MANCO LO ZIO TOM – A BERGAMO LE NUOVE SCHIAVE. PAGATE IN NERO 50 CENTS ALL’ORA: TUTTE IMMIGRATE - LA TITOLARE DELL’IMPRESA (INDIANA) CADUTA DALLE NUVOLE: MULTATA PER 27 MILA EURO CON L’OBBLIGO DI ASSUMERE E REGOLARIZZARLE

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Alberto Mattioli per la Stampa

 

Altro che schiavismo. Nemmeno lo zio Tom era pagato così poco: 50 centesimi all' ora, ovviamente non in regola, e per i contributi vedere alla voce fantascienza. Succede nella «Rubber Valley», il distretto della gomma in provincia di Bergamo, dove la crisi non è finita perché non è iniziata: il business è cresciuto del 40% negli ultimi cinque anni.

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Certo, in alcuni casi sul business il costo del lavoro incide poco. Come capitava a un' imprenditrice indiana con un capannone a Credaro e quattro dipendenti. Seguendo il gran traffico di furgoni che partivano e tornavano carichi di guarnizioni di gomma, i finanzieri di Sarnico hanno scoperto che per i quattro operai in regola ce n' erano nove in nero, che sgobbavano a cottimo nei paesotti vicini in cambio di compensi così bassi da risultare quasi incredibili.

 

Si tratta di un indiano e di otto donne, tre indiane, due albanesi, una senegalese, una marocchina e un' italiana, l' ultima autoctona in un caporalato da prima rivoluzione industriale o da padroni delle ferriere, roba da romanzo sociale dell' Ottocento. Dickens nel Basso Sebino, insomma.

 

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Tutte a casa, a tenere d' occhio i bambini e contemporaneamente a effettuare la «sbavatura di guarnizioni», che detta così sembra un' attività molto più bizzarra di quel che è in realtà: strappare a mano il materiali in eccesso dalle forme di gomma uscite dalle macchine. I conti li fa una delle cottimiste albanesi all'«Eco di Bergamo»: «Ogni mille pezzi mi davano dai 70 centesimi all' euro, in base al tipo di guarnizione e agli strappi. Per mille pezzi, mi ci volevano almeno due ore di lavoro». Il calcolo è facilissimo, il risultato inquietante: due ore a un euro fanno 50 centesimi all' ora.

 

Così i nove irregolari si portavano a casa, più o meno, 250 euro al mese: salari da Terzo mondo, non da Italia nel 2018. La sindaca di Credaro, Adriana Bellini, non sa dire se sia un caso isolato: «Di certo, il lavoro casalingo è diffuso, vediamo tutti il carico e scarico dei furgoni».

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Insomma, quel che si è scoperto a Credaro è la regola o l' eccezione? «Che sia la regola credo proprio di no, ma forse non è una situazione così eccezionale - risponde Pietro Schiesaro della Cisl -. Se i dipendenti in azienda sono generalmente in regola, nel cottimo succede tutto e il suo contrario, anche perché i controlli sono più difficili. E chiaramente gli ultimi arrivati sono quelli più indifesi.

 

Una situazione tipica è quella dell' immigrato che va a lavorare in fabbrica mentre la moglie resta a casa con i figli, ma per arrotondare prende un po' di commesse. Era quello che succedeva con gli italiani negli Anni Cinquanta, quando i muratori erano pagati "a metro". Oggi ovviamente è inaccettabile. Per fortuna i controlli ci sono. E infatti è il secondo caso dopo quello dell' estate».

 

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In effetti, sui giornali era già finita la vicenda di una ditta di Adrara San Martino, sempre nella zona, nella quale otto lavoratori su 17 non avevano proprio il contratto, e uno era pure un clandestino. Non solo: altri lavoravano da casa 10 o 12 ore al giorno per 400 euro mensili.

 

Finiamo con la cronaca. La titolare del capannone di Credaro è caduta dalle nuvole, ha spiegato di aver aperto da appena sei mesi e promesso di sistemare le irregolarità. Nel frattempo, è stata multata per 27 mila euro, con l' aggiunta del' obbligo di mettere in regola i lavoratori che non lo sono, pagamento dei contributi arretrati incluso. E magari, aggiungiamo, anche di pagare alla ragazza albanese che si è sfogata con i giornalisti i 150 euro che sta ancora aspettando.

 

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