MA CHE È SUCCESSO A BORGO PANIGALE? – COLPO DI SONNO O DISTRAZIONE? LA GIORNATA PIÙ LUNGA DI ANDREA ANZOLIN, L’AUTISTA MORTO NELL’ESPLOSIONE A BOLOGNA: ERA CONSIDERATO UN AUTISTA ESPERTO MA AVEVA GIÀ 10 ORE DI LAVORO ALLE SPALLE -  IL POLIZIOTTO EROE: “IL TIR STAVA PER ESPLODERE E LE PERSONE FACEVANO FOTO E RIPRESE”

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1 – LE ULTIME DIECI ORE DELL' AUTISTA MODELLO "SI È DISTRATTO, FORSE PER IL TELEFONINO"

Davide Lessi e Nicola Pinna per “la Stampa”

 

ANDREA ANZOLIN ANDREA ANZOLIN

Era il momento di riprendere velocità e Andrea Anzolin aveva appena premuto sull' acceleratore. Non dormiva, era sveglio e aveva il controllo del camion. Almeno fino a quando non ha trovato un altro blocco. Una nuova coda, imprevista, al primo chilometro della tangenziale di Bologna.

Lui non se l' aspettava.

 

Credeva di essere uscito dalla più rovente trappola del traffico emiliano e per questo, sospetta la Polizia stradale, lo schianto di lunedì è stato causato da un' assurda distrazione. Guardando e analizzando le tante immagini dell' incidente, gli agenti hanno una certezza: non è possibile che l' autista dell' autocisterna si fosse addormentato sul volante perché poco prima del tamponamento esplosivo era passato indenne attraverso un altro ingorgo.

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Lo aveva superato senza problemi, tra frenate e piccole accelerazioni. Poi la disattenzione. Che ha rischiato di provocare una strage. «La fortuna - raccontano i vigili del fuoco che ispezionano la voragine creata dall' esplosione - è che qui il gas ha avuto la possibilità di sfogare su tutti i lati. Altrimenti avrebbe fatto crollare i palazzi».

 

I quattro ustionati gravi

C' erano 23 mila chili di Gpl nella cisterna e l' altro camion coinvolto nell' incidente trasportava un carico di solventi infiammabili. Un mix micidiale. «È un miracolo che alla fine ci sia stata solo una vittima», dicono gli anziani di Borgo Panigale che da 24 ore osservano le ispezioni delle forze dell' ordine.

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Ma i feriti in realtà sono tanti: 145, alla fine, quelli accompagnati di corsa negli ospedali della città e della provincia. In quattro, i più gravi, subito trasferiti nei centri grandi ustionati di Cesena e Parma. Ieri in 18 erano ancora ricoverati, altri 14 in osservazione: tra loro una bambina all' ospedale Maggiore.

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L' inchiesta segue le ipotesi del disastro colposo e delle lesioni colpose plurime. «Non è stato necessario sequestrare l' arteria stradale», spiega il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato.

Con il collega titolare del fascicolo Antonello Gustapane hanno deciso che non fosse necessario fare l' autopsia dell' unica vittima: l' autista. Si sarebbe distratto, secondo la polstrada, forse al cellulare.

 

Un conducente esperto

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Non aveva figli Andrea Anzolin. Aveva 42 anni, era sposato e viveva ad Agugliaro, provincia di Vicenza. Abitava a quindici minuti dal posto di lavoro.

 

La sua giornata più lunga era iniziata prima dell' alba, alle 4: ad Alonte, un altro paesino vicentino, dove la ditta di cui era dipendente gestisce un grande deposito. Quando è arrivato all' altezza di Bologna aveva sul tachimetro già quasi 10 ore di lavoro: si era fermato due ore a Livorno ed era ripartito.

 

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Per giungere a destinazione avrebbe dovuto macinare altri 135 chilometri . «Non era stanco, aveva riposato per due giorni di seguito, sabato e lunedì», raccontano gli altri dipendenti della Loro Spa, l' azienda che distribuisce carburanti in tutto il Veneto.

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Quello in programma per lunedì, giornata rovente, era un viaggio impegnativo: andata e ritorno fino al deposito costiero di Livorno. Anzolin era considerato un conducente esperto, lavorava in questo settore da oltre dieci anni.

 

Il carico di Gpl

«Sono a Livorno, fin qui tutto ok». Alle 8.30, dopo i primi 312 chilometri di viaggio, Anzolin fa sapere di essere arrivato al deposito costiero. Iniziano le operazioni di carico del gas. Finalmente spegne il motore. Forse si riposa per un paio di ore. Alle 10.30 chiama l' azienda: «La cisterna è carica, ho ricevuto i documenti per il trasporto. Parto subito».

 

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In Veneto lo aspettano per scaricare il Gpl alle 15.30, massimo alle 16. Ma alle porte di Bologna è costretto a rallentare la marcia. «Code a tratti», indicano i cartelli e avvisa il bollettino radio. Lui prosegue, come sempre, da autista instancabile. Fino alle 13.44. L' ora del grande schianto. «Improvvisamente abbiamo perso il contatto del Gps», dicono dall' azienda veneta. «Subito abbiamo chiamato la polizia».

 

Tra fiamme ed esplosioni

Le pattuglia della Stradale è già in autostrada, nel tratto in cui la A14 diventa tangenziale cittadina e si incrocia con la via Emilia. Il vicecommissario Fabrizio Castelli arriva nella zona dell' incidente in meno di tre minuti, un gruppo di altri agenti persino un po' prima. Si precipitano sul posto anche i carabinieri della compagnia di Borgo Panigale, che hanno la caserma a 50 metri dalla gigantesca voragine. La fiammata li investe in pieno e uno di loro, l' agente Riccardo Muci, rischia di non avere il tempo di allontanarsi pur di tenere alla larga gli altri automobilisti.

 

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«Quando c' è stata la grandissima esplosione eravamo tutti qui, per fortuna non ci siamo avvicinati troppo - racconta Castelli - La cisterna di Anzolin ha tamponato un camion carico di solventi, che a sua volta è finito sopra un articolato che trasportava auto. A quel punto c' è stato il primo botto. Poi sono esplose le gomme delle macchine e la fiammata ha innescato la grande bomba».

 

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Quello che rimane

Mille gradi di temperatura sull' asfalto, secondo i pompieri. Un inferno che si è propagato fino alle case. Sulle finestre dei palazzi è arrivata una fiammata di almeno 200 gradi, che ha sciolto le tapparelle delle finestre e devastato i balconi.

 

Copertoni infuocati e pezzi di ferro hanno sfondato i tetti e la deflagrazione ha ridotto in frantumi la facciata in vetro di un palazzina di via Marco Emilio Lepido. Sotto il ponte, nel cratere creato dalla bomba viaggiante, sembra che sia caduto un asteroide: la cisterna di ferro ora ha l' aspetto di una lattina sventrata. Sopra, il traffico è stato riaperto dopo una notte di prove di carico. Ma gli automobilisti deviano prima. Hanno ancora paura.

 

2 – GLI AGENTI EROI CHE HANNO EVITATO LA STRAGE "DI CORSA VERSO IL FUOCO PER SALVARE LA GENTE"

Alberto Mattioli per “la Stampa”

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Capita sempre così: nei momenti peggiori, certi italiani danno il meglio, rispondendo alle calamità con il coraggio degli eroi per caso.

 

Dell' incidente di lunedì a Bologna resterà nella memoria quella colonna di fuoco che si alza sull' autostrada, una scena che finora si era vista solo nei film catastrofici di Hollywood. Eppure il bilancio è sì tragico, ma ridotto: un morto, il conducente dell' autocisterna, e 145 feriti, di cui solo 18 ancora ricoverati, quattro gravi, nessuno in pericolo di vita. Come ha detto il premier Giuseppe Conte dopo aver visitato i feriti, «rispetto alla dinamica, possiamo ritenerci fortunati».

 

Poteva andare molto peggio, insomma. Il punto è che fra il primo botto, quello della cisterna piena di gpl che centra il Tir sull' autostrada e lo scoppio del gas che ha provocato l' esplosione c' è stato un lasso di tempo, poco ma abbastanza per permettere a chi passava di mettersi in salvo.

 

Secondo le ricostruzioni del day after, sono stati in tutto sette minuti, anche se in questi casi la percezione del tempo varia da persona a persona e così qualche testimone ricorda una pausa brevissima e qualcun altro interminabile.

riccardo muci riccardo muci

 

Sta di fatto che quei sette minuti hanno salvato decine di persone. Sette minuti hanno fatto la differenza fra la vita e la morte.

 

E qui bisogna dire grazie a un pugno di poliziotti e carabinieri che hanno fatto più del loro dovere e non vogliono nemmeno che si usi la parola «eroi». Per esempio, Riccardo Muci, 31 anni, pugliese di Copertino, adesso in un letto del Centro grandi ustionati dell' ospedale di Cesena: «Eroe?

il cratere a borgo panigale 2 il cratere a borgo panigale 2

No. Io sono Riccardo, sono un poliziotto e ho fatto solo il mio lavoro».

 

Era di pattuglia, è stato il primo ad arrivare sul posto e a capire che il peggio doveva ancora arrivare: «Ho sentito l' odore del gas, era inconfondibile. Allora ho messo la volante di traverso e ho bloccato il traffico. Poi sono andato a piedi verso il ponte, sotto c' erano persone che scattavano foto e facevano video. Ho urlato di allontanarsi».

 

Muci è stato preso in pieno dall' onda d' urto dell' esplosione che gli ha bruciato la schiena, ma ha continuato a far sfollare la gente: «Il mio collega mi ha gettato dell' acqua sulla schiena e insieme a lui e ai carabinieri siamo riusciti a portare i feriti in caserma. Poi il dolore si è fatto sentire e sono crollato».

 

il cratere a borgo panigale 1 il cratere a borgo panigale 1

Quel che i poliziotti facevano sul viadotto, i carabinieri lo replicavano sotto, dove passa una strada trafficatissima e c' è la stazione dell' Arma di Borgo Panigale. Sono tutti fasciati, con ustioni di primo e secondo grado alla testa e alle mani, ma in piedi. E raccontano.

 

Maresciallo Fabio D' Alessio: «Era la pausa pranzo. Abbiamo sentito il primo botto e siamo usciti tutti, una decina. Subito abbiamo messo le macchine di traverso per bloccare il traffico sotto il cavalcavia e abbiamo cinturato la zona.

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Poi c' è stata la seconda esplosione che ci ha ferito». Conte cosa vi ha detto? «Ci ha fatto i complimenti e gli auguri. E ci ha detto grazie per aver fatto il nostro lavoro».

Il maresciallo maggiore Arturo Guidoni, di Forte dei Marmi, un figlio di sette anni, era rientrato ieri dalle ferie, che fortuna. «Sì, lo ammetto, ho creduto di morire. L' onda d' urto mi ha scaraventato contro la vetrina di un bar che ho sfondato. La botta è stata forte, come si mi avessero dato una bastonata dietro la testa.

 

Le macchine del concessionario sotto il ponte scoppiavano una dopo l' altra, noi siamo riusciti a mandare via tutti quelli che passavano. Il ricordo più forte? Un uomo che correva davanti a me con gli zigomi tutti neri, o per il fumo o perché si era bruciato».

 

Il comandante della compagnia di Borgo Panigale è il capitano Elio Norino, anche lui ferito leggermente. Ieri la sua caserma è diventata un punto di raccolta dove, nonostante i vetri saltati, il fumo e le fiamme sono stati sistemati i primi feriti: «La seconda esplosione ha sorpreso tutti, da sotto non vedevamo quel che succedeva sul viadotto. Ma per fortuna avevamo portato via tutti».

 

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«Bisogna vigilare sugli standard di sicurezza», ha detto Conte, escludendo però una revisione delle norme perché quelle attuali sono efficaci. Come efficaci si sono rivelati i soccorsi.

 

Il primo mezzo è arrivato dall' ospedale Maggiore cinque minuti dopo la prima segnalazione, seguito da altre 25 ambulanze, tre automediche, ottanta operatori. Al Maggiore, che è vicinissimo, era l' ora del cambio di turno e naturalmente chi doveva smontare non l' ha fatto.

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Al Pronto soccorso si sono attivati nove medici e venti infermieri, gli altri ospedali cittadini e della provincia hanno offerto collaborazione, il servizio di elicotteri per trasportare gli ustionati più gravi ai centri specializzati di Parma e Cesena ha funzionato. La A14 è già riaperta.

 

Pur non potendo fare nulla, la città si è mobilitata. Ieri il Comune di Bologna ha cinguettato un ringraziamento per tutti i volontari che avevano offerto aiuto: «Per ora non abbiamo bisogno, grazie». Ad accompagnare il tweet c' è l' emoticon di un cuore.

 

 

 

3 – «IN MOLTI SCATTAVANO FOTO LI HO MANDATI TUTTI VIA» I 4 MINUTI DELL' AGENTE EROE

Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”

 

riccardo muci 1 riccardo muci 1

«Ma certo che avevo paura, ero avvolto dalle fiamme e sentivo l' odore della mia carne che bruciava, chi non ne avrebbe avuta?».

 

Provateci voi, a rispondere allo stesso modo per cento volte alla stessa domanda preconfezionata, ti senti un eroe Riccardo?, mentre sei ricoverato nel reparto Grandi ustionati dell' ospedale Bufalini di Cesena, e hai la schiena, le gambe, le spalle e la nuca, insomma il 25 per cento del corpo, coperto da bruciature di secondo grado, che intanto si fanno sentire.

 

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«Eh, un po' scotta». La verità è che abbiamo tanto bisogno di buone notizie. L' agente Riccardo Muci da Copertino, Lecce, 31 anni, un matrimonio alle spalle, ex programmatore di volo Alitalia fino alla crisi del 2008, entrato in Polizia seguendo l' attrazione familiare per le divise, il padre Pantaleo è un sottufficiale dell' aeronautica in pensione, era la miglior notizia possibile, in una gerarchia dettata dalla vicinanza al fuoco, perché il coraggio, l' altro giorno sotto quel viadotto, l' hanno avuto in tanti. A riprova del fatto che i miracoli sono spesso un' opera collettiva.

 

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«Con il mio collega eravamo impegnati nel servizio di Volanti sulla via Emilia. Quando abbiamo visto cosa era successo, io ho solo capito la situazione, e quel che sarebbe successo. Sapevo di avere poco tempo, perché ero certo che ci sarebbe stata un' altra esplosione. Sono sceso dall' auto e proprio sotto il ponte, lungo la via, era pieno di persone che facevano foto e riprese. Erano all' altezza del viadotto, addirittura si sporgevano per inquadrare meglio il camion, che da sotto mandava già piccole fiamme, era evidente che stava per saltare in aria.

 

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Io mi sono limitato a urlare, a fargli paura, a strattonare per mandare lontano quelli che non mi ascoltavano, mentre il mio collega bloccava la via con la Volante, e anche quella è stata una cosa importante. Davvero, non ho meriti particolari, e neppure ricordi da offrire, perché rivivo tutta quella scena in adrenalina, ho frammenti che scorrono veloci e non riesco a isolarne nessuno. Credo solo di aver usato bene quei quattro minuti tra la prima esplosione e quella pazzesca che è arrivata dopo».

 

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Se l' è presa sulla schiena, mentre si sbracciava come per mandare ancora più lontano la gente che stava facendo fuggire. «Ho sentito un vento bollente che mi sollevava. Sono caduto, e mentre mi rialzavo mi sono accorto che la polo della mia uniforme aveva preso fuoco, ho sentito un dolore pazzesco su tutta la schiena e le fiamme che mi avvolgevano. Ho cominciato a correre urlando a chi vedevo di seguirmi. Appena ho raggiunto la macchina il collega mi ha buttato addosso dell' acqua, sentivo che gridava "acqua, serve acqua". Finché ce l' ho fatta ho dato una mano ai carabinieri che stavano prestando soccorsi ai feriti, eravamo tutti insieme. Poi ho ceduto, avevo troppo dolore».

 

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La Polizia chiama, l' Arma dei Carabinieri risponde, o viceversa. Ma questa non è una gara. L' unica competizione è quella solita, tra le nostre due istituzioni. Questi sono solo uomini, persone normali dalle vite normali, gente semplice che quasi si sorprende di essere mostrata in pubblico per aver fatto quello che molti, si spera, avrebbero fatto.

 

Come i militari della caserma di Borgo Panigale, duecento metri in linea d' aria dalla zona dell' esplosione, tutti i vetri infranti. «Abbiamo fatto quel che dovevamo e volevamo, abbiamo dato l' anima» dice sovrappensiero il maresciallo maggiore Arturo Guidoni, che lunedì mattina era appena rientrato dalle ferie, mentre guarda la batteria di telecamere davanti a lui, ed è una frase bellissima. Ha la testa e altre parte del corpo fasciati da garze, ha un racconto diverso solo nei dettagli dagli altri, ma con lo stesso significato.

 

«Abbiamo sgomberato la strada. In ogni modo possibile. Meno male. Perché davvero, è stato tremendo. A un passante davanti a me si sono anneriti gli zigomi all' improvviso. Il calore era intollerabile, mi stava per scoppiare la testa, così mi sono salvato sfondando la vetrata di un bar».

 

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Il maresciallo ordinario Fabio D' Alessio, romano del quartiere Laurentino, padre di un bimbo di otto mesi, ha anche le orecchie coperte da medicazioni, che non riescono a coprire del tutto le piaghe. Il suo pari grado Emanuele Manieri si è bruciato anche i gomiti e appare intimidito da questa esposizione mediatica. «Nessuno poteva immaginare la violenza dell' esplosione». Il comandante della compagnia Elio Norino, con ustioni di secondo grado al cuoio capelluto, racconta come abbia aperto la caserma per dare riparo a chi fuggiva, poi si schermisce alla richiesta di informazioni personali.

 

«Siamo tutti insieme, le singole storie non contano». Intanto all' ospedale di Cesena l' agente Muci ha ricevuto la telefonata del padre. «Bravo» gli ha detto. E si sono commossi entrambi. La sua convalescenza sarà lunga. «Ma basta con questa cosa che siamo stati coraggiosi.

Abbiamo fatto il nostro dovere. E avere paura non è certo un male. Anzi, la paura ci permette di tornare a casa».

 

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