UN PRELATO GODERECCIO - VITA, MOVIDA, SOLDI E AFFARI DI MONSIGNOR SCARANO

Il primo prelato di Curia a finire in una prigione italiana aveva una passione per gli immobili di lusso - Quello che il Riesame ha definito un “consumato delinquente”, mediava tra broker e 007 per far girare milioni di euro, aveva relazioni con nobili e magnati - La scalata al potere del “Monsignor 500”…

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Emiliano Fittipaldi per "l'Espresso"

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A Salerno, dove è nato e cresciuto, lo chiamano "Don 500 euro". A Roma, dov'è rinchiuso da quasi due mesi nel carcere di Regina Coeli, per giornalisti e secondini è il "Paul Marcinkus de' noantri". Ma la battuta migliore su Nunzio Scarano, 61 anni, monsignore per hobby e faccendiere di mestiere (almeno secondo i pm della capitale che l'hanno arrestato), l'ha fatta qualche giorno fa papa Francesco in aereo di ritorno dal Brasile: «Pensate che Scarano sia finito in galera perché somigliava alla beata Imelda?», ha ironizzato citando la bambina bolognese che nel Trecento morì in estasi dopo aver ricevuto l'eucarestia. «È uno scandalo. È una cosa che fa male».

Le disavventure di Don Nunzio, il primo prelato di curia a finire in una prigione italiana, sembrano in effetti avere poco a che fare con la storia della piccola beata. Due inchieste parallele delle procure di Salerno e Roma, decine di intercettazioni telefoniche e la rogatoria internazionale chiesta dai giudici leonini ai colleghi italiani (non è mai accaduto prima) disegnano il profilo di un affarista da Guinness, amante dei soldi e della bella vita, con frequentazioni imbarazzanti e una passione sfrenata per gli immobili.

LA GUARDIA DI FINANZA ACCOMPANGA MONSIGNOR SCARANO DOPO LARRESTO jpegLA GUARDIA DI FINANZA ACCOMPANGA MONSIGNOR SCARANO DOPO LARRESTO jpeg

Un sacerdote capace di mediare con broker e 007 infedeli per riportare illegalmente in Italia 20 milioni di euro (secondo gli investigatori si tratterebbe di soldi degli armatori D'Amico, anche se loro continuano a negare) o di riciclare centinaia di migliaia di euro per estinguere il mutuo sulla sua principesca casa al centro di Salerno.

Più che un prete, sostiene il tribunale del riesame di Roma, don Nunzio è dunque «un consumato delinquente», con una personalità caratterizzata da «spiccate attitudini criminali», uno «capace di gestire uomini, istituzioni e cose asservendoli al proprio tornaconto personale». Un tipo, in pratica, «particolarmente inquietante».

Ma come ha fatto un soggetto così, indagato per riciclaggio, corruzione, calunnia e truffa, a far carriera in Vaticano, diventando cappellano di Sua Santità ed entrando come contabile nell'Apsa, l'ufficio che gestisce l'immenso patrimonio della Santa Sede? Partiamo dall'inizio. Chi conosce Scarano da quand'era piccolo lo descrive un ragazzo con un'indole complessa, dalla natura ambiziosa ma dal carattere assai fragile. Un uomo che sa alternare slanci alla Dottor Jekyll a pulsioni da Mister Hyde.

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Nunzio nasce a Salerno nel 1952. Famiglia umile e assai numerosa, il ragazzo capisce presto che le case popolari non fanno per lui. «Si diploma, prende una laurea, diventa assistente universitario, poi trova lavoro come impiegato alla Banca d'America e d'Italia», racconta il suo avvocato salernitano Silverio Sica. A Scarano quel lavoro, dignitoso e ben pagato, non basta. Vuole salire tutte le scale della piramide sociale, arrivare in cima, non fermarsi nel mezzo. Inizia così a frequentare il jet-set di Salerno.

Grazie, soprattutto, ai rapporti eccellenti con una delle famiglie più ricche e potenti della città, quella degli armatori D'Amico. «Con loro io sono cresciuto fin dalla prima giovinezza», ha scritto Scarano in una recente e accorata lettera al papa. Sulle origini dell'amicizia bene informati hanno spiegato a "l'Espresso" che fu proprio Antonio, fondatore della società di navigazione, a conoscere Nunzio quando quest'ultimo era appena adolescente: una circostanza che i nipoti ed eredi Paolo e Cesare D'Amico hanno preferito non commentare.

