo album. «Sono affascinato da chi riesce a dare una parvenza di talento anche quando non ce l'ha. Come nella musica: pensare che una band come i Sex Pistols si mettevano le spillane con le svastiche senza sapere minimamente cosa significassero ma sono riusciti a farsi consacrare anche da critici musicali e intelligentsia... Vuol dire che il marketing è arte tanto quanto l'arte stessa».

 

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A 25, la biografia è così breve da dire tutto di te, senza nascondere nulla, compresi "contraddizioni e vizi" (come canta lui). Federico-Fedez, al tempo del liceo, va incontro ai suoi bivi, sceglie la sua strada. Un percorso per molti versi unico. «Io devo quello che sono ai centri sociali anche se adesso non ci posso andare, non sarei accolto bene, mi vedono "imborghesito". Oggi appaiono "quelli che sfondano il parabrezza a Salvini", ma non sono solo questo. A me hanno dato l'opportunità dì esprimermi quando non esisteva via di mezzo fra la Milano Bene e quella dei centri sociali, di capire che c'è un mondo che non è per forza opulenza e ostentazione».

 

La prima volta che c'entrò? «A 15 anni, al Cantiere di Milano. Per partecipare a un contest di freestyle, bastava un'offerta libera, non dovevi essere "figlio di" (concetto che tornerà più avanti, ndr), non dovevi "vestirti", come dicevano loro. Ricordo le slam poetry, gare di poesia fatte spesso dai senzatetto: io ero anche in giuria e davo 10 a tutti. Per assurdo, nei centri sociali, dove in teoria ti droghi e vai a picchiare la gente, non ho mai fatto uso di stupefacenti, e invece mi confrontavo, andavo alle manifestazioni, m'informavo. il mio primo contatto con le droghe l'ho avuto con i luoghi "civilmente" riconosciuti come le discoteche: per fortuna il mio fisico e la mia testa non reggono e le mie esperienze sono state fulminee».

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Un'epoca tramontata. I centri sono stati chiusi o li stanno sgombrando. «A Milano sono cambiate tantissime cose. In peggio. E non ci sono più luoghi di aggregazione. Oggi, 3-4 volte l'anno vado in discoteca: da una parte c'è il recinto in cui ci sono le persone ricche e importanti e dall'altra c'è la platea, che guarda quelli che stanno dove loro non possono stare, con gli altri che si fanno guardare. È tutto un invidiarsi».

 

La questione dei 'figli dl". Allora come oggi, per i giovani, è difficile individuare i punti di riferimento: però, l'etichetta discografica creata da Fedez col collega J-Ax, Newtopia, cita John Lennon. «La cosa più facile è fare grandi nomi: Gandhi, lo stesso Lennon, poi magari Lou Reed. Fa sempre figo. Passi per una persona di alta cultura. In realtà li ho tutti riscoperti poi, quando ho cominciato questa professione. Ma in realtà sono cresciuto con l'arrivo del post-punk: su tutti i Blink-182. Una band che ha fatto della semplicità la propria arma e che ha creato musica pur senza avere grandi musicisti, a parte il batterista. Per molti è un limite, ma per me non lo è».

 

J AX J AX

Anche Fedez va da sé non conosce la musica. E se c'è una cosa di cui è orgoglioso, è di essersi costruito il successo "tutto da solo". «Sarei dovuto andare a lavorare. Non avendo i mille euro da dare a un regista per un video, mi comprai una macchina fotografica da 500 euro, mi chiusi in casa e guardando i tutorial ho imparato a fare final cut ed effetti vari, a montare i video da solo, che sono ancora online, con 15-20 milioni di visualizzazioni. Da li è nato il primo disco e il successo. Poi ho messo un secondo disco in free download, sempre da solo. Non ho mai avuto nessuno sopra e nessuno sotto». La fatica di farcela, da solo, lascia anche scorie.

 

«Se devi sbagliare, è meglio farlo con le proprie idee», ribadisce. Ma un "limite" se lo riconosce. «Tutti hanno grandi pregiudizi, qualcosa di oscuro nel profondo della propria anima. Io ce l'ho verso i "figli di". È possibile che ne esista qualcuno che faccia bene il proprio lavoro, ma su questo non riesco proprio a passarci sopra... Come Francesco Facchinetti (figlio di Roby, dei Pooh, ndr)». Cos'ha di sbagliato? «So che cosa sta facendo, lavorativamente, qualcosa di molto simile a quello che sto cercando di fare io...». Sospira, ironico.

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«...Ma non si può non riconoscere il fatto che sia stato molto più fortunato di me, e che la sua carriera tv non è stata meritata. Se guardo Alessandro Cattelan, vedo talento e perseveranza. Con Facchinetti vedo solo suo padre». Le occasioni, comunque, bisogna saperle cogliere. «Senza manager, subito ho avuto la fortuna di cavalcare un mio interesse: la politica, la società», continua a raccontare.

