“CHIEDO PERDONO” - PARLA IL CARABINIERE CHE HA COLPITO A MORTE DAVIDE: “NON SONO UN RAMBO, NON HO MIRATO, È STATO UN TERRIBILE INCIDENTE” - “IL COLPO IN CANNA? CE LO AVEVO PERCHÉ IO E IL MIO COLLEGA INSEGUIVAMO UN LATITANTE”

Il carabiniere si rivolge “con pudore” ai parenti di Davide e racconta la sua versione dei fatti: “Sono inciampato, quella notte, mentre bloccavo l’altro giovane che si divincolava. Se si fa una perizia si vedrà che c’è il gradino” - Domani l’autopsia, il caso diventa “politico”...

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Conchita Sannino per “La Repubblica

 

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«Sono addolorato. Con pudore voglio dire alla famiglia di Davide che chiedo perdono per questa perdita, consapevole che niente e nessuna parola potrà attutire il dolore, che segnerà per sempre anche la mia vita». Poche parole. Il carabiniere che ha ucciso il diciassettenne Davide Bifolco parla a testa bassa, appare provato e affida questa riflessione a Repubblica, attraverso il suo avvocato, Salvatore Pane. Lo chiameremo Marcello, 32 anni, single.

 

È la prima volta che Marcello parla con un penalista che non sia il difensore di uno degli arrestati, perfino quella notte non si è rivolto a un legale di fiducia, ma a un avvocato d’ufficio. Questo è il messaggio a cui ha pensato per giorni, e che non sa se varcherà mai il cuore di una casa avvolta dal lutto, né di quel rione che ancora è acceso dall’odio, dalla rabbia, dalla disperazione.

 

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«Io so — continua il militare, 32 anni, cresciuto in un paese contadino della provincia campana — che però questa tragedia è stata la conseguenza impensabile,

umanamente inaccettabile, di un incidente. Solo un terribile incidente. Non ho mai puntato la pistola, ho alle spalle oltre dieci anni di lavoro, anche a Verona ». Ma mentre lui si apre, nelle stesse ore, un corteo di giovani e amici di Davide attraversa tutta la periferia e arriva fin nella Napoli bene, alla caserma del Nucleo Radiomobile del corso Vittorio Emanuele dove Marcello prestava servizio fino a giovedì.

 

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Continua Marcello: «Se avevo il colpo in canna, quella notte, è perché io e il mio collega inseguivamo un latitante. Non sono mai stato un Rambo, non ho mai neanche immaginato di puntare la pistola. Sono inciampato, quella notte, mentre bloccavo l’altro giovane che si divincolava. Se si fa una perizia si vedrà che c’è il gradino».

 

Strategie diverse e contrarie, ovviamente, continuano a tenere banco. Mentre Marcello attende gli esiti dei primi accertamenti tecnici, la famiglia di Davide attraverso il suo avvocato Fabio Anselmo, legittimamente, mette in agenda una serie di analisi ulteriori. Risultato: i funerali slittano, i test su quei poveri resti dureranno fino a domani, quando è prevista l’autopsia, il caso diventa politico e non solo giudiziario.

 

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L’avvocato Anselmo annuncia: «Abbiamo raccolto ormai sei testimonianze. Consegneremo questo materiale alla Commissione dei diritti umani del Senato». Gli fa eco il senatore del Pd Luigi Manconi: «Non si facciano errori, non si commettano omissioni e non si tralasci alcunché nella primissima fase di un’indagine così delicata».

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Intanto spuntano gli altri verbali. Colpiscono le dichiarazioni rese dal 18enne Salvatore Triunfo, subito dopo la tragedia, al pm Manuela Persico, le cui indagini sono coordinate dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso. «È cominciato un inseguimento ad alta velocità — dice Triunfo — Siamo stati stretti, a bassa velocità (30-40 km/h) nei pressi del marciapiedi che costeggia viale Traiano.

 

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A questo punto l’auto dei carabinieri che aveva anch’essa superato il cordolo delle carreggiate per venirci dietro, ha impattato il nostro motorino dietro e ci ha fatto cadere. Il ragazzo che guidava il motorino è scappato subito mentre io stavo per rialzarmi e Davide era già riuscito ad alzarsi. Ho visto un carabiniere che puntava la pistola verso Davide. Ho sentito il colpo e non ho visto la precisa direzione, perché mi sono girato. Poi Davide ha cominciato a tremare, mentre era a terra e dopo pochi minuti non si muoveva più».

 

 

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