Ma Scarano a trent'anni ha stretti contatti anche con pezzi da novanta della curia salernitana: l'amico Carlo Martino, avvocato della Sacra Rota, lo ha infatti presentato al fratello Renato Raffaele, al tempo potente vescovo di Salerno (oggi cardinale e membro della Fondazione Giovanni Paolo II). I due saranno per anni molto amici.

nunzio scarano vescovonunzio scarano vescovo

I maligni sostengono che siano stati proprio i Martino a convincerlo a farsi prete, altri credono che la vocazione fu del tutto spontanea: fatto sta che Scarano, a 35 anni suonati, decide improvvisamente di cambiare vita, prende i voti in tempi record e indossa la tonaca.

È il 1987. Nunzio, che spesso va a Lourdes come volontario-barelliere, viene spedito a Eboli, nel difficile quartiere di Santa Cecilia. Comincia presto a intessere rapporti con i notabili locali, che negli anni girano al giovane parroco ingenti donazioni. «Tutte reinvestite», chiosa l'avvocato difensore, «nell'oratorio e nella chiesa». Le omelie e le benedizioni in provincia, però, dopo un po' cominciano a stargli strette: se Cristo si è fermato a Eboli, Scarano vuole tornare nella capitale.

Sotto il cupolone ha seguito lezioni di teologia, ha conosciuto membri dell'aristocrazia papalina, ha vissuto nei maestosi palazzi vaticani: la dolce vita gli manca. Chiede al vescovo Martino di dargli una mano: grazie alle entrature dell'amico - che da sempre apprezza le sue qualità di contabile - nel 1992 viene assunto all'Apsa, l'ufficio della Santa Sede che ha il compito di amministrare l'immenso patrimonio d'Otretevere. Scarano entra come addetto tecnico di prima categoria. Lo stipendio, seppur esentasse, non è granché: circa 2 mila euro al mese.

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Scarano se ne frega. I due conti aperti allo Ior e quello della filiale di Unicredit in via della Conciliazione negli anni sono cresciuti a dismisura, le cifre sono a sei zeri. Le frequentazioni sono ormai a cinque stelle. Nunzio vede e incontra imprenditori, banchieri, esponenti dei servizi segreti, cardinali.

Cesare D'Amico gira su un suo conto circa 20 mila euro al mese: la causale indicata è «beneficenza» (gli inquirenti stanno cercando di capire se dietro si nascondano operazioni sospette). Secondo un suo vecchio amico, l'imprenditore Massimiliano Marcianò, in passato Scarano avrebbe dato una mano a rimpatriare capitali persino alla famiglia Agnelli. Un racconto a cui gli investigatori però non credono, ipotizzando che si tratti solo di millanterie.

Nel 1999 il monsignore nato nelle case popolari, vicinissimo anche all'arcivescovo Gerardo Pierro e all'attuale vescovo di Salerno Luigi Moretti, decide che è arrivato il momento di comprarsi casa in centro, accanto a quelle della ricca borghesia che frequenta a feste e cene. Individua un appartamento a 10 metri dal duomo, un palazzetto di due piani e 10 stanze (dopo i lavori diventeranno 25!) con soffitti di cinque metri di proprietà di un Istituto vaticano, quello delle Suore piccole operaie dei sacri cuori. Scarano fa un affare d'oro: compra un appartamento «di importante interesse storico artistico» (tanto che il ministero dei Beni culturali aveva diritto di prelazione all'acquisto) a soli 300 milioni di vecchie lire, 150 mila euro circa. Oggi vale almeno dieci volte tanto.

Il sacerdote per il mattone ha una vera fissa: rileva box in giro per la città, un'altra casa di sei stanze nel 2006, e diventa - come ha scritto "Il Mattino" - socio di tre società immobiliari, business in cui si lancia insieme a parenti e cugini. Nel giugno 2012, intercettato, spiega a un interlocutore che per far rientrare il denaro dei D'Amico (per la vicenda risultano indagati anche i fratelli Paolo e Cesare) avrebbe beccato una commissione da 2,5 milioni di euro.

«Per prendermi la casa di lì, purtroppo ci vogliono», spiega al telefono:«Ho detto due e mezzo perché uno se ne va per Paestum e un altro se ne va per là!». A Roma, dove è stato promosso responsabile del servizio di contabilità analitica dell'Apsa, Nunzio invece preferisce non fare investimenti: quando viene arrestato dal nucleo valutario della Finanza guidato dal generale Giuseppe Bottillo è ospite del suo amico del cuore don Luigi Noli, parroco del paesino di Palidoro, vicino Fiumicino, che Nunzio al cellulare chiama affettuosamente "Gigi". Don Noli, dopo lo scoppio dello scandalo, lo scorso 2 luglio ha rassegnato le dimissioni.

Se la beata Imelda pensava solo a quando poteva prendere la comunione, Scarano passa molto tempo libero a collezionare, oltre che appartamenti, opere d'arte. Una passione che forse ha ereditato da Antonio D'Amico, amante di quadri e sculture a tema marinaro. A casa del prete i carabinieri di Salerno hanno trovato di tutto: antichità, monili, sculture e dipinti dal valore inestimabile.

I militari erano entrati nel suo appartamento in seguito a una denuncia dello stesso don Nunzio, che aveva dichiarato la scomparsa di monili in oro, argenteria, tele di de Chirico, Labella e Guttuso, addirittura di un crocifisso dell'altare di San Pietro di Gian Lorenzo Bernini e una pergamena in olio che ritraeva un vaso dello Scatizzi. Non si sa ancora con quali denari il monsignore avesse potuto mettere in piedi un museo così.

Scarano ha accusato del colpo i suoi soci in affari, il cugino Domenico e l'imprenditore Giovanni Fiorillo, con cui aveva un contenzioso economico aperto. I magistrati di Salerno, però, non hanno trovato alcun indizio a loro carico. Né traccia delle opere rubate. Denunciando il presunto ladrocinio, però, il contabile dell'Apsa s'è dato una zappa sui piedi: durante un sopralluogo nell'appartamento del monsignore i militari hanno trovato strani documenti e assegni circolari, che secondo i pm sarebbero stati usati da Nunzio per riciclare 560 mila euro in contanti.

Già: per estinguere un mutuo ipotecario contratto nel 2007 con Unicredit (ipoteca con cui il prete ottenne 600 mila euro per costruire e ristrutturare l'ennesimo immobile), nel 2009 don Scarano ha chiesto a 56 persone di sua conoscenza (tra loro baronesse, imprenditori caseari, parenti e commercianti di surgelati, oggi tutti indagati per concorso in riciclaggio) di girargli assegni del valore di circa 10 mila euro ognuno in cambio di contanti, forse di provenienza illecita. Le finte donazioni sono poi finite su uno dei suoi conti Ior, intitolato "Fondo Anziani".

Se l'indagine della procura guidata dal nuovo procuratore antimafia Franco Roberti sta facendo tremare la Salerno che conta, quella di Roma ha svelato un'altra marachella dell'ineffabile ex parroco: nel luglio 2012, quando ha capito che l'operazione per il rientro dei 20 milioni dei D'Amico sarebbe saltata, ha infatti finto di aver perduto un blocchetto degli assegni, in modo da bloccare un titolo da 200 mila euro che lui stesso aveva consegnato al carabiniere Giovanni Zito, lo 007 che s'era offerto di riportare con un aereo privato i soldi in Italia e che per i suoi servigi aveva già incassato da Nunzio 400 mila euro qualche giorno prima. Per la falsa denuncia Scarano è indagato anche per calunnia.
"Don 500 euro" ora ha perso tutto.

La sua trionfale scalata sociale è finita, e oggi, a 61 anni, si ritrova alla base della piramide. I vecchi amici salernitani fanno finta di non conoscerlo («Ho rotto con lui nel 2004, si fingeva mio nipote», ha detto il cardinale Moretti), i conti allo Ior (dove conosceva bene sia il direttore Paolo Cipriani sia il suo vice Massimo Tulli) sono stati congelati, l'Apsa l'ha sospeso dal lavoro.

I nobili romani gli hanno voltato le spalle. Perfino i magistrati non credono alle sue confessioni: «Finge di voler collaborare, ha attaccato Tarcisio Bertone, dice che vuole raccontare abusi che ha visto in Vaticano e sull'Apsa. Ma finora non ci sta dicendo nulla di nuovo», spiegano dalla procura. Don Nunzio sperava di aver fatto colpo, e ha chiesto tramite il suo avvocato romano Francesco Caroleo Grimaldi di essere scarcerato, ma i giudici del riesame hanno dato ragione ai pm Nello Rossi e Stefano Fava, e gli hanno negato i domiciliari, dandogli praticamente del criminale incallito.

Dal caldo della sua cella il prete ha scritto a papa Francesco, giurando di non aver «mai riciclato denaro sporco, di non aver mai rubato, ho cercato di aiutare chi chiedeva aiuto», e ha spiegato che i suoi risparmi allo Ior sarebbero serviti «a costruire un centro per malati terminali». Bergoglio non gli ha nemmeno risposto: forse Nunzio ha capito finalmente che recitare la parte della beata Imelda non funziona più.

 

 

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