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MA QUANTI PAZIENTI HA UCCISO L’INFERMIERA DI LUGO DI ROMAGNA? – FORMALMENTE È INDAGATA PER UN SOLO OMICIDIO, MA LA PERIZIA DELL’ACCUSA PARLA DI “SISTEMATICA ELIMINAZIONE DI RICOVERATI”

Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”

 

Scrivono di una donna crudele, spregiudicata, diabolica. Una Jolly Jane italiana, un angelo del male. Una bionda e sorridente infermiera con un folle pensiero nella testa: «Si era erta ad arbitro della vita e della morte dei pazienti». giudici di Bologna non usano mezzi termini per motivare il no alla scarcerazione di Daniela Poggiali, la quarantaduenne ex addetta al settore C del reparto di Medicina dell’ospedale di Lugo di Romagna (Ravenna), arrestata il 9 ottobre dello scorso anno con l’accusa di aver ucciso un’anziana paziente nel modo più invisibile: iniezione di cloruro di potassio, sostanza letale che non lascia tracce.

 

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Poggiali è accusata di un solo delitto ma nelle 25 pagine di ordinanza del Riesame si aprono scenari da serial killer. «I risultati della consulenza statistica depongono per un’opera sistematica di eliminazione di ricoverati», annotano i giudici, definendo agghiaccianti le conclusioni dell’Istituto di medicina legale di Verona, al quale la procura di Ravenna aveva assegnato il compito di esaminare i decessi dei pazienti della clinica dall’aprile del 2012 al novembre 2014.

 

Cosa dice, dunque, questa consulenza firmata dal professor Franco Tagliaro e consegnata la settimana scorsa agli inquirenti finendo così per piombare come un macigno sul banco del giudizio? «Dei 191 decessi nel periodo di servizio della Poggiali all’Ospedale (dall’aprile 2012 all’aprile 2014, ndr) 139 si sono verificati nello stesso settore in cui, in quel momento, stava lavorando l’indagata...

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Il tasso di mortalità settimanale, quando era in servizio, è risultato estremamente più elevato rispetto a quello osservato nel periodo in cui non era in servizio». Dati ritenuti quantomeno anomali. «Il numero dei morti nel reparto in cui la Poggiali prestava servizio è superiore di due volte e mezzo rispetto a quello dei decessi osservati quando la stessa risultava assegnata al settore opposto», aggiungono.
 

Il caso? La sfortuna? O c’è dell’altro? L’analisi epidemiologica è articolata e prende in considerazione in particolare gli ultimi sei mesi di attività: «Emerge un significativo eccesso di mortalità quando c’era la Poggiali. Tale eccesso, nell’ultimo semestre, è risultato addirittura esplosivo... Il numero di decessi eccedenti la quota “naturale” può essere stimato in 87».

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Gli esperti hanno infine esaminato il periodo in cui l’infermiera non ha più messo piede in corsia, da aprile a novembre dello scorso anno, dopo la sospensione dal servizio proprio a seguito dell’indagine. «È stata registrata una significativa riduzione del tasso di mortalità». Fin qui, i giudici di Bologna. Il procuratore di Ravenna, Alessandro Mancini, che chiederà il giudizio immediato, ha ieri annunciato che verificherà «se tutto questo poteva essere evitato e, se sì, da chi non è stato evitato».

 

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La difesa cosa ne pensa «Penso che si dovrebbe parlare di un solo delitto, visto che mia assistita è accusata di quello e non di altro — ha replicato l’avvocato Stefano Dalla Valle, difensore dell’indagata — penso che la valutazione dei fatti su base statistica lasci un po’ il tempo che trova. Bisognerebbe considerare le molte variabili che condizionano i dati, come il fatto che la mia assistita lavorava molto più della media. Ma anche considerando solo delitto contestato io dico una cosa: la signora deceduta non è stata uccisa, è morta di ictus». Cioè? «Dimostrerò che la signora aveva solo un ventricolo danneggiato. Il potassio avrebbe bruciato tutto».

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Per i giudici non è così: «Fu la causa esclusiva... La Poggiali uccide in forma di veneficio, non per pietas nei confronti delle sofferenze di anziani malati terminali». E anche nella cura avrebbe «utilizzato metodi vessatori, mortificanti e crudeli, con dosi massicce di sedativi e purghe.... Gli anziani erano strumento di punizione delle colleghe invise». Tutti fatti che sembrano fare a pugni con il ritratto che di lei fanno alcune colleghe: era esuberante ma anche molto brava, generosa, veloce e grande lavoratrice. Ma da Bologna il giudizio è pesantissimo: «Dispensatrice di morte, un autentico pericolo pubblico».

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