cosimo pagnani big foto

SOCIAL KILLER - MADDAI, FACEBOOK CHE BANNA DAGOSPIA PER LA VISIONE DI UNA TETTA E POI DA’ OSPITALITA’ A TIPINI FINI CHE ANNUNCIANO NEL LORO PROFILO DI AVER AMMAZZATO LA MOGLIE “TROIA”, SUBITO FESTEGGIATA DA TANTI “LIKE”!

1. QUEGLI APPLAUSI SU FACEBOOK SOTTO L’ULTIMO INSULTO ALLA VITTIMA

Stefano Rizzato per “la Stampa

 

Cosimo Pagnani FacebookCosimo Pagnani Facebook

Per molti è stato solo humour nero. Un clic d’ironia macabra e cinismo. Per provocazione, o senza pensarci troppo su. Ma c’è anche chi ha cliccato perché approva, per solidarietà verso un uomo che uccide una donna. Nella bolla del Web, dietro a uno schermo e a una tastiera, vale tutto. Anche applaudire, davvero o per ironia, davanti a un omicidio.

 

LA MOGLIE DI COSIMO PAGNANI LA MOGLIE DI COSIMO PAGNANI

Così quando Cosimo Pagnani ha annunciato su Facebook l’uccisione dell’ex moglie Maria D’Antonio, le sue parole hanno riscosso oltre 300 «Mi piace». Tre parole d’odio cieco - «Sei morta troia» - affidate alla Rete alle 19,38 di domenica sera. Poco prima di finire l’ex a coltellate, a Postiglione, Salerno, oppure poco dopo. Ma questo solo l’assassino potrà chiarirlo, magari già nell’interrogatorio di oggi. 

Pagnani, 32 anni, è stato arrestato in flagranza di reato domenica stessa. E verso le 12 di ieri le sue raggelanti parole e il suo profilo sono stati rimossi da Facebook. Ma non sono spariti: altri utenti li avevano salvati sul computer. Così si è scatenato il dibattito. E proprio su Facebook è spuntata una pagina che - senza mezzi termini - invita a smascherare «le merde che hanno messo “mi piace” allo status di Cosimo Pagnani». 
 

BACHECA FACEBOOK DI COSIMO PAGNANIBACHECA FACEBOOK DI COSIMO PAGNANI

«Ma io l’ho messo perché mi ha stupito l’idiozia della persona e mi ha molto colpito che un atto del genere fosse stato pubblicato su Facebook», obietta in privato Mauro (nome di fantasia). Uno di quelli che hanno cliccato così, tanto per fare. «Commettere un crimine - prosegue - è già grave, figuriamoci metterlo sui social. Se ci fosse qualcuno che l’ha fatto per solidarietà, gli direi di farsi curare. Ma non credo ce ne siano». A scorrere nomi e profili lo si capisce: tra quei «Mi piace» a essere prevalente è un misto di cinismo e superficialità.

 

«Perché fa ridere il fatto che si uccide qualcuno e poi lo si scriva su Facebook», ci spiega un altro. Ma c’è anche chi ha sfruttato il caso solo per stuzzicare, come l’utente che si fa chiamare Zazzakka: «In verità io sono un “troll” (un provocatore digitale) e l’ho fatto per tirar fuori il peggio delle persone, che poi iniziano a incitare la morte e cose varie».

COSIMO PAGNANI COSIMO PAGNANI

 

Eppure non tutti i «like» erano goliardici. In Rete, come nella realtà, si trova di tutto. Anche chi ha voluto esprimere solidarietà a Cosimo Pagnani e al suo folle gesto. I primi sono stati un paio di familiari e amici dell’assassino. Poi sono arrivati anche altri, solidali con l’uomo abbandonato dalla sua donna e stufi di un mondo nel quale «è sempre il marito ad andarci di mezzo». 
 

E qui siamo dentro un filone di successo: quello degli specialisti dell’odio di genere. Un filone che sui social corre in forme più o meno scherzose, ma sempre becere. Un universo di gruppi e pagine a tema, dove le donne diventano «cagne» e «troie». E dove i temi della violenza di genere diventano battute che non fan ridere: «Se picchi una donna non sei forte, ne devi picchiare almeno tre».

