LA VERSIONE DI MUGHINI - HO APPENA VISTO SU SKY ARTE IL BELLISSIMO DOCUMENTARIO DI FABRIZIO CORALLO SU VITTORIO GASSMAN - NON DIMENTICHERÒ MAI I SUOI OCCHI, QUANDO LO INCONTRAI IN UNA LIBRERIA. ALLA LUCE DELLA MIA SUCCESSIVA DEPRESSIONE, CAPISCO CHE MENTRE GLI PARLAVO, LE MIE PAROLE NON GLI ARRIVAVANO…

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MUGHINI MUGHINI

 

Lettera di Giampiero Mughini per Dagospia

 

Caro Dago, manca poco alla mezzanotte e ho appena visto su Sky Arte il bellissimo documentario che Fabrizio Corallo ha dedicato a Vittorio Gassman e alla sua leggenda. Ossia a un uomo che di vite ne ha avute almeno dieci e forse sono poche a riassumere tutto della sua energia, della sua creatività, del suo splendore fisico, del suo superbo primato nel cinema e nel teatro e nella televisione, e a non dire di quel prelibato volumetto di poesie che pubblicò a poco più di vent’anni e che conservo nella mia collezione.

 

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Ho detto dieci vite, ma è dir niente a dar conto di tutti quei film, di tutte quelle ore della sua vita da mattatore a esplorare le viscere del teatro di tutti i tempi e di tutte le nazioni, di tutti quegli exploit su ogni scena possibile, di tutti quei suoi duetti con registi e attori che hanno fatto la storia del cinema e dello spettacolo italiani quando questo cinema e questo spettacolo costituivano “l’Hollywood sul Tevere”.

 

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C’è una scena alla fine del documentario dove Gassman ha di fronte Dustin Hoffman e Al Pacino, e loro due lo stanno guardando come se si trovassero di fronte il Colosseo o il Louvre. E non solo il palcoscenico, ma anche le mogli e i figli e lo star dentro anima e corpo e 24 ore al giorno alla civiltà della comunicazione, dato che era un uomo che faceva sensazione solo ad annodarsi la cravatta. Sparava scintille solo con lo sguardo. Che epoca che abbiamo avuto, che anni ci sono toccati. A noi italiani.

 

Il documentario accenna beninteso agli ultimi anni della vita di un “mattatore” che aveva talvolta preso a zoppicare. Una prima depressione, durata non so esattamente quanto. Una seconda depressione, durata non so esattamente quanto. Il gigante aveva un’anima fragile. S’era costruito e raffinato come “mattatore”, ma dentro di sé doveva essergli costato un prezzo non irrilevante. “Essere Gassman” era stato un impegno strenuo, che lo aveva disossato.

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Non molto tempo prima della sua morte lo vidi in un angolo di una libreria (più o meno sotto casa sua) dove mi accingevo a presentare un mio libro appena uscito. Subito accorsi al suo tavolo, e subito lui si alzò a salutarmi, e gli dissi quel che pensavo del suo lavoro, ben sapendo delle tenebre che assediavano la sua anima. Gli dissi che avevo appena visto in tv una sua recita di poesie dei beat americani, e che erano recite dove lui surclassava qualsiasi altro e magari giovane attore.

 

I suoi occhi mi guardarono mentre gli dicevo queste cose, ma è come se non si muovessero. Alla luce della mia successiva esperienza della depressione, capisco che quelle parole era come se non gli arrivassero, perché quando sei in depressione non ti arriva più nulla. Non una voce, non una parola, non un sorriso, non un desiderio.

 

L’uomo che per cinquant’anni aveva domato e ipnotizzato le platee dei teatri e dei cinema, l’uomo onusto di premi alla carriera, era adesso solo con se stesso e con le sue tenebre. Solo con il tempo che stava scorrendo velocemente a condurlo alla stazione di arrivo. E tuttavia quei suoi occhi erano gli occhi di un gigante. Non li dimenticherò mai.

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GIAMPIERO MUGHINI

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