DOVE SEPPELLIAMO LE NOSTRE SCORIE NUCLEARI? L’ITALIA, ATTRAVERSO LA SOGIN, DOVRÀ REALIZZARE UN DEPOSITO NAZIONALE PER LO SMALTIMENTO DELLA MONNEZZA RADIOATTIVA - IL PROGETTO È UN BUSINESS DA CIRCA 1,5 MILIARDI DI EURO - E A REGIME OSPITERÀ CIRCA 700 LAVORATORI

L’iter per individuare le aree che potranno ospitarlo sta per partire con la pubblicazione della mappa che ha fatto lo screening al territorio italiano per identificare le zone che rispondono a ben 13 criteri di scelte come la distanza di almeno 5 chilometri dal mare o l’attività sismica quasi nulla… -

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Filippo Caleri per “Il Tempo”

 

centrale nucleare di flamanville in normandia centrale nucleare di flamanville in normandia

Nel cuore della campagna francese, a nord di Parigi, tra mucche e campi coltivati, i francesi custodiscono buona parte dei rifiuti nucleari prodotti dalle centrali e dalle applicazioni mediche e industriali. È a Sulaneis-Dhuys, nella regione dell’Aube, che sorge il deposito di stoccaggio gestito dalla società pubblica Andra incaricata dal governo di mettere in sicurezza le scorie atomiche e controllarne che il decadimento naturale, ovvero la perdita naturale della carica radioattiva nei prossimi 300 anni (trecento ndr) non si disperda nell’ambiente.

 

Ci si arriva aver attraversato un bosco fitto di lecci e frassini e l’apparire del deposito smitizza l’idea di un luogo di massima sicurezza che il compito delicato suggerirebbe. A difenderlo una rete alta sormontata dal filo spinato, telecamere, ma nessun carro armato o autoblindo all’ingresso. Solo cortesi impiegati che rilasciano badge che consentono l’accesso da tornelli stile ministeriale. E se la mente immagina un sito con uomini vestiti con tute colorate, maschere a ossigeno e contatori geiger in perenne fibrillazione, la realtà che si presenta al visitatore è molto deludente.

 

centrale nucleare francese centrale nucleare francese

Il centro di stoccaggio altro non è che una lunga serie scatoloni di cemento armato lunghe una sessantina di metri e alti come una palazzina di due piani. Niente di più se non, per alcuni, una mano di vernice impermeabilizzante verde che contribuisce a rendere meno anonimi gli scatoloni di cemento.

 

Ogni giorno un camion preleva dall’impianto di trattamento, o meglio di condizionamento (questo il termine tecnico) i fusti nei quali tutto il materiale atomico viene miscelato con cemento per imbrigliarne la potenza contaminante, portato nell’hangar, posizionato sul modulo che in quel momento si sta riempiendo e posizionato da una gru di precisione in un punto preciso identificato da un codice a barre.

 

centrale nucleare francese centrale nucleare francese

Quando ogni spazio è colmo viene gettata una colata di cemento, si forma un nuovo pavimento, si alza di un piano e si ricomincia fino a raggiungere il tetto. Che è l’ultimo strato che rappresenta il coperchio della bara che conserverà quel che resta dell’attività atomica dei francesi fino a che non diventi polvere innocua.

 

TOCCA ALL’ITALIA

Un impianto quello francese al quale anche la società italiana che si occupa di gestire le scorie atomiche, la Sogin, si ispira. «Già è questo il punto - spiega Fabio Chiaravalli, direttore del deposito nazionale italiano in visita in Francia - non c’è scelta. Anche il nostro Paese deve costruire il suo sito di stoccaggio. Ogni nazione europea lo deve costruire per trattare quanto resta della scelta energetica, abbandonata dopo il referendum, ma anche di tutto quello che continuiamo a produrre». Sì, l’Italia ha ancora tanto materiale atomico da smaltire.

 

il sito nucleare di Marcoule jpeg il sito nucleare di Marcoule jpeg

E la prassi internazionale prevede che ogni paese si occupi della sicurezza dei suoi «isotopi». Non sarà facile convincere gli italiani assai allergici alla radioattività in tutte le sue forme (nonostante siano stati gli scienziati italiani a scoprirne le applicazioni scienfifiche con la scuola di Enrico Fermi) ma anche se i siti di produzione sono stati bloccati, gli apparecchi medici con le quali si fanno le lastre a raggi x, ad esempio, producono a tutti gli effetti materiale da monitorare.

 

«Oggi ci sono decine di siti nei quali si stoccano scorie a bassa intensità di emissione in tutta Italia. Quello che dobbiamo fare è crearne uno solo, più facilmente controllabile e soprattutto adeguato ai severi standard internazionali di sicurezza» aggiunge ancora Chiaravalli. L’iter per individuare le aree che potranno ospitarlo sta per partire con la pubblicazione della mappa che ha fatto lo screening al territorio italiano per identificare le zone che rispondono a ben 13 criteri di scelte come la distanza di almeno 5 chilometri dal mare o la’ttività sismica quasi nulla. Solo dopo questo passo i comuni che insistono su queste aree potranno manifestare il loro potenziale interesse.

NUCLEARE NUCLEARE

 

Per superare la potenziale ostilità delle comunità la procedura seguirà la formula del dibattito pubblico, molto usata in Francia. La Sogin si confronterà pubblicamente con i cittadini, cercando di spiegare con la massima trasparenza i rischi e le opportunità nell’ospitare l’impianto. «Una procedura che può facilitare un salto culturale nella scelta della costruzione delle grandi opere in Italia» conclude Chiaravalli.

 

Il progetto del deposito nazionale avrà un impatto significativo sul territorio nel quale insisterà. Innanzitutto la sua progettazione e costruzione è un business da circa 1,5 miliardi di euro. E a regime ospiterà circa 700 lavori direttamente impiegati. Non solo maestranza e impiegati, ma anche tecnici e ricercatori perché è previsto accanto al sito di stoccaggio anche la creazione di un parco tecnologico che studierà il trattamento di parte dei circa 90 mila metri cubi di scorie che il deposito ospiterà a regime.

 

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