 

2. L’INCIVILTÀ DIGITALE VIA FACEBOOK

Gianluca Nicoletti per “la Stampa

 

Non è la prima volta che un assassino sente il bisogno di certificare su Facebook il suo delitto. Uccidere è il gesto epico per eccellenza, chi uccide per uccidere salta oltre il fossato della sua umanità e questo pare che inebri. Nulla è efficace quanto i social media per dare conto al mondo della propria ebbrezza. Per il massacratore di Postiglione quella sentenza di morte, scritta nel suo status, equivale alla motivazione che si affiggeva al cadavere del giustiziato. Esposto nelle piazze perché fosse di terribile monito. 

Nessuna piazza potrebbe contenere più gente di Facebook, per questo la usa l’uomo che, per una sua abominevole idea di giustizia, ha usato quella mannaia da contadino. Ne è talmente consapevole che ha voluto far capire a tutti quello che succede alle donne che non si piegano, che non accettano di essere oggetti di possesso a vita, che non vogliono subire un ricatto infinito. 
 

COSIMO PAGNANICOSIMO PAGNANI

La sua sentenza finale non lascia margini a interpretazioni: «Sei morta troia» suggella il teatro di un delitto brutale e primitivo, tanto che sembra improprio che la stessa mano che massacra una donna sia anche capace di digitare sul display di uno smartphone e aggiornare il proprio profilo, con la stessa modalità con cui altri ci segnalano il ristorante dove stanno mangiando, o il tramonto che stanno osservando. Ancora di più sembra impossibile che a quella frase inequivocabile, in molti, abbiano risposto con lo strumento di consenso più immediato a disposizione che è il Like. 
 

Si sono probabilmente mosse le avanguardie di pensiero dell’esercito dei maschi al cento per cento, assieme a quelli dell’orgoglio misogino, compatti con l’orda piagnona degli uomini traditi per cui alla fine tutte le donne sono troie… Assieme a questi il ben più vasto ammasso di sfaccendati, troll per ignavia, cattivisti e spocchiosi solo perché nascosti dietro un nickname posticcio, o perché proprio ignoranti e quindi illusi nella convinzione che solo in rete si possa esercitare la spavalderia del cialtrone, quello che trova coraggio perché pensa che nessuno potrà punirlo. 
 

Tutti questi hanno voluto piantare il loro vessillo d’adesione a quella sentenza di morte. E’ colpa di Internet? No di certo, anzi, se non fosse per quel rivelatore di comportamenti socialmente deviati il delitto di cui parliamo andrebbe solamente ad ingrossare il numero delle donne uccise nel nostro Paese.
 

COSIMO PAGNANI UCCIDE LA MOGLIE E POI LO SCRIVE SU FACEBOOK COSIMO PAGNANI UCCIDE LA MOGLIE E POI LO SCRIVE SU FACEBOOK

Grazie a quelle centinaia di like e a quei post di entusiasmo possiamo valutare quanto l’inciviltà digitale corrisponda spesso a un’elaborazione di pensiero elementare e rozza. 
Non basta avere a disposizione uno strumento formidabile per esprimere il proprio parere per meritarselo.

 

Quei like sono doppiamente colpevoli; da una parte potrebbero essere considerati come istigazione a compiere un delitto, ammesso che si provi che il post era solo un annuncio e non una dichiarazione a cose fatte. Anche se così non fosse, in ogni caso, sono indice di spregevole complicità con chi risolve col coltello le proprie abissali inadeguatezze a gestire rapporti con donne.
 

Quando poi qualcuno provasse a giustificarli come atteggiamenti di sola leggerezza, con la scusa che questo è in fondo il linguaggio della rete, un po’ estremo per natura… C’è d’aggiungere che sono colpevoli ancora di più per manifesta ignoranza digitale. Chiunque pensi, in situazioni del genere, di nascondersi dietro alla libertà d’opinione contribuisce allo spreco di un capitale comune, lo fa nella più stolta delle maniere. 


Purtroppo una fetta ancora enorme di umanità non ha ben capito la differenza tra scrivere un post, che rimbalza per migliaia di profili, e lo sproloquiare ebete con l’avventore accanto mentre si tracanna birra.

 

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