 

«E di traslarlo nelle canzoni in un momento in cui questi temi non c'erano tanto, nel mio ambiente. Tramontava il berlusconismo, c'era un'atmosfera di euforia, di "possiamo farcela"; e anche l'inizio del Movimento 5 Stelle, con in piazza tanta gente in più rispetto ad adesso». Era il 2008. «Mentre gli altri rapper firmavano per le major, che poi è l'obiettivo di tutti perché si pensa che ci siano grandi soldi, dissi a me stesso: faccio il contrario. Se un mercato si satura, il vuoto dall'altra parte va riempito. Tutti vendevano, io regalavo online. Così ho fidelizzato il pubblico più degli altri, e mentre tutti si godevano le luci della ribalta, e prendevano dischi d'oro, nessuno mi cagava, in tv e sui giornali. Però vendevo più dischi a mano, facevo più biglietti ai concerti di chi stava con le etichette. Poi ho firmato io, sotto major. E sono arrivato vendendo più di tutti».

Francesco Facchinetti Francesco Facchinetti

 

Fino a che ha creato la propria casa discografica.

Consigli su WhatsApp. Così si approda a X Factor. E alla lavagna della "lezione". Ti faccio vedere», dice, aprendo WhatsApp. «Vedi, questi messaggi li ho scambiati con Riccardo Schiara, il primo eliminato». "Ciao Riccardo, l'ultima settimana forte... sono molto contento del messaggio", legge. «Mi aveva ringraziato... Gli ho detto: "Muoviti, fai un video subito, se vuoi cavalcare l'eco di questa cosa". Lui non sapeva come fare, gli ho trovato un produttore gratis».

 

Il messaggio di Fedez - ora audio - continua: "Chiede il pezzo che vuoi fare, e il giorno in cui devi andare. Se poi vuoi dei consigli, fammi sapere". «Lo dico a tutti», spiega il rapper, «quando uscite non firmate con nessuno, tanto quelli che vengono da voi era gente che andava di moda 10 anni fa e ora non ha niente. Si firma solo in cambio di soldi». Parla ormai da discografico: «Sto cercando di affermarmi. Il prossimo anno ci butteremo nel mercato "mainstream", vogliamo produrre dischi che vendono sopra le 30mila copie con gente che parte da zero. Lorenzo Fragola era un diamante che andava solo aiutato a risplendere, con Madh (i due finalisti "allevati" da lui nel talent di Sky, ndr) abbiamo portato in tv cose mai sentite... Non sarà alto e blasonato, ma di quella roba lì non ce ne frega niente, stiamo parlando di musica che deve vendere».

FRANCESCO FACCHINETTI FRANCESCO FACCHINETTI

 

È business, ora. La lavagna. Quando ti sembra di aver capito, Fedez scarta un'altra volta. «Tutti i discografici che stanno lì dietro, chissà che cosa gli diranno: ma loro hanno imparato a ragionare con la loro testa». Quella che lui ha cominciato a far funzionare occupandosi, anche con le sue canzoni, di politica. O reagiamo o ci troviamo a cucire l'orlo del baratro/ E a quel punto i rimorsi faranno più male dei morsi, canta in Generazione Boh. «È fondamentale sapere chi ci circonda. Sapere è potere, parte tutto da lì. Io vengo da una famiglia che la pensa diversamente da me, che è sempre stata di destra, ma i miei non mi hanno mai imposto le loro idee. È così che ho capito che la verità sta nel mezzo, che le fazioni sono morte, e che bisogna attivarsi».

 

GIANNA NANNINI GIANNA NANNINI

Ma lui l'ha mai fatto? «Al tempo dei centri sociali, con il giornalista Piero Ricca: si andava dai politici, da Vespa, da Sgarbi, a elencare il loro curriculum giudiziario. Oltre a me, c'era un sacco di ragazzi: io ricordo la contestazione a Minetti e Carfagna. Si chiama "cittadinanza attiva", e non è politica, che in questo momento sa solo parlarsi addosso, mentre dovrebbe affrontare i problemi. Da quanto si chiacchiera di articolo 18, e invece non si fa niente?».

 

Già, ma forse a "reagire", dovrebbero essere i giovani, che sembrano più interessati alla musica.. «Io ho avuto successo con un cd che parla di politica, quindi .. Il fatto è che se la rendi pesante, la politica, fai di tutto perché non siano interessati». Vabbè, ma non è che debbano avere sempre la pappa pronta. «E in che modo dovrebbero "reagire"?». Si irrigidisce.

GIANNA NANNINI IN TOPLESS GIANNA NANNINI IN TOPLESS

 

«Ti dico una cosa: nel '68 la gente scendeva in piazza a protestare, adesso, quando un ragazzo si permette di spaccare un vetro, viene condannato, giustamente, perché viviamo in un mondo civile... Ma se non vengono date opportunità dalle istituzioni a chi scende in piazza, che invece viene etichettato come violento, qual è la soluzione? La protesta civile non viene nemmeno visualizzata... E comunque, ci sono giovani come Mattia Calise, del M5S, che ha la mia età ed è nella gestione del Comune di Milano. Giovani che agiscono, in concreto... se poi non li si vuole vedere...».

 

Parole di lotta dura. Ma Fedez scarta, ancora. Come quando gli chiedi un "motto" di vita che gli è rimasto in mente, ti cita Kurt Cobain, il mitico leader della band dei Nirvana, suicida 20 anni fa: «Diceva: "Potrai anche cagare sul palco, ma se dai un marchio, per loro resterai sempre un mito"». Perché la vita davvero corre veloce. Più veloce di un tic all'occhio.

 

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