TRAGEDIA GRECA - CON LA PERDITA DI ANGELOPOULOS LA GRECIA DIVENTA ANCORA PIÙ POVERA - E MORIRE COSÌ, INVESTITO DA UNA MOTOCICLETTA, MENTRE STAVA GIRANDO CON TONI SERVILLO IL SUO FILM SULLA CRISI GRECA, PER DARE UN’ALTRA IMMAGINE DI UN PAESE IN GINOCCHIO, APPARE COME UN SEGNO DEL DESTINO - “THEO COVAVA LA SPERANZA DI RIUSCIRE A CAMBIARE IL NOSTRO SGUARDO SU UNA “CRISI” NON SOLO QUANTITATIVA. UNA SOGNANTE LEZIONE CONTRO IL “CAPITALISMO COME RELIGIONE””…

1- THEO IL REGISTA CHE ABBRACCIAVA I SUOI FILM
MARTEDÌ SERA, INVESTITO DA UNA MOTOCICLETTA, È MORTO A 76 ANNI IL GRANDE REGISTA VINCITORE DELLA PALMA D'ORO CON "L'ETERNITÀ E UN GIORNO"

Malcom Pagani per il "Fatto quotidiano"

È arrivata una telefonata a tarda sera. Un numero sospetto, con troppe cifre per fidarsi. Ho risposto. Dall'altra parte, nel vento di Atene, c'era la voce di mio padre. Ha 71 anni. Non è un uomo tenero. Con l'età è persino peggiorato. Ieri l'ho sentito piangere per la prima volta in vita mia. "Hanno investito Theo, è in rianimazione" ha detto. Poi ha singhiozzato. E io ho capito. È strano scrivere in prima persona. Non si fa. Non è opportuno.

Me l'ha chiesto, con la delicatezza che gli è propria (ci cazzia anche a volte, dipende dalle circostanze) il direttore di questo giornale. "Se te la senti. Tu lo conoscevi bene". I lettori perdoneranno. Tecnicamente, come tutti, sono un figlio di papà. E Theo Angelopoulos, il regista morto martedì ad Atene dopo essere stato travolto da un motociclista (poliziotto, fuori servizio, come ogni cosa ormai in Grecia), di mio padre Amedeo, produttore cinematografico, era tra gli amici più cari. Un elemento della famiglia. Uno zio.

Poteva capitare di trovarlo a cena, senza fanfare, con le sue giacche dimesse, in tono con un ambiente (libri accatastati, disordine, paccottiglia, carte da parati passate attraverso tempi migliori) che non sarebbe mai approdato su un mensile come Ad. Li aveva fatti conoscere Tonino Guerra, a metà degli anni 80. Si erano piaciuti. Si erano capiti . Papà era stato sceneggiatore e Theo un suo modello, fin dal '75. L'anno de La recita.

Quattro ore di puro azzardo metafilmico che i miei erano corsi a vedere trascinandosi dietro mia sorella bambina. Anni dopo, quando Amedeo e il greco si incontrarono per non lasciarsi più, Angelopoulos era già "Theò", premiato a Berlino, Cannes e Vene-zia. Un uomo piccolo, basso, acuto e colto, circondato dalla memoria delle sue invenzioni, dalle lenti, dalle sue recite estenuanti indisposte a compiacere il pubblico.

Amedeo finanziò (la parola è ingannevole, non c'è produttore o quasi che da 40 anni a questa parte non sia un collettore di denari altrui) Paesaggio nella nebbia, Leone d'Argento 1988 e altri sei film. Fino a ieri. Tornava a casa. Gli occhi febbrili. Urlava per le scale: "Venite a vedere il capolavoro di Theo, è sublime, silen-zio adesso" e infilava i vhs nel videoregistratore. Scene mute o in lingua originale (quando andava bene), piani sequenza lunghissimi. Attori celebri penalizzati, visti di spalle (Harvey Keitel minuscolo, in un angolo, come l'Icaro di Bruegel).

Comparse sconosciute in primo piano in omaggio a Brecht ("Tebe dalle sette porte chi la costruì?") e un'unicità di tocco che per noi, vitelloni in vitro, adolescenti cresciuti come suggeriva Nanni Moretti in Aprile con Starsky&Hutch, rappresentava poco meno di un supplizio. Lentamente, a tradimento, il vecchio greco ci conquistò. La musica celestiale di Eleni Karaindrou. L'attenzione agli ultimi. Ai viaggi impossibili.

