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UNA SETTIMANA FA PRINCE FU RICOVERATO IN OSPEDALE IN ILLINOIS PER UN’OVERDOSE DI EROINA E NON PER UN’INFLUENZA COME INVECE AVEVA DICHIARATO IL SUO MANAGER - L'ARTISTA FU SOTTOPOSTO AD UN TRATTAMENTO URGENTE MA ALLA FINE DECISE DI LASCIARE L'OSPEDALE

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1 - PRINCE: TMZ, RICOVERATO PER OVERDOSE UNA SETTIMANA FA

(ANSA) - Una settimana fa Prince fu ricoverato in ospedale per una overdose di oppiacei e non per una banale influenza come invece dichiarato dal suo manager. Lo sostiene Tmz, il sito che ieri ha dato per primo la notizia della morte della popstar. Il ricovero di cui si parla risale al 15 aprile scorso, quando l'aereo privato di Prince fece un atterraggio d'emergenza in Illinois, di ritorno da un concerto ad Atlanta, e l'artista fu ricoverato d'urgenza.

 

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Lo stesso Tmz in quell'occasione parlò, citando il suo manager, di un ricovero di qualche ora dovuto al peggioramento di un'influenza con la quale Prince era alle prese da qualche giorno. Invece, sostiene il sito di gossip, Prince fu sottoposto ad un trattamento urgente (tecnicamente il 'save shot') per una overdose da oppiacei. I medici avrebbero voluto trattenerlo in ospedale per qualche giorno, sostiene ancora Tmz, ma non essendo disponibile una stanza privata l'entourage del cantante ha chiesto di farlo dimettere.

 

2 - LA RIVOLUZIONE A COLPI DI POP DELL' ARTISTA «SENZA NOME»

Tommaso Labranca per “Libero quotidiano”

 

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Adesso l' icona è perfetta. Mancava solo quell' ultimo elemento, the early grave, una morte arrivata troppo presto, ma che è la via d' uscita migliore per chi non deve mai invecchiare tra gli acciacchi. Sulle icone la biologia non può agire come fa con comuni mortali. Prince se ne è andato a 57 anni, dopo qualche piccolo segnale di malessere nei giorni scorsi. Se ne è andato per un' influenza, come se fossimo ancora nel 1918, ai tempi dell' epidemia di spagnola.

 

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I dietrologi discuteranno molto di questa influenza, a caccia di virus reconditi, vizi inconfessabili. È lo scotto che devono pagare le icone: essere divorati dai paparazzi e dai fan invadenti quando sono vivi, essere al centro di misteri che magari nemmeno esistono dopo la morte. Prince poi amava diffondere notizie contrastanti su di sé quando parlava con i giornalisti. La sua bufala migliore era la presunta origine italiana.

 

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Prince non era un nome d' arte. Si tratta di un nome molto diffuso tra gli afro-americani. Però nel caso di Prince Rogers Nelson era stata una predestinazione. Piccolo, 159 centimetri mistificati da tacchi altissimi che, si spettegolava, lo costrinsero a farsi operare a un' anca. Un bottiglino di genio che sulla scena appariva carismatico e imponente come un calciatore di football americano.

 

Prima di esplodere in tutto il mondo nel 1984 con il disco e il film Purple Rain, aveva già inciso diversi album, tra cui lo straordinario 1999, suonando tutti gli strumenti, scrivendo, arrangiando, producendo. Talmente convinto di sé, non ha mai avuto paura di cadere nel ridicolo. Quanti, con il suo fisico minuto avrebbero sfidato le ironie del mondo mostrandosi nudi e in posa sensuale come fece lui sulla copertina dell' album Lovesxy? E molte lo hanno trovato sexy e hanno avuto flirt con lui, da Apollonia a Madonna, a Kim Basinger.

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Pochi, dopo aver tanto faticato per imporre al mondo il proprio nome, sceglierebbero di cancellarlo, di presentarsi con un simbolo o una sigla, TAFKAP, iniziali della frase inglese che significa «L' Artista Precedentemente Noto Come Prince». Lui lo fece. Poi intitolò un disco con un glifo vagamente alchemico che non poteva essere pronunciato in nessun modo. Un passo timido se confrontato al Black Album, tutto nero, senza un vero titolo, senza una scritta, una tracklist.

