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GIOCHI EROTICI, PERVERSIONI, ESCORT E DOMINATRICI, FETISH, TRAVESTIMENTI E DOLORE - ECCO L’INCHIESTA DI “PANORAMA” SUL MONDO DEL SESSO E DEL PIACERE A MILANO-ANO-ANO - IL RACCONTO DELLA ESCORT ARISA: “NON HO INIZIATO PER GIOCO MA PER CASO. UN AMICO MI CHIESE SE POTEVA ANNUSARMI E LECCARMI I PIEDI. ALL’INIZIO NE RIDEVO, MA LUI CONTINUAVA E INSISTEVA: ‘GUARDA CHE NON È UN PROBLEMA DI SOLDI, TE NE DO TANTI DA FARTI STAR BENE’. ALLORA ANDAMMO IN UN NEGOZIO IN CENTRO A MILANO, CI INFILAMMO IN UN CAMERINO E…”

Gianluigi Nuzzi per “Panorama”

 

“Taci, stronzo! Sì, sì: adesso senti che arriva il tuo sacchetto adorato? Te lo metto piano, piano piano, sfigato che sei...». L’aguzzina infila la busta di plastica, lorda di spazzatura maleodorante, sulla testa del manager di una grossa società petrolifera italiana. Poi gliela fa scendere giù, giù, fino al collo. Lui resta immobile, i muscoli sempre più tesi. «Mfff...Uhmmfff»: emette sibili che sembrano di terrore, invece è piacere (a modo suo). Lei si gira, mi guarda. Attendo uno sguardo tronfio e vincente, invece l’occhio grigioverde di Arisa è del tutto inespressivo.

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Ma è meglio non sondare gli occhi di Arisa, guscio vuoto che naviga, meglio non guardare nelle sue lunghe palpebre nere, da pantera. Se questa ragazza non avesse vent’anni appena compiuti, o i capelli lunghi raccolti, la pelle chiarissima, il portamento lento ma deciso, e se non avesse oltre sessant’anni il suo devoto cliente, quella cui assisto potrebbe essere una scena da far filmare a Quentin Tarantino e non l’ultima frontiera della prostituzione.

 

Siamo a Milano, dove evidentemente l’abbandono alle pratiche erotiche più sfrenate lascia il posto a situazioni di piacere «diverso». Un tempo si chiamavano perversioni, ora vengono definite «parafilie». Il baricentro non è più il sesso, quindi, ma il godimento provocato da situazioni che si spingono ben oltre lo spettro della fantasia. Venire calpestati, per esempio, ma anche insultati, truccati e vestiti da donna; fino, per l’appunto, a simulare il soffocamento.

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È sparito o quasi il sesso, che per tutta la sessione (meglio, per l’intera «seduta»: questo il termine, quasi medico, che oggi Intanto, davanti ai miei occhi, la scena continua a evolversi: il sacchetto di plastica nera lentamente cala fino alla carotide dell’uomo, che pulsa. In un lampo Arisa incrocia con maestria i manici, stringe un doppio nodo. «Ora muori, m -u -o -r -i!». «Uhmff...mfff», ansima ancora lui.

 

La stanza è piena solo di silenzio, misto al respiro sordo dell’incappucciato. L’uomo consuma l’aria della busta in un lampo, saranno al massimo un paio di minuti. Gli manca di certo l’ossigeno, eppure resta lì, immobile. Il suo destino, del resto, è appeso alle bizze della sua padrona. Quando l’ansimo si fa spasmo, la ragazza rilascia la busta. Il volto dell’uomo è stravolto, ma dimesso: lo sguardo è chino, non guarda mai attorno. «Un tempo» osserva lo psichiatra Massimo Picozzi «queste si chiamavano perversioni, e la definizione trascinava con sé un giudizio più morale che clinico.