Ai capitani Achab a caccia di una via d'uscita dal labirinto. Theo si sedeva in cucina, si stringeva sul sedile posteriore di una macchina e srotolava il filo. Stava bene ovunque. Non si lamentava mai. Lo consideravano serioso e altero. Era spiritosissimo. L'importante non era sventolare il documento in un albergo a 5 stelle, ma la compagnia, il vino con il "clochard" Koudelka a lume di candela, il film da realizzare a ogni costo. E siccome i soldi erano pochi e i premi non corrispondevano agli incassi, Theo e Amedeo lavoravano in economia. Una volta, tornato dalle ferie (la città caldissima, immobile) feci un salto all'indietro.

Era notte e vidi un'ombra nel mio letto. Era Angelopoulos, incastonato tra le mie collezioni di Diabolik e Guerin sportivi, a suo agio come sempre. Si alzò su un fianco, più sorpreso di me. Parlammo a lungo. Negli ultimi anni, sorridendo dei fonemi e di se stesso, Theo Angelopoulos: "Non chiamarmi mai maestro" aveva aggirato anche la frontiera della lingua. Un italiano stentato, da preferire comunque all'inglese, in cui tra un accento e l'altro, abbreviava la distanza tra la mia ignoranza e la voglia di comunicare.

Gli interessavano i giovani. Non come categoria, ma come specchio dei suoi 20 anni senza nostalgia. Theo era lontano dall'idolatria di se stesso e non tendeva a scomparire o a nascondersi come all'epoca dei colonnelli, ma riempiva l'aria di ragionamenti semplici e finissimi. Di storie minime. Di ricordi e prospettive. E ascoltava, perché a differenza dei tromboni, a Theo piaceva sentir suonare una musica diversa dalla propria.

Ora che se ne è andato con un soffio sordo, investito mentre assemblava i suoi frammenti di discorso, come Roland Barthes, inseguendo distrattamente un'idea, mi vengono in mente le frontiere dell'ex Jugoslavia attraversate con mio padre e con Keitel, la notte di Florina in cui sul set, nel sonno, morì Gian Maria Volonté e i simbolismi. Anche Theo era un'icona. Gelosa delle sue creature come nel '95 a Cannes, quando in un taxi fece sedere me e Amedeo davanti e rimase con due enormi pellicole de Lo sguardo d'Ulisse al suo fianco. Le abbracciava.

Aveva avvertito il proiezionista a mezzanotte. Pretendeva di controllare la qualità della copia. L'altro mare, il film sulla Grecia che stava completando in questi giorni con Toni Servillo, covava la speranza di riuscire a cambiare il nostro sguardo su una "crisi" non solo quantitativa. Una sognante lezione contro il "capitalismo come religione" evocato da Benjamin. Speriamo che l'opera ultima di Theo, pur restando aperta (una tragedia incompiuta, senza orizzonte) si possa vedere. C'è anche del bello nel morire a metà, senza aver concluso qualcosa che non dovrebbe aver fine.


2- LA GRECIA È ANCORA PIÙ POVERA...
Adriano Sofri per "Il Foglio"

Da una lettera privata fra due amiche, da Atene a Torino: "Ieri sera a mezzanotte è morto da un accidente avuto il regista Theodoros Aggelopoulos. Con la sua perdita la Grecia diventa ancora più povera. Le cose qui purtroppo strigono ancora di più che 1-2 mesi fa. Ieri sono andata a Pireo trovare per ultima volta mia amica M. al suo negozio del caffè perché lo chiude sabato, dopo 15 anni di lavoro...

Non ce la fa più tenerlo come tutti noi anche. Penso che tra alcuni giorni viene il mio turno e poi il turno di G. e di tutti i nostri amici che hanno dei negozi! Ieri ero molto triste, guardavo il centro shopping di Pireo e non credevo ai miei occhi. Negozi chiusi, abbandonati in una notte, sconti sconti da quelli che esistono ancora ma non sembra più un paese europeo, c'è solo povertà...

Certo non compera nessuno niente! Dai dai, non voglio raccontarti solo queste cose triste, perché poi continuo a fare con goia le mie cose, e spero che tutto è un sogno brutto che passa, dopo vedo anche i ragazzi così belli e tranquilli con le loro cose, giochi, scuole e mi sento meglio. Sono andata a trovare mia amica M. ieri pomeriggio, siamo state insieme con tutti i bambini, lei ne ha 3 più il mio I., totale 4 piccoli con tanto rumore. Lei lavora per il ministero dello Sviluppo [!!!!]. Oggi vado un nuovo ‘tour' per i eventuali clienti e vediamo, mi sono vestita bene bene, truccata, ho fatto i capelli tutto tutto, cosi mi aspetto un giornata bella senza cose triste".

 

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