 

Non erano vuoti capricci da star, ma il modo in cui Prince conduceva la sua lotta contro l' ex casa discografica che continuava a sfruttare i suoi inediti. Disse: «Prince è il nome che mi ha dato mia madre quando sono nato. La Warner Bros lo ha preso e ne ha fatto un marchio commerciale. Sono diventati padroni del mio nome e mi hanno usato come una semplice pedina che doveva solo portare più soldi nelle loro casse».

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Piccolo, ma tremendo. Prince è stato l' artista che forse più di tanti altri ha difeso con i denti il proprio lavoro dallo scempio che ne viene fatto ogni giorno su Internet, arrivando a litigare con i suoi stessi fan club. E quelli, invece di andare a vendere i dischi in un negozio dell' usato e scegliersi un altro idolo, hanno risposto a colpi di avvocati perché non potevano rinunciare a Prince, alla sua musica, ai suoi show, ai suoi mantelli, ai suoi trucchi, tacchi, tarocchi. Un' icona è così, quando ti entra sotto la pelle non puoi più farne senza. Nemmeno quando un' influenza te la porta via.

 

3 - QUEL PICCOLO FOLLETTO CHE SUL PALCO DIVENTAVA UN GIGANTE

Gino Castaldo per “la Repubblica”

 

mayte garcia e prince mayte garcia e prince

La cosa che ti colpiva di più quando lo incontravi era la sua piccolezza: uno gnomo, minuto, la faccia da cerbiatto con l' occhio sornione e allungato di un cartone animato. Piccolo, sì, quasi indifeso, ma quando saliva sul palco diventava un gigante, un vulcano di musica. Prince non era un musicista, era la musica in sé, un prodigio che trasudava creatività, ritmo, sensualità, e che solo per frettolose catalogazioni è stato interpretato come un miscelatore di generi.

 

Non li mescolava come uno scienziato in laboratorio, li usava con naturalezza, come un pittore che usa colori a piacimento, fossero le fluttuazioni del jazz, le chitarre lancinanti del rock, i coretti soul, i ritmi primitivi o elettronici, danze e scintillanti psichedelie. E lo ha fatto fin da quando a soli 20 anni (1978) si è prodotto il suo primo disco, For you, cadenzando la sua ascesa con un disco l' anno, fino al primo vero exploit, l' album 1999 (era il 1982), dove il genio in crescita immaginava un' elettrica e dislocata fine di millennio che sembrava il vero e unico party del futuro.

 

manuela testolini e princemanuela testolini e prince

Prince era prorompente, inarrivabile, un caleidoscopio inafferrabile di segni bianchi e neri, soprattutto quando imparammo a conoscerlo dal vivo, quando se ne uscì con Purple rain (1984), quel lungo interminabile parlato che incantava fino a scoppiare come un orgasmo nel ritornello che si cantava in coro, e poi soprattutto quando nel 1987 incise e portò dal vivo una vera e propria opera: Sign o' the times.

Era davvero il segno dei tempi, una fantasmagoria di coreografie, un folle ritmo di invenzioni e movimenti che stordiva, lasciava senza fiato e trasmetteva energia, piacere, ricchezza.

 

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Il piccolo minuto principe dominava la scena, padroneggiava il suo multilinguaggio con una naturalezza sorprendente, grande performer, ma nello stesso tempo insuperabile regista, leader, capobanda. Blandiva, ammiccava, trasgrediva, era sboccato, una linguaccia sempre pronta allo sberleffo e soprattutto a immaginare una costante militanza a favore della libertà sessuale, o meglio della libertà in tutti i sensi. Si usciva da quei concertirigonfi di energia.

 

E poi ancora Lovesexy, Graffiti bridge, e anche un disco senza scritte e segni di alcun tipo, il cosiddetto "black album", per portare fino in fondo la voglia di uscire dagli schemi, di liberarsi dai vincoli discografici, di dare battaglia, di rinunciare addirittura al suo nome, sostituendolo con un simbolo, pur di non essere schiavo, di proprietà di qualcun altro.

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Sono anni complicati, il Prince degli ultimi anni Novanta e primi Duemila si confonde, produce tanti dischi (39 in totale nella carriera), spesso in sordina, in molti ne perdono le tracce, tranne poi ritrovarlo in tour esplosivi e devastanti, scorribande funky mozzafiato, e poi ancora, di tanto in tanto, con la voglia di ricantare le sue canzoni più belle. Ora il vulcano si è spento. Sembra impossibile.

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