ape musicale

UNO SGUARDO DA PONTE  – IL TEATRO DI CAGLIARI CELEBRA IL GENIO LIBERTINO DI LORENZO DA PONTE, L’EX EBREO, EX PRETE, EX LIBRETTISTA DI MOZART ("COSI' FAN TUTTI" SCODELLA LO SCAMBISMO), EX ITALIANO DIVENTATO AMERICANO - IN SCENA VA "L’APE MUSICALE", UN GOLOSO 'PASTICCIO' SU LIBRETTO SUO E MUSICHE DI AUTORI ALLA MODA - VIDEO

 

Alberto Mattioli per la Stampa

 

Il poeta inzucchera per bene il suo pubblico: «Quanto cortesi, generosi e umani / sieno questi isolani / tu, ed io lo sappiam». Chi tiene a farlo sapere anche a noi è Lorenzo Da Ponte e «le isole», ovviamente «fortunate» nel suo librettese, sono in realtà la penisola di Manhattan. Da Ponte ci si stabilì nel 1805, in fuga da Londra e soprattutto dai creditori, penultimo capitolo di una vita che supera per avventure e colpi di scena qualsiasi sceneggiatura di serie tivù.

 

L’ultimo, il vecchio avventuriero lo vivrà appunto negli States, dove sarà primo professore di Letteratura italiana alla Columbia non ancora University ma solo College, impresario teatrale, libraio, scrittore e protettore di una nipotina, giovin principiante del canto.

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A New York Da Ponte sarebbe anche morto, nel 1838, dopo aver scritto delle «Memorie» piccanti quasi come il suo teatro e aver ottenuto la cittadinanza Usa, primo di una lunga serie di italoamericani di successo . Nel 1830, per il Park Theater, l’ex ebreo, ex prete, ex librettista di Mozart ebbe l’idea di rinfrescare «L’ape musicale», un «pasticcio» su libretto suo e musiche di autori alla moda che aveva scritto per Vienna più di quarant’anni prima.

 

Classica opera sull’opera, melodramma al quadrato, pirandelliano teatro nel teatro musicale, secondo una lunga e illustre tradizione destinata a prolungarsi almeno fino a Britten (ma l’anno scorso anche l’indegno soprascritto ha scritto un libretto d’opera d’argomento operistico, quindi l’uso di beffarsi del melodramma scrivendone uno esiste e resiste), «L’ape» mette in scena un cantante, un poeta e un impresario che aspettano ansiosi lo sbarco in America della primadonna per poter cucire sulla misura delle sue arie preferite («di baule», si diceva allora) un centone di autori vari, appunto (sempre il gergo dell’epoca) un «pasticcio».

 

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L’attesa diva era, guarda caso, Giulia Da Ponte, vispa nipotina del vecchio avventuriero che, secondo le memorie dello zio, «oltre il pregio d’una bellissima voce e di molte leggiadre qualità personali, possedeva il merito singolare d’un canto toccante e pieno di espressione e di verità». Del resto, aveva studiato con il tenore Antonio Baglioni, primo Don Ottavio e primo Tito di Mozart. 

 

Certo, rispetto ai bei tempi viennesi c’era stato l’avvento di Rossini, il più clamoroso dell’intera storia del teatro musicale. Il tornado rossiniano aveva spazzato via tutto e tutti. Così, «L’ape» di Da Ponte succhia il nettare quasi unicamente dai fiori rossiniani, con qualche inserto di Cimarosa, Zingarelli, Generali e Salieri per evitare l’«one man show». Non pervenuto, guarda caso, proprio Mozart. Francamente, quello dell’«Ape» non è il maggior Da Ponte, e al libretto mancano il sarcasmo corrosivo e impertinente di quelli viennesi. Però il lavoro di ricostruzione della versione americana realizzato di Francesco Zimei è interessantissimo (è uno di quei casi in cui il saggio sul programma di sala è altrettanto importante che lo spettacolo) e l’oretta e mezza di operina piacevolissima, anche se più per merito del divino Gioachino che dell’abate Lorenzo.

 

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A Cagliari il Lirico l’ha collocata al teatro Civico di Castello, cioè il fu teatro d’opera cittadino sventrato dalle bombe americane nel 1943 e diventato, dopo un restauro bizzarro, una piccola sala a cielo aperto, quel genere di teatrini piccini picciò dove sei a pochi centimetri dagli artisti e basta allungare una mano per verificarne le qualità non solo canore. «A mo’ di prologo», «L’ape» è stata anche preceduta dalla prima esecuzione assoluta di «Bridges», delle «Rimembranze americane» di Antonio Marcotullio, un brano che di rimembranze non ce ne ha lasciate moltissime.

 

Poi finalmente è iniziato il Da Ponte yankee e si è subito capito che lo spettacolo funzionava. Il regista, Davide Garattini Raimondi, ha deciso di prendere alla lettera le «isole» di cui straparla il libretto e di ambientare quindi tutta l’opera in spiaggia, fra ombrelloni, salvagenti, gommoni, pagaie, materassini, cabine e tante gag. Ne è nato uno spettacolo balneare e spiritoso, vivace e vacanziero, insomma perfetto per le circostanze. 

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Musicalmente le cose sono andate meno bene ma non male, con un giovane direttore, Alessandro Palumbo, dal braccio sicuro anche se magari ancora non raffinatissimo. Orchestra forse troppo nutrita, coro certamente sì e per di più impreciso nel canto e rumoroso negli spostamenti, e compagnia di giovani, che è una falsa buona idea perché queste opere richiedono in realtà artisti d’esperienza. I più maturi sono parsi il baritono Daniele Terenzi e il tenore brasiliano Anibal Mancini, tranquillamente esportabili su palcoscenici più impegnativi.

 

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La primadonna Beatrice Mezzanotte ha diverse belle qualità ma purtroppo non quella di un registro acuto sicuro. Divertenti anche Salvatore Salvaggio e Mauro Secci. Moltissimi applausi da parte di un pubblico poco numeroso soltanto perché poco il teatro può ospitarne. Però lo spettacolo andrà poi in tour in diverse località della Sardegna. E ci sono modi decisamente peggiori di passare una serata d’estate.

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Da segnalare poi che le prime recite dell’«Ape muiscale» si sono incrociate con le ultime, al teatro Lirico «vero», del «Ballo in maschera» di Verdi (nella foto di Priamo Tolu), segno di una buona salute produttiva della Fondazione cagliaritana. È uno spettacolo di Lorenzo Mariani che il pubblico torinese conosce perché debuttò a suo tempo al Regio: molto tradizionale e «tranquillo» con qualche lieve eccentricità poco giustificata. Compagnia di solida routine, dove spicca l’Oscar mozartiano e raffinatissimo di Eva Mei. Per nulla di routine, invece, la bellissima direzione di Gérard Korsten, verdianissima per asciuttezza, senso del teatro, tenuta drammatica. L’Orchestra, fra l’altro, ha suonato benissimo e anche il Coro si è riscattato della prova infelice della sera precedente. A volte, per fortuna, nei teatri italiani coi sempreVerdi succede così.

 

 

 

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