 

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Oggi è più corretto definirle “parafilie”, dove l’eccitazione sessuale viene innescata da oggetti o da attività sessuali inusuali. Se poi causano un disagio significativo o un danno al soggetto o a chi gli sta intorno, vengono definiti disturbi parafilici. Il celebre manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali ne riporta otto tipologie: c’è il disturbo voyeuristico e quello esibizionistico; c’è il froetturismo, cioè il piacere legato al toccare o allo strusciarsi contro un soggetto non consenziente, e ancora il masochismo e il sadismo; poi ci sono la pedofilia, il disturbofeticistico e il feticismo di travestimento».

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A eccezione delle violenze su minori e di ogni comportamento che può anche minimamente prevedere la consumazione di un reato, Arisa è ben disposta. E così alterna le «sedute» sessuali ai manuali di sociologia che deve sbranare per rimanere al passo con gli esami che l’aspettano all’Università Statale. Già, perché Arisa è anche, e forse persino soprattutto, una studentessa: la classica ragazza insospettabile dalla doppia vita.

 

Mischia gli evidenziatori e i testi di Georg Wilhelm Friedrich Hegel e di Karl Raimund Popper agli annunci di Bakeca incontri e di Rosso fetish, dove il fatto di presentarsi proprio come una studentessa rende particolarmente ricercate le sue inserzioni. E lei non si tira indietro. «Io non ho iniziato per gioco ma per caso» racconta a Panorama. «Un amico mi chiese se poteva annusarmi e leccarmi i piedi. All’inizio ne ridevo, ma lui continuava e insisteva: “Guarda che non è un problema di soldi, te ne do tanti da farti star bene».

 

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Andammo in un negozio in centro a Milano, ci infilammo in un camerino e li per tre, quattro, al massimo cinque minuti passati leccadomi i piedi mi diede 100 euro. Capite? In quel periodo, i miei genitori me ne davano 40 alla settimana, e lui invece in quattro minuti me ne aveva dati 100, e senza nemmeno andarci a letto. Tre ore dopo quel mio primo incontro, aveva già messo online i primi annunci».

 

È così che nasce e si sviluppa una doppia vita: «Mia madre fa la badante da un’anziana, e non mi ha mai beccato. Non credo capirebbe. A lei, comunque, basta che le faccia vedere il libretto dell’università con buoni voti, più un sorriso, ed è contenta».

 

E il passo successivo? «È stato quello di coinvolgere le amiche, le compagne di studio. Ho detto: “Ragazze perché non proviamo? Dopo tutto, che cosa rischiamo?”». Già, che cosa si rischia? «Ma niente! Ormai saranno due anni, e ho una clientela che in gran parte è abituale. Se andiamo in hotel, il cliente deve lasciare il documento e già questo è una garanzia. Prima però» e qui Arisa si fa seria «devi selezionare».

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E come si fa a selezionare? «Ai tuoi annunci, i clienti rispondono via email. E qui io adotto i primi filtri. Prima di tutto, cestino chi scrive male in italiano, e non mi fido di stranieri, come gli slavi che poi magari ti sbattono in qualche tratta. Preferisco sempre gli sposati, perché hanno qualcosa in più da perdere, e quelli sopra i quarant’anni così evito di incrociare qualcuno che magari conosco. Immagina l’imbarazzo?».

 

Arisa è un fiume in piena. «Quando li incontro, pongo subito alcune regole inderogabili: se per esempio uno usa droga, io me ne vado subito; e sto molto attenta anche se il cliente inizia a farmi discorsi strampalati. Una volta, per esempio, uno si è presentato già con la parrucca e vestito da donna, con le scarpe da ginnastica rosa fucsia. Io avevo preso in affitto un bilocale per due giorni, e quando ho aperto la porta a stento non gli ho riso in faccia. Un altro, invece, voleva che lo accompagnassi in Svizzera perché voleva regalarmi un rene come prova di devozione assoluta.

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Un altro ancora mi ha comprato per 500 euro un assorbente usato, che avevo tenuto fuori dal balcone per una settimana. Oppure quello che nel bagno di un bar si è messo a leccare lo scopino del wc, che schifo...

Ma comunque questi sono casi limite, gente fuori di testa». Che cosa pensa Arisa dei suoi clienti? «Sono degli sfigati, glielo urlo spesso in faccia». Si arrabbiano? «Scherzi? Al contrario, sono contenti».

 

E le tariffe? Quanto si paga per una «seduta»?

Il prezziario, spiega Arisa, va a tempo: «Un’ora 200 euro, due ore 350». E chi è che si può permettere queste cifre? «In genere sono professionisti, o almeno così mi dicono i miei clienti: avvocati, medici... Ma a me del loro lavoro interessa poco. Va detto anche che, se siamo in due, si parte da 300 euro all’ora».

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In due, sì: perché Arisa ha fatto proseliti tra le amiche e ha creato una sorta di team del «famolo strano».

 

Racconta la ragazza: «Tra Milano e Roma siamo una mezza dozzina. Siamo tutte studentesse, a eccezione di una che ha mollato l’università perché non riusciva a stare dietro a tutto. In genere lavoriamo da sole o in coppia, ma c’è anche qualche cliente che chiede di giocare con tre o quattro ragazze per volta. E così gli incassi aumentano. Tra di noi c’è chi porta a casa 2 mila euro al mese, ma solo perché lavora poco. Io sono arrivata a guadagnare anche 1.100 euro in un giorno, e mai meno di 4 mila al mese».

 

In questo periodo, al «lavoro», Arisa fa coppia fissa con una ragazza ancora più giovane di lei (tra i 18 e i 19 anni) che chiameremo Cristina. Anche Cristina mi incontra senza alcun problemi: «A differenza di Arisa» spiega «io ho raccontato tutto a mia mamma». E come l’ha presa? «Nessuna punizione» ride Cristina: «quelle le impongo io ai miei clienti. Mamma all’inizio era un po’ preoccupata, ma per fortuna ho dei genitori stra-stra liberi e così l’ha accettato, anzi mi ha sostenuto... Quasi quasi voleva partecipare anche lei...». Le due ragazze si guardano e scoppiano a ridere. «Ormai a mamma dico: “Devo uscire per fatturare”, e lei quasi mi augura buon lavoro».

 

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Ma perché lo fate? Cristina è la prima a ri spondere: «I miei mi davano 80 euro di paghetta alla settimana e mi scocciava chiedere sempre soldi. Così ora sto bene, posso uscire la sera ed essere indipendente». Chi infatti pensa che le ragazze lo facciano per pagare vizi inconfessabili o per comprare l’ultima borsa griffata è fuori strada. «Se volessi una borsa o un vestito, i miei me li comprerebbero» spiega Cristina. «Io voglio spendere senza chiedere e senza spiegare. Poter entrare in un ristorante senza l’ansia di guardare i prezzi o sperare che l’amico paghi il conto, mi toglie ogni piacere. Ecco questo è il motivo».

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Arisa aggiunge: «In realtà, forse, c’è anche altro» quasi riflette ad alta voce. «Forse c’è una certa soddisfazione nel vedere le debolezze degli altri». Anche se è più giovane, Cristina è più risoluta dell’amica: «Io non ho mai fatto sesso con un cliente e questo non rientrerà mai nel mio pacchetto». Un pacchetto? «Ma sì, dài: quello completo in un’ora prevede che calpesti il cliente con i tacchi, che gli dia qualche schiaffo o che lo porti al guinzaglio». E il sacchetto in testa?

 

«Io non lo faccio» risponde veloce Cristina. «Ci sono stati anche morti...».

Arisa ride delle paure della collega: «Sì, però in un paio di minuti guadagni 100 euro in più». Poi guarda l’orologio, si scuote e si congeda: «Scusate, mi aspetta il mio Super -nonno!». Cioè? «È un cliente che vuole solo parlare, al massimo si fa calpestare. Soltanto il posto che sceglie mi mette un po’ paura». E che posto è? «Ci incontriamo sempre in un cimitero, lui dice che lavora lì. Ogni sera accende i ceri, poi mi dà la buonanotte firmando il messaggino: “Il tuo schiavo”. Ma quanti anni ha, Super-nonno? «Ne ha 60 e passa, è vedovo. Ma è una persona tanto, tanto cara...».

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