LA LEGGE È COSA NOSTRA - È MORTO JAMES LAROSSA, CHE DIFESE I BOSS DELLA MAFIA NEWYORKESE: “NON VOGLIO PROVARE LA LORO INNOCENZA, IMPEDISCO CHE I PROCURATORI RIESCANO A DIMOSTRARE LA LORO COLPEVOLEZZA”

La realtà di LaRossa supera di gran lunga la fiction del “Padrino”: John Gotti gli aveva chiesto di difenderlo nel processo per l’omicidio del capo della famiglia Gambino, minacciandolo di morte. Poi rappresentò Vincent Gigante, capo dei Genovese, che si fingeva pazzo girando in vestaglia e pisciando per strada...

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Paolo Mastrolilli per “La Stampa

 

vincent the chin gigante vincent the chin gigante

Il boss gli fece un’offerta che non poteva rifiutare, e non si trattava di un film. Infatti John Gotti in persona aveva chiesto all’avvocato James LaRossa di difenderlo nel processo per l’omicidio del capo della famiglia Gambino, Paul Castellano, e per convincerlo gli aveva fatto sapere che in caso di risposta negativa lo avrebbe mandato a dormire con i pesci. James però fu costretto dai giudici a rifiutare, perché in quello stesso procedimento sarebbe dovuto comparire come testimone, vista la sua vicinanza con Castellano.

 

Se è vero che certe volte la realtà batte la fantasia, la vita dell’avvocato LaRossa, morto a 82 anni in California per un tumore all’esofago, rientra di diritto in questa categoria. Perché davanti a lui, difensore degli ultimi boss mafiosi più spietati di New York, fa una figura meschina persino Tom Hagen, il consigliere di don Vito Corleone interpretato magistralmente da Robert Duvall nel «Padrino».

tommy bilotti tommy bilotti

 

James Michael LaRossa era nato a Brooklyn il 4 dicembre del 1931. Il padre faceva il postino, ma lui in qualche modo era riuscito a laurearsi in legge a Fordham, l’università dei gesuiti che ha la sede principale nel Bronx. Aveva servito anche nei Marines durante la guerra in Corea, un po’ come Michael Corleone aveva fatto nella Seconda Guerra Mondiale, ma era così sveglio che poi il Procuratore di Manhattan lo aveva assunto nel suo staff. James aveva fatto tesoro dell’esperienza, però voleva fare l’avvocato, «perché è l’unica professione dove se lavori duro puoi crescere, anche senza le ovvie connessioni famigliari che io non possiedo».

paul castellano paul castellano

 

Naturalmente intendeva le raccomandazioni altolocate, perché in realtà di connessioni famigliari ne aveva in abbondanza, con tutte le cinque famiglie mafiose che avevano costituito la cupola di New York. Nel 1985, infatti, l’intraprendente procuratore Rudolph Giuliani aveva messo sotto inchiesta i capi di questa «commissione» della criminalità organizzata, e Paul Castellano, leader dei Gambino, aveva chiesto a LaRossa di difenderlo. Si incontrarono per parlare del caso il 16 dicembre, e subito dopo Castellano andò a cenare con il suo vice Tom Bilotti nella bisteccheria Sparks, a Midtown.

 

Davanti alla porta, però, trovò due killer con i mitra sotto al cappotto, che lo crivellarono di colpi. A pochi metri di distanza, seduto dentro un’auto parcheggiata, osservava la scena John Gotti, leader emergente dei Gambino, che aveva ordinato quell’omicidio per liberarsi del boss contrario ai suoi traffici di droga e prenderne il posto.

 

l omicidio di paul castellano l omicidio di paul castellano

Quando Giuliani aprì l’inchiesta su quel reato, l’ultima esecuzione così sfacciata della mafia a New York, Gotti chiese proprio a James di difenderlo, avvertendolo che l’alternativa era ammazzare pure lui. LaRossa fu costretto a rifiutare dai giudici, che lo volevano come testimone del caso, essendo stato uno degli ultimi a vedere Castellano vivo, ma lui comunque protesse Gotti: «Scherzava, quando ha detto che mi avrebbe ucciso. Siamo amici da quindici anni, non mi farebbe mai del male».

 

john gotti john gotti

Gotti poi nel 1992 era stato condannato, per finire i suoi giorni in carcere, ma nel frattempo James era già passato ad un altro caso di altissimo profilo: il processo contro Vincent «The Chin» Gigante, capo assoluto della famiglia dei Genovese. Per anni aveva evitato l’arresto fingendosi pazzo. Girava per il Greenwich Village in pantofole e vestaglia, blaterando frasi sconnesse, e spesso si fermava a urinare sui muri. Al processo si presentò con la giacca, ma continuando a muovere le labbra per ripetere parole astruse, e LaRossa lo difese così: «Vedete, vostro onore? Non sono mai riuscito ad avere una comunicazione sensata col mio cliente».

 

john gotti the last don john gotti the last don

Nella sua onorata carriera, James ha ottenuto anche successi storici che hanno fatto giurisprudenza. Ad esempio nel processo contro John Giglio, accusato di aver emesso assegni falsi, ottenne l’annullamento della condanna da parte della Corte Suprema, perché il procuratore non l’aveva informato che aveva promesso l’immunità ad un testimone se avesse sostenuto l’accusa.

 

Da allora in poi, dunque, per tutti i magistrati divenne obbligatorio avvertire gli avvocati di simili accordi, facilitando la difesa dei boss che in genere venivano sempre incastrati attraverso questi tradimenti dei loro uomini. Giglio naturalmente era colpevole, così come Castellano, Gotti, Gigante, e tutti gli altri delinquenti sanguinari difesi da LaRossa. Però lui, che secondo il «New York Times» si definiva «l’ultimo dei gladiatori», sosteneva di non avere alcuna remora morale: «Io non cerco di provare la loro innocenza. Mi limito ad impedire che i procuratori riescano a dimostrare la loro colpevolezza».

james larossa james larossa

 

 

 

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