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IL MONOPOLI DI NEW YORK - NELLA “GRANDE MELA” IL MERCATO IMMOBILIARE E’ RIPARTITO ALLA GRANDE E I RICCONI FANNO A GARA A COMPRARE APPARTAMENTI NEI GRATTACIELI EXTRALUSSO DI MANHATTAN: 70 MILIONI DI EURO PER UN SUPERATTICO CON PISCINA

Federico Rampini per “la Repubblica”

 

GRATTACIELO SUPERLUSSO A NEW YORKGRATTACIELO SUPERLUSSO A NEW YORK

L’inaugurazione ufficiale precede l’assemblea generale dell’Onu. Un evento che alcuni Vip a settembre potranno gustarsi da questo osservatorio particolare. Cioè da “sopra” il Palazzo di Vetro, che appare quasi minuscolo, visto da quassù. Numero 50, United Nations Plaza, è questo l’ultimo indirizzo per miliardari a Manhattan. È il grattacielo disegnato dall’archi-star inglese Sir Norman Foster, entrato per la prima volta nella gara a chi “firma” il mercato immobiliare più folle del mondo. 70 milioni di dollari per la penthouse triplex, cioè superattico con terrazza e piscina. Già andate a ruba.

 

GRATTACIELO SUPERLUSSO A NEW YORK GRATTACIELO SUPERLUSSO A NEW YORK

Ce ne sono solo due e le ha comprate subito il Qatar. Un gradino sotto, la “semplice penthouse” costa 24 milioni. «C’è anche una star del football italiano, e un imprenditore del vostro paese», nella lista dei candidati acquirenti, mi dicono i due addetti alle relazioni pubbliche. Senza precisare le “pezzature” che i nostri connazionali stanno trattando: ce ne sono di più economiche, ai piani bassi. Si parte da prezzi quasi… popolari, in confronto a quelli sborsati dal Qatar: ci sono anche bi-camere da 3,8 milioni di dollari per 150 metri quadri.

 

GRATTACIELO SUPERLUSSO A NEW YORK  GRATTACIELO SUPERLUSSO A NEW YORK

Mi fanno visitare in anteprima questo grattacielo di 88 piani, quando ancora i proprietari non si sono insediati. La vista è da sogno, e ci mancherebbe altro. A 360 gradi spazia su tutta Manhattan e le isole circostanti. Il Palazzo di Vetro è la prima cosa che noti, perché ce l’hai praticamente sotto i piedi, un giocattolino bianco lì giù. Poi c’è Roosevelt Island con la teleferica, il fiume East River, tutta Brooklyn e Queens. Dalla parte opposta: una panoramica strabiliante di tutti i grattacieli più belli, a Sud la nuova torre del World Trade Center, più vicino l’Empire State Building, il Chrysler ti sembra quasi di toccarlo.

 

Sei così alto che sembrano vedute da elicottero. «Un’oasi, in piena Manhattan», recitano i miei due accompagnatori, puntando il dito anche verso la macchia verde di Central Park che si vede in diagonale. Sono abituati a parlare anche coi giornalisti, oltre che coi miliardari. La regola è questa: finché restano tanti appartamenti da vendere (in questo caso una cinquantina su 88), questo grattacielo è sul mercato e quindi necessita marketing, pubblicità, relazioni pubbliche. A livello globale, naturalmente.

NEW YORK - IL GRATTACIELO DI PARK AVENUENEW YORK - IL GRATTACIELO DI PARK AVENUE

 

«Sì, ricchezza ce n’è tanta anche qui in America, però sul mercato di Manhattan è forte la presenza di acquirenti stranieri. Asia, Russia, America latina, Europa. L’andamento delle vendite segue fedelmente la geopolitica, l’altalena delle ricchezze antiche o emergenti, i cicli della congiuntura. In ogni caso nell’ultimo decennio gli acquirenti stranieri sono aumentati sensibilmente».

 

I due che mi scortano nel grattacielo in fase finale di rifinitura, lavorano per Zeckendorf Development, uno dei colossi immobiliari di New York. Arthur Zeckendorf, alla guida del gruppo, è nipote del leggendario William, fondatore della dinastia. Nonno William acquistò nel dopoguerra l’intero quartiere fra East River, 42esima e 48 esima strada, che poi vendette a Nelson Rockefeller.

 

Quest’ultimo lo donò alle Nazioni Unite perché ci costruissero la loro sede. Altro curioso legame personale: il nonno materno di Zeckendorf junior era il norvegese Trygve Lie, primo segretario generale dell’Onu alla fondazione di questa organizzazione nel 1946. Da queste parti, insomma, gli Zeckendorf sono i padroni di casa da tre generazioni.

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Ma il loro impero immobiliare estende i tentacoli su tutta Manhattan. Una delle loro opere più celebri è al numero 15 Central Park West. Un grattacielo così denso di Vip, che i torpedoni turistici a due piani hanno deviato gli itinerari per passarci davanti e urlare coi megafoni: «Qui abitano gli attori Robert De Niro e Denzel Washington, il cantante Sting, il chief executive della Goldman Sachs... ».

 

Al 15 Central Park West un giornalista newyorchese ha dedicato un libro intero, “House of Outrageous Fortune” cioè la casa della fortuna sfacciata. In inglese come in italiano “fortuna” ha due significati, vuol dire anche patrimonio. Una delle chicche di quel libro: l’organigramma dello staff domestico, e le mance natalizie dei concierge. Parlare di “servizio di portineria” in uno di questi grattacieli da miliardari, è come confondere un cameriere di Mac-Donald’s con il maggiordomo della Regina d’Inghilterra.

 

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Al 15 Central Park West lo staff del condominio include sette concierge, sei portieri, otto maggiordomi dei corridoi, otto fattorini, tre addetti agli ascensori di servizio portapacchi, quattro poliziotti privati, 12 tecnici tuttofare per riparazioni rapide, più qualche impiegato amministrativo. Il capo-concierge all’ultimo Natale ha ricevuto, solo di mance, 100.000 dollari.

 

I miei due solerti accompagnatori cercano di glissare sull’aspetto “plutocratico”, sulle diseguaglianze abnormi di cui questi grattacieli sono diventati il simbolo più visibile. Sottolineano, anzi, l’aspetto efficiente e produttivo, da “buon investimento”. «Chi compra qui al 50 UN Plaza – mi dicono – ha un accesso ravvicinato alle autostrade, un tragitto più veloce per raggiungere l’aeroporto JFK». (Scommetto che almeno quelli delle penthouse l’autostrada non la vedranno neