BUZZI, L’OMICIDA MODELLO - LA VERA STORIA SPARITA DALLE CRONACHE: IL CAPO DELLE COOP ROMANE FU CONDANNATO PER AVER AMMAZZATO CON 34 COLTELLATE IL SUO COLLEGA DI TRUFFE. E HA PURE CERCATO DI BRUCIARE IL CADAVERE - FU GRAZIATO DA SCALFARO NEL 1994

Buzzi a 25 anni uccise il suo collega in banca: minacciava di rivelare ai superiori le truffe con gli assegni falsi. Si costruì un alibi falso, che cadde dopo la confessione della fidanzata brasiliana. Detenuto modello, convinse Don Di Liegro e il Presidente della Repubblica della sua ‘conversione’...

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Paolo Papi per www.panorama.it

 

SALVATORE BUZZI SALVATORE BUZZI

Contrariamente a quanto sostenuto a caldo da tutti i principali quotidiani italiani, Salvatore Buzzi, il capo della cooperativa 29 giugno al centro dell'inchiesta Mafia Capitale, non è stato condannato nei primi anni 80 per omicidio colposo. Né, come è stato detto a Bersaglio Mobile, per l'assassinio di una prostituta. Salvatore Buzzi è stato condannato nel giugno del 1980 per aver ucciso con 34 coltellate un suo complice a Roma.

 

L'episodio e il movente non sono irrilevanti per inquadrare il profilo psicologico e criminale di quest'uomo che, nel suo percorso di vita, casi di corruzione a parte, ha saputo prendere un po' tutti per il naso, financo due galantuomini come l'ex presidente della Camera Pietro Ingrao, il presidente della Caritas Don Luigi Di Liegro e lo stesso presidente Oscar Luigi Scalfaro che nel 1994 gli concesse la grazia, dopo aver constatato il pieno recupero del detenuto. 

SALVATORE BUZZI OMICIDA SULL UNITA DEL 1980 SALVATORE BUZZI OMICIDA SULL UNITA DEL 1980

 

L'omicidio che gli aprì le porte di Rebibbia avvenne nel giugno 1980 dopo che un suo complice lo aveva minacciato di rivelare ai superiori della banca per la quale lavorava  il vorticoso giro di assegni falsi che incassava e si spartiva col suo socio, grazie alle mansioni che svolgeva. 34 coltellate, un alibi costruito in fretta e furia grazie alla complicità della fidanzata brasiliana, infine la confessione.

 

Insomma, Buzzi, prima di diventare quello che sarebbe diventato, un detenuto modello che era riuscito a laurearsi in carcere (primo in Italia), per di più con il massimo dei voti, era sin dagli esordi un truffatore. Non esattamente il profilo criminale più adatto per gestire un fiume di denaro pubblico, come sarebbe avvenuto in seguito.

 

OSCAR LUIGI SCALFARO OSCAR LUIGI SCALFARO

Buzzi, in sostanza, era un imbroglione che non aveva esitato a uccidere in modo anche efferato e che, quando si trovò dietro le sbarre, seppe calarsi perfettamente nella parte, divenne il punto di riferimento dei detenuti di Rebibbia, il testimonial vivente della bontà della legge Gozzini, il fondatore di una cooperativa che avrebbe messo in pratica l'utopia costituzionale del reinserimento dei detenuti, l'uomo che aveva saputo studiare e riscattarsi, ricevendo pubblici riconoscimenti di parlamentari e dirigenti della sinistra e dell'associazionismo cattolico che si battevano da anni per i diritti e il reinserimento dei detenuti. Il resto della storia la conoscete, ma l'inabissamento, va detto, gli è riuscito alla perfezione. 

 

Luigina Di Liegro Luigina Di Liegro

La domanda che molti si pongono è come sia possibile che un uomo che era finito dietro le sbarre non solo per omicidio, ma anche per truffa, al netto della condanna già scontata, possa arrivare a controllare un giro d'affari di soldi pubblici e appalti per 60 milioni di euro annui. Sciatteria politico-istituzionale? Complicità diffuse? Eccessiva fiducia negli esseri umani? Queste domande rimarranno probabilmente senza risposta.

 

O le risposte contengono tutte un principio di verità. La nostra classe dirigente è un po' incompetente, un po' collusa e anche, nel migliore dei casi, un po' ingenua sulla possibilità di riscatto degli uomini. Si chiese una volta, per tutt'altra finalità, Pier Paolo Pasolini: «Può un uomo essere molto diverso dalla propria storia?»

 

 

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