VOLEVAMO ESSERE BROOKE SHIELDS - JEANS MALIZIOSI, GUANCE DI PESCA E UNGHIE DIPINTE DI ROSSO FUOCO: LA MODELLA FU IL FARO DELLE RAGAZZINE ANNI ’80 - DOPO AVER ISPIRATO UNA BARBIE È FINITA IN SOFFITTA COME LEI

“Brooke Shields incinta nella “Laguna blu” fu il nostro corso di educazione sessuale - Lei apparteneva a un’altra categoria; quella che aveva mamme diverse dalle nostre. Come si è definitivamente chiarito con la sua biografia Teri Shields è stata un’alcolizzata, una manipolatrice senza scrupoli della figlia”...

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Fabiana Giacomotti per “il Foglio”

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Alla Hoepli, veneranda istituzione della libreria milanese e nazionale, il primo commesso incrociato non sembrerebbe così giovane da non averla mai sentita nominare. “L’autobiografia di Brooke Shields ha detto? Brooke come Rupert Brooke?”. Sì, come Brooke, Sassoon, Owen, Rosenberg, pronunciati tutti in fila e tutti in trincea, dove peraltro morirono uno dopo l’altro tranne Siegfried Sassoon, “l’eroe accidentale”.

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I war poets della letteratura inglese, vede che la so? E adesso mi dia per favore l’autobiografia di Brooke pretty baby, l’attrice, la modella insomma quella meraviglia che negli anni Ottanta era il nostro faro, il nostro zenith di giovanissime che mai saremmo state alte e mozzafiato come lei, incapaci perfino di tenere in ordine sopracciglia folte come le sue, perfettamente arcuate, imparagonabili a quei due segnacci a carboncino che si porta in faccia adesso Cara Delevingne, ha presente? Me lo dia subito che lo nascondo sotto il saggio di… uhm, che cosa c’è qui attorno?

 

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Ecco, il testo di Tullio De Mauro sull’evoluzione della lingua italiana dopo la proclamazione della Repubblica, così nessuno pensa che sono arrivata a cinquant’anni e ancora voglio sbirciare le foto di Brooke Shields con quegli zigomi improvvisamente appuntiti, scarni, che si vedono nelle foto sulle riviste di gossip perché sa, siamo coetanee, anzi siamo cresciute praticamente insieme. Vorrei dire tutto questo con tono disinvolto, e invece non azzardo neanche sull’eroe accidentale. So già che chiederò di incartarmi il libro come regalo, vigliacca. Al di là della postazione, il giovanotto scocca un mezzo sorriso: “E’ sicura che sia già uscito in italiano? Eccolo: ‘There Was a Little Girl’, edito da Dutton”.

 

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E lo pronuncia anche bene, il carico fonetico spostato sul verbo come farebbe un inglese upper class; a meno che non sia una presa per i fondelli, quel calcare sul “was”. Come eravamo e come era anche lei, cara signora. Troppo colto, avrei dovuto dirigermi verso una di quelle cattedrali del tascabile con le commesse in minigonna che biascicano chewing gum e ti danno del tu e ti girano lo schermo del computer in faccia: “Ti prego, dammi una mano che con tutti ’sti libri non so dove girarmi”.

 

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Invece, eccomi qui che salgo al “secondo piano, vada fra i libri di moda, dovrebbe trovarlo” e sono pure un po’ irritata, perché com’è possibile che la divina Brooke non abbia un posto di riguardo nella sezione cinema, e pazienza per tutti quei premi Razzie che le hanno dato, una bella così che cos’altro dovrebbe fare: mettersi di tre quarti e sporgere le labbra in un bel broncetto sexy è già più che sufficiente a una dea, e d’altronde quante sono state, quelle come lei; a leggere le memorie di Hedda Hopper, Gloria Swanson non riusciva ad andare oltre lo strabuzzamento oculare ed era pure un barilotto e Coco Chanel non la voleva vestire, altro che il metro e ottantatré di Brooke.

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Valentino e Brooke Shields Valentino e Brooke Shields

Non ha mai incontrato il suo Billy Wilder, ma se c’è da inscriversi nella memoria collettiva, pochi l’hanno saputo fare meglio di lei. Per un buon periodo, almeno. “Volete sapere cosa c’è fra me e i miei Calvins? Niente”, diceva, e lo diceva così, tre metri per due in piazza Cairoli, dove adesso c’è quel brutto Expo Gate a doppio montante che i milanesi hanno ribattezzato “gli stenderini”, gli stendipanni.

 

Era il 1980 e Brooke, quindicenne, stendeva invece le gambe, così lunghe che Richard Avedon, disgraziato, si era preso la libertà di farle uscire dal riquadro dell’immagine. Da gambe a infinito; un piano visivo obliquo a tagliare di netto la nostra goffaggine di adolescenti milanesi, accentuata dai jeans a tubo di stufa che era il massimo ci fosse consentito di acquistare dalle nostre mamme come alternativa alle gonne a pieghe.

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Brooke li portava aderentissimi, o tali ci sembravano in anni in cui i jeggings non erano neanche nei programmi di sviluppo a lungo termine di Lycra; comunque li indossava, lei, nostra coetanea, senza mutande e dovrei scriverlo in corsivo, senza mutande, per caratterizzare anche graficamente l’effetto che ci fece quella rivelazione dirimpetto alla torre del Filarete.

laura melidoni e brooke shields al gilda laura melidoni e brooke shields al gilda

 

Noi lottavamo ogni giorno per farci comprare i jeans di Fiorucci che avrebbero dato una parvenza di forma ai nostri didietro acerbi, e lei si permetteva ogni malizia con quelle guance di pesca e le unghie dipinte di rosso fuoco, lo ricordo come se fosse ieri perché nella Milano che dopo le pallottole di piombo voleva bere l’amaro Ramazzotti all’imbrunire, anche fra adulte usava ancora il codice della signorina snob Franca Valeri: sì allo smalto sulle unghie dei piedi “che fa soigné”, guai sulle mani, “che fa sfaccendata”.

 

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A noi lo smalto non era permesso neanche rosato, e a Natale le nonne ci regalavano il nécessaire con la pezzuola di daino perché ce le strofinassimo tutte le sere come le fanciulle dell’Ottocento che, di certo, non eravamo, ma sulle quali dovevamo fingere di modellarci almeno un po’. Olio di mandorla, pezzuola e ipocrisia, altro che quella sfacciataggine.

Bruno Oliviero e Brooke Shields Bruno Oliviero e Brooke Shields

 

Brooke apparteneva a un’altra categoria; quella che aveva, innanzitutto, mamme diverse dalle nostre. Come si è definitivamente chiarito con questa biografia che reca in sottotitolo la spiega “la vera storia mia e di mia madre” (Brooke, come sempre, maliziosa abbastanza da passare per vittima), Teri Shields è stata una manipolatrice senza scrupoli della figlia, un’alcolizzata a cui i barman giravano un whisky doppio quando chiedeva “la sua diet coke” che la mandava a dormire dalle amiche per attaccarsi in pace alla bottiglia. Noi lo sapevamo già allora. Non che fosse scritto sui giornali, o perlomeno non sui giornali che entravano nelle nostre case.

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Che Teri Shields fosse una disgraziata si diceva proprio in casa, perché Brooke, a differenza delle Teresa Ann Savoy e di tutte le Lolite di Lattuada di quegli anni, era una conoscenza che ognuna di noi avrebbe potuto fare. “Una Torlonia, figurati”, gemevano le nostre mamme, ripercorrendo l’albero genealogico fino a incrociare Frank, figlio di donna Marina Torlonia di Civitella-Cesi e del tennista Frank Shields senior, che un giorno aveva avuto la sventura di mettere incinta una modella senza troppe fortune e di sposarsela, dopo averle dato i soldi per un aborto che lei non aveva praticato, tenendosi però e naturalmente i soldi.

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“Una donna senza scrupoli”, sibilavano, che al prete chiamato a battezzare la bambina e si era rifiutato di imporle il nome Brooke in quanto non riportato sul calendario, aveva ribattuto se il nome di Cristo declinato al femminile gli sembrasse abbastanza cattolico e così la piccolina era entrata nel mondo con il nome di Brooke Christa. Non era, dunque, una di quelle da cui ci sarebbe stato facile prendere le distanze.

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Era cugina del nostro amico Guido, imparentata di risulta con metà “del giro di porto Ercole” e ogni tanto veniva in Italia in vacanza; insomma, avremmo potuto aspettarci di vederla scendere ai bagni Miramare di Santa Margherita con quelle sue gambe lunghe, o più probabilmente sarebbe approdata nella piazzetta di Porto Rotondo che in quegli anni già iniziava ad affermarsi. Anche considerando la possibilità come remota, Brooke era insomma una presenza ben diversa da quelle entità evanescenti di cui parlavano le scarse riviste che sbirciavamo in spiaggia, d’estate.

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Aveva iniziato a fare pubblicità per una marca di sapone a undici mesi, fascino e orrore, una piccolina messa culetto all’aria per soldi, e a dodici anni, mentre noi alternavamo i pomeriggi fra le lezioni di chitarra e quelle di ginnastica artistica, aveva interpretato il ruolo di una baby prostituta in un bordello della New Orleans primi Novecento, truccata e in boccoli passati col ferro caldo.

 

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Noi non sapevamo neanche bene che cosa fosse, un bordello, perché al Purgatorio di Dante saremmo arrivate un paio di anni dopo e ne sarebbe seguita una spiegazione vagamente imbarazzata (e tutto sommato, l’etimologia del sostantivo non è chiara a nessuno neanche adesso). Al film di Louis Malle, vietato ai minori, non ci interessammo nemmeno.

 

Nel nostro immaginario, Brooke era nata su quel cartellone, con i capelli sciolti e naturali e i jeans che avremmo voluto indossare anche noi, già la camiciola in batista scesa sulle spalle era fuori dalla nostra portata; dunque saltammo a piè pari “Pretty baby” e le relative, feroci polemiche, e corremmo a vederla, superati finalmente i quattordici anni imposti dalla censura, nel suo primo blockbuster, “Laguna blu”, un drammone sentimentale che, parimenti al racconto vittoriano da cui era tratto, era pensato per risvegliare i sensi degli adolescenti e titillare quelli di chi adolescente non era più.

 

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Brooke vi interpretava, accanto a un tipino biondo niente male, una piccola naufraga su un’isola deserta alla fine dell’Ottocento e, oltre a recitare quasi sempre a seno nudo, rimaneva incinta. Corsivo di nuovo d’obbligo. Ancora prive delle nozioni di base sul mito del buon selvaggio e di tutte le balle di Rousseau, ci prendemmo la nozione in faccia così com’era: se non si stava attente, si restava incinte, e anche se il piccolino di Brooke nel film era proprio carino, non eravamo sicure che quella faccenda fosse così naturale e così commovente come volevano farla sembrare.

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Ci sembrava piuttosto una gran scocciatura adesso che, mancava poco, saremmo potute rientrare la sera oltre mezzanotte. Brooke incinta nella “Laguna blu” fu il nostro corso di educazione sessuale, e sono sicura che il film andrebbe programmato nelle scuole anche adesso, non fosse supremamente brutto e recitato peggio, dunque ridicolo almeno quanto i porno online da cui traggono informazioni i nostri figli adesso restandone sconvolti

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(se ne è lamentata anche Brooke in una recente intervista: pare che sua figlia sia rientrata da un pigiama party con le amichette sotto choc dopo un giretto su YouPorn, e dire che ha la stessa età in cui la madre simulava l’accoppiamento sulla spiaggia a favore di telecamera).

 

A Brooke ignuda e abbronzata ai tropici a quindici anni, seguì Brooke perseguitata da uno stalker a quindici, e se avessimo saputo allora quel che sappiamo oggi, non avremmo preso quel suo avvertimento sotto gamba. Dirigeva Franco Zeffirelli, una garanzia del kitsch, che le aveva messo accanto l’esordiente Tom Cruise nel ruolo del fidanzatino ossessivo, dando prova se non altro di una certa capacità psicologica previsionale.

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Nel film, Tom sterminava la famiglia di lei, e alla fine si ripromettevano di vedersi all’uscita della prigione; essendo ancora all’asilo i fidanzatini di Novi Ligure, Brooke ci parve il massimo della scelleratezza: per quanto ci accapigliassimo con i nostri genitori sui compiti fatti e gli amici che portavamo in casa, dar loro fuoco ci sembrava decisamente eccessivo, e la cronaca non ci aveva ancora smentiti.

 

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Quella volta, Brooke non ci piacque: troppo succube di quel tipo con la mascella squadrata che le arrivava alle spalle, ma fu comunque un’altra bella lezione, chissà se Katie Holmes ha affittato il dvd del film prima di sposarsi Tom con tutto quell’inutile fasto nel castello Odescalchi di Bracciano. Di “Amore senza fine” resta solo la bellissima canzone di Diana Ross che viene ancora programmata dalle radio, del tutto scollegata al film ma, già all’epoca, dopo quell’exploit iniziammo a perdere le tracce della nostra eroina, benché avesse finalmente iniziato a vestirsi con eleganza, e a vestirsi Valentino.

 

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Comparve con un abito di velluto nero e ruches di taffetà rosa, una di quelle agghiaccianti combinazioni anni Ottanta che nessuno ha più avuto il coraggio di riproporre, e tutte cercammo di farcene acquistare uno uguale per i nostri diciottesimi, ma per tante di noi fu davvero l’ultima volta. Brooke, che aveva ispirato anche una Barbie, come lei venne riposta definitivamente in soffitta.

 

Io ebbi un piccolo moto di interesse nei suoi confronti quando scoprii che a Princeton aveva deciso di seguire il mio stesso corso di studi in letteratura francese e cinema, battendoci naturalmente e inevitabilmente tutte sulla scelta della tesi: per le nostre, noi facemmo un anno di ricerca; della sua, su Louis Malle, lei era la protagonista.

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Dicono le cronache che ha girato qualche altro film, ognuno suggellato dal suo bravo Razzie per la peggiore interpretazione, e che per un certo periodo è stata sposata ad Andre Agassi: nelle rispettive autobiografie, entrambi se ne dicono di ogni; lei, essendo maliziosa, dice naturalmente meno. Le cronache dell’epoca dicono che le vendite di jeans Calvin Klein balzarono del trecento per cento in poche settimane.

 

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