MALAVITA, FANATISMI E DROGHE DI OMAR EL HUSSEIN, ATTENTATORE DI COPENHAGEN - FIGLIO DI GENITORI SEPARATI, DIPENDENTE DALL’HASHISH, EX PUGILE DI MUAY THAI, AVEVA UN ODIO VISCERALE PER ISRAELE

Paolo Berizzi per “la Repubblica”

 

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Se lo ricordano bene “Omar Captain Hosein” alla Copenaghen Muay Thai. «Si è allenato da noi cinque mesi, due anni fa. Tipo chiuso, nervoso. Quando si infilava i guantoni gli occhi si iniettavano di sangue. Ha mollato dopo avere perso l’unico incontro che ha combattuto nel 2013 (video YouTube su repubblica.it). Jacob Paaske è sparring partner in questa palestra ricavata dentro un vecchio capannone industriale ricoperto di graffiti a Ragnhildgade.

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Siamo tra il quartiere multietnico Norrebrø — dove Omar Abdel Hamid el Hussein viveva nel ghetto di Mjølnerparken e dove è stato ucciso sabato notte dalla polizia — e Østerbro — la zona del primo attacco: quello alla caffetteria. Un blitz preceduto, secondo il quotidiano Ekstra Bladet , dalla pubblicazione, sulla sua pagina Fb, di un video in cui l’attentatore danopalestinese, un “lupo solitario” cresciuto tra le gang violente della banlieue, magnifica la jihad. Ultimo approdo di una vita sull’orlo. Nel filmato, prodotto dalla società “Orgoglio Musulmano” e postato su un canale YouTube dove sono pubblicati altri video con la bandiera nera dell’Is, Hussein non compare. Si sentirebbe solo la sua voce: una “firma”. Prima di entrare in azione.

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Per capire meglio chi era l’attentatore di Copenaghen, e come si è nutrito il suo fanatismo armato, bisogna ripercorrerne i luoghi. In palestra “Captain Hosein” era il suo nome di battaglia. Ma la carriera pugilistica non faceva per Omar: pensava ad altro. Prima ossessione: l’hascisc. «Era entrato in un giro, orgoglioso di far parte della «gang degli immigrati»»: la chiama così l’investigatore dell’intelligence danese. «L’avevano anche sbattuto fuori: troppo ideologico per una banda che bada solo a furti, spaccio, rapine».

 

Seconda ossessione: l’odio contro Israele. Viscerale, accecante. Sentite il ricordo di un altro fighter della Copenaghen Muay Thai. «Saliva sul ring con la kefiah al collo. La legava all’angolo. Era la sua bandiera, il suo feticcio». Tanto fiero e orgoglioso della sua “patria” el Hussein, figlio di genitori divorziati, anche loro nati in Danimarca. Spesso tornavano in Palestina. Lui no. Il suo territorio era un altro.

 

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Era la banlieue Mjølnerparken, Copenaghen Nord. Un pezzo, il più problematico, del quartiere Norrebrø che invece, dopo la riqualificazione inizio anni Duemila, è diventato, col suo multiculturalismo, un buon posto dove vivere. Invece il ghetto di Mjølnerparken (la definizione «ghetto» è del ministero per la Città la casa e i distretti urbani) è quasi off limits.

 

Ottantacinque per cento di abitanti stranieri (arabi, turchi, iracheni, siriani, libanesi), decine di nomi di giovani come Hussein che con le loro gesta riempiono i faldoni del tribunale di Copenaghen. Spaccio, accoltellamenti, qualche sparatoria. E l’ombra della propaganda jihadista: soprattutto online. Una sirena tentatrice rappresentata in primis dal gruppo “Millatu Ibrahim” (bandito in Germania e trasferitosi in Danimarca, che dopo il Belgio ha in proporzione il tasso più alto di foreign fighters partiti per Siria e Iraq).

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Eccola la banlieue di “Captain Hosein”. Terrorista fai da te, o di “prossimità”. Come Coulibaly, come i fratelli Kouachi, come il Mohamed Merah di Tolosa. Hussein era tornato a casa tre settimane fa dopo un mese in carcere: felpa nera e serramanico di 11 centimetri, nel 2013 — ricercato per furto — aveva accoltellato un diciannovenne sul treno. Il giudice l’aveva graziato: da tentato omicidio a violenza aggravata.

 

«Soffro di ansia, ero sotto effetto dell’hascisc di cui sono schiavo», dichiara a processo il futuro attentatore. Dal liceo per fuori corso frequentato a Hvidovre, 7 chilometri da Copenaghen, alla cella. È qui, ipotizzano gli inquirenti, che si perfeziona il percorso di radicalizzazione. Con due obiettivi: colpire gli ebrei e vendicare Maometto. Forse qualcuno ha sfruttato il suo desiderio di affermarsi negli ambienti criminali per convincerlo a compiere gli attentati.

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Due complici di Hussein (origine straniera, generalità non ancora diffuse) sono stati arrestati domenica: lo avrebbero aiutato a disfarsi dell’arma usata nell’assalto al Krudttønden café e supportato negli spostamenti fino all’attacco serale alla sinagoga e anche dopo, fino alle 5 del mattino. Forse, in quelle ore, gli hanno anche offerto un rifugio.

 

«Sono scioccato come il resto del mondo», è la frase pronunciata al Jyllands Posten dal padre di Hussein. Dolore e commozione hanno accompagnato ieri sera la manifestazione in città, con migliaia di persone, in nome della libertà di espressione e contro il terrorismo, mentre il vignettista Lars Vilks, sopravvissuto per un pelo ai colpi sparati da Omar, è stato trasferito in una “località segreta e protetta”. Piange il cuore di Copenaghen. La banlieue di Mjølnerparken, con le sue palazzine tutte uguali, i capannelli di ragazzi incappucciati, per una sera è ancora più lontana.

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