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BOSSETTI, ULTIMO ATTO - TELESE: “IN DODICI ORE DI REQUISITORIA, LA PM RUGGERI HA RIPETUTO TUTTO QUELLO CHE CI HA GIÀ FATTO SENTIRE - QUANDO SI DIRADA LA NUVOLA DELLE SUE PAROLE SCOPRI CHE MANCA IL MOVENTE, IL LUOGO DEL RAPIMENTO E IL LUOGO DEL DELITTO...”

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Luca Telese per “Libero Quotidiano”

 

Dodici ore per una parola. Dodici ore per dire «Ergastolo». Parlare molto, per non dire nulla di nuovo. Parlare molto, per dire poco, pochissimo. Parlare con un ostentato sfoggio di lemmi e vocaboli tecnici: «Assorbanza», «Riflettenza», «Trasmittenza», «Micospettroscopia», «cromaticità», «Antropicità». Eccola Letizia Ruggeri, nel suo secondo e ultimo atto. Nel processo di Bergamo la regina dell' accusa chiude la sua requisitoria avvolta da una nuvola di parole auliche, sapienziali, ad effetto.

 

Letizia sembra fluttuare dentro questa nube che si solleva alimentata dal fuoco lentissimo del suo eloquio, si cala e si protegge in questa nube, come per difendersi. Quando l'Aula e la Corte capiscono che Letizia rischia di andare anche oltre l'orario di cena (unico limite sacro imposto fin dalla prima udienza dalla saggezza della presidente Antonella Bertoja), vengono prese dal panico.

 

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Passano di mano in mano generi di prima necessità, bottigliette d'acqua, tavolette di cioccolata, biscotti. Si animano scariche di tosse, mormorii, brusii indisciplinati, occhiate atterrite all' orologio. Due giorni di fila, la mattina per entrare, tra innocentisti, colpevolisti, studentesse di giurisprudenza, magùtt, operai con antropologie protobossettiane, brusii continui di pubblico e il moto di stizza della presidente quando l' attenzione crolla: «Non siamo mica al cinema!».

letizia  ruggeri  pubblico ministero del processo yara bossetti con giampietro lago dei risletizia ruggeri pubblico ministero del processo yara bossetti con giampietro lago dei ris

 

Due giorni di fila davanti al tribunale di Bergamo, ormai è un rito. Dodici ore di requisitoria, dodici ore di palcoscenico ininterrotto per Letizia, sempre in piedi. Mai seduta, mai una pausa, mai una sorsata d'acqua. La piccola-grande inquisitrice, la grande nemica di Massimo Bossetti, la Pm che ieri ha alzato l'asticella della sua accusa al massimo livello di pena immaginabile: «Ergastolo con sei mesi di isolamento».

 

Letizia, come se andasse all'esame di maturità, sull' argomento a piacere. Serena, distesa, sicura, un'unica concessione all' umanità del racconto, solo quando arriva ad evocare la figura più ancestrale delle fiabe parlando di Yara: «Una bambina abbandonata sola al buio». È il solo tentativo di evasione che la Ruggeri si concede, per uscire dalla muraglia fitta dei tecnicismi con cui si fa scudo. In questi mesi di processo ho scrutato a lungo la pm, almanaccando il suo curriculum: quarto dan di karate, motociclista, arrampicatrice, biker.

Letizia Ruggeri  Letizia Ruggeri

 

Arriva sempre con la toga dentro la busta di plastica della Polizia di Stato, come se uscisse da una palestra. Si cala nel suo paramento sacrale, sistemandosi i capelli, e sotto, ancora una volta, maglietta bianca a maniche corte, jeans e ballerine. Una requisitoria sterminata, estenuante e spigolosa come lei. Come il suo volto. Naso affilato, zigomi duri, capelli brizzolati, Letizia. Venerdi scorso, in via eccezionale, per la prima volta era venuta a sentirla sua sorella: non ha retto le otto ore e se ne è andata via prima della fine.

 

marita comi bossetti    marita comi bossetti

E quindi bisogna setacciare questa nuvola di parole, per trovare la fiammata della passione. Solo quando si dedica a demolire la personalità di Massimo Bossetti: «È Bugiardo. È bugiardo nella vita! Sul lavoro! È bugiardo anche qui in aula». Qui tutto quello che è duro, sul suo volto, diventa adamantino: «Sa piangere a comando!». Quando parla Bossetti la linea piatta dell' eloquio della Ruggeri improvvisamente si anima. Dimentica le microsfere, le celle telefoniche, le amplificazioni, le laure da politecnico che lei, anomina pm di provincia, ritiene di aver conseguito con la sua inchiesta. Come Achab quando insegue Moby Dick si anima: «È capace di mentire e di dire bugie ben strutturate».

 

MASSIMO BOSSETTI MASSIMO BOSSETTI

Letizia ripete tutto quello che ci ha già fatto sentire durante i lunghi mesi invernali del processo: «Pensate. È arrivato sul cantiere con questo foglio in mano in cui diceva che la moglie lo aveva lasciato e non poteva vedere più i figli!». Letizia diventa predatrice quando sente l' odore del sangue. Quando ritiene di aver incastrato la sua preda: «È incapace di frenare gli impulsi sessuali. Anche in carcere quando dice al fratello di Locatelli: "Carina tua sorella!". E lui le fa capire: la prima volta passi, la seconda no. È incapace di frenarsi anche quando la regola del carcere lo renderebbe inopportuno». Curiosamente non ha mai citato la Gina, la pm.

 

LUCA TELESE MATRIX CASO YARA BOSSETTILUCA TELESE MATRIX CASO YARA BOSSETTI

Ovvero la donna che con il suo carteggio le ha concesso di sferrare l'ultimo efficacissimo colpo nel processo parallelo, quello mediatico. Ma è come se lo facesse. Insegue il filo della devianza sessuale in tutte le altre storie, anche rischiando di far sorridere chi ha visto sfilare in aula questi testi: «È bugiardo anche con Eva Ravasi. La cornice che le ha venduto su Subito.it doveva essere di legno e invece era di plastica!».

yara gambirasioyara gambirasio

 

Provi a enumerare di quante cose ha parlato la Ruggeri nella suq requisitoria e ti viene in mente la celebre sentenza di Blaise Pascal: «Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve». Dilungarsi la aiuta a liberarsi di alcune incombenze. Non indica, sorprendentemente, la causa del delitto. Lo rivendica: «Non ci deve essere per forza un movente!».

 

Spiega che non è necessario citando un delitto del 2002, in cui un uomo - Roberto Paribello - aveva ucciso una ragazza dopo averle dato un passaggio, gettandola infine in un canale. E quando l'enorme mole di dati che vorticano nella nuvola di parole rischia di far scricchiolare anche l' architettura accusatoria, si smarca con le domande retoriche: "Come è successo? Non ce lo potremo mai spiegare! Ma non è che l' incertezza della dinamica inficia la validità dei riscontri che vi ho fin qui riassunto".

massimo bossettimassimo bossetti

 

E quando lei stessa sente che le tessere del mosaico sono così piccole che rischiano di perdersi dice: «Sono indizi che presi a se possono avere un valore, ma che, considerati tutti insieme - aggiunge la Pm - rafforzano quella che per noi è la prova regina, il faro delle indagini: il Dna».

 

Si dilunga, e qui è un tecnicismo che le consente di chiedere la pena massima, sulle aggravanti: «Ci sono state sofferenze aggiuntive, Bossetti ha ecceduto i limiti della causale dell' omicidio». Qui carica il colpo: «E c' è anche la minorata difesa: un uomo di quarant' anni contro una ragazzina di tredici anni che non si poteva difendere! La difesa dice che era una ginnasta, che era forte, ma le chiamano le farfalle. Sono delicate. Lei era forte nella media. Ma sicuramente era meno forte dell' uomo che l' ha aggredita!».

leggings di yaraleggings di yara

 

Affondo: «Stando così le cose non è naturale chiedere le attenuanti, nemmeno generiche! Si richiede che l' imputato sia condannato all' ergastolo con la reclusione di sei mesi». Ovviamente, anche la moglie che difende il marito è un pilastro da demolire: «Marita mente, e sa di mentire. Si fa carico di ricerche pornografiche che non ha fatto lei!». La Ruggeri ricorre alle intercettazioni post arresto per ribadire il suo concetto. Le legge: «Non sei tornato tardi-tardi, quella sera». Le interpreta: «Implicitamente dice che seppure non tardissimo era tornato più tardi del solito». Anche in dodici ore può esserci una autentica perla, e secondo me è questa: «Bossetti non si è dimostrato collaborativo con le indagini».

il furgone di massimo bossettiil furgone di massimo bossetti

 

Accusato di omicidio, e dichiarandosi innocente, come avrebbe potuto essere collaborativo? L'altra bestia nera sono i consulenti della difesa. Di cui prima che confutare le argomentazioni - come già nel processo, - attacca i titoli, i curricula, la legittimità.

 

Però quando la requisitoria finisce, e si dirada la nuvola di parole, scopri che oltre al movente, manca anche un luogo del rapimento individuato con certezza, che scompare il luogo del delitto. Archivi di parrocchie, registri auto, muratori, valli chiuse, ammanti, tradimenti, scontrini di trattorie, cantieri. Quando la nuovola delle parole di Pletizia si dirada rsta il sopsetto che la Bergamasca stia processando Bossetti. Ma anche se stessa.

 

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