''THINGS HAVE CHANGED'': DYLAN INCANTA CARACALLA - DUE ORE DI CONCERTO MAESTOSO, SUONATO BENISSIMO, E SENZA STRAVOLGERE I SUOI CAPOLAVORI (IRRICONOSCIBILE SOLO IL RITORNELLO DI ''BLOWIN IN THE WIND'') E MANDA IN VISIBILIO ROMA

Raccontano che perfino il ruvido Bob sia stato mosso dalla bellezza dei ruderi di Caracalla fino a chiedere ai suoi di fare una foto della scena per usarla come slide nei futuri concerti - Intanto domani Dylan è al Lucca Summer fest, in una serata in cui l'apertura è affidata a un suo fedele discepolo, tal Francesco De Gregori... -

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Marco Molendini per “il Messaggero”

BOB DYLAN BOB DYLAN

 

Things have changed, le cose sono cambiate. Bob Dylan, giacca nera e cappello di paglia, lo dice subito. Anzi lo canta, con una sua canzone di quindici anni fa, aprendo il concerto. E non è una sorpresa. Il più scontroso, geniale e impenetrabile dei cantautori americani lo ha sempre pensato e si è comportato di conseguenza, spesso facendo dannare i suoi fans, smantellando, rendendo irriconoscibili i suoi capolavori. Proprio come ha fatto ancora una volta ieri sera con Blowin' in the wind, trasformata fino a rendere incantabile il ritornello a quanti hanno impresso nella memoria la versione originale.

 

BOB DYLAN CARACALLA BOB DYLAN CARACALLA

E dire che, con gli anni, il vecchio Bob ha ammorbidito la sua scorza ispida. Lo ha fatto fino a realizzare (Things have changed, appunto) un sorprendente disco soffice come la notte che, non a caso, si chiama Shadows in the night, con le canzoni (non quelle più note, ovviamente) di Frank Sinatra. The Voice cantato dall'AntiVoice, con il suo rantolo che riesce a addolcirsi restando sempre antiretorico. Gli effetti di quell'avventura e del suo spirito felpato si spandono su un concerto miracolosamente incantato.

 

Doppia suggestione: la musica e la cornice dei ruderi di Caracalla, fondale di un palco spoglio, arredato solo da una serie di proiettori di luce cinematografici anni 50. Raccontano che perfino il ruvido Bob sia stato mosso da tanta bellezza, fino a chiedere ai suoi di fare una foto della scena per usarla come slide nei futuri concerti.

 

BOB DYLAN 2 BOB DYLAN 2

Se ne sono accorti anche i quattromila spettatori del concerto del Teatro dell'Opera che era una serata davvero speciale. Dylan sorridente, che scherza coi suoi musicisti, che accenna passi di danza, che si muove nella sua song list con sofisticata misura, centellinando i versi, condendoli con l'armonica (bello l'intervento in Tangled up blues), spaziando dai consueti sentieri folk e country, al blues, allo swing in quattro quarti di Duquesne whistle e Simple twist of fate.

 

Lo spirito di Shadows in the night domina la musica con la pedal steel guitar che arrotonda gli angoli e Dylan, che ogni tanto siede al pianoforte (niente tastiere), commovente crooner (a dispetto di quanti pensavano che nel disco fosse stato aiutato dalle diavolerie della tecnologia). Eccolo, nel classico Autumn leaves, di Kosma e Prevert, in una versione brevissima e da brividi o con l'altra morbidissima, seducente ballad Full moon and empty arms, sempre dal repertorio di sinatriano.

 

Di quel disco canta solo quei due pezzi, fregandosene degli obblighi promozionali (pare che mediti una seconda session in studio), ma quel clima è contagioso, basta sentire l'incanto con cui condisce la sua ballad Forgetful heart.

BOB DYLAN 1 BOB DYLAN 1

 

Non a caso la scaletta privilegia l'amato Tempest, album del 2012, decisamente dai colori scuri, mentre sono pochissime le escursioni nel passato più lontano e glorificato, tanto meno quelle che potrebbero far pensare a un cedimento autocelebrativo come Like a rolling stone e Mr.Tambourine man, che proprio quest'anno compiono cinquant'anni della loro uscita.

 

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C'è, invece, Blowin' in the wind e c'è She belongs to me, caustico ritratto femminile del '65 che qualcuno ha voluto attribuire a Joan Baez (i due si lasciarono proprio in quel periodo). Nel menù (ma del tutto involontariamente) ci sono anche tre titoli dai riferimenti romani, fatti apposta per le rovine di Caracalla: Beyond here lies nothing ispirato a Ovidio come Working man blues # 2 e Early roman kings, splendido blues che è però una citazione indiretta, dato che quello era il nome dato a una gang di New York.

 

Venti titoli in tutto, due ore di concerto maestoso, suonato benissimo (ci sono i soliti Stu Kimball alla chitarra, Donnie Herron alla steel guitar, al banjo, e al violino, Charlie Sexton alla chitarra). Un trionfo, col pubblico trepidante e la speranza di vederlo presto di nuovo in queste splendide condizioni. Intanto domani Bob è al Lucca Summer fest, in una serata in cui l'apertura è affidata a un suo fedele discepolo, tal Francesco De Gregori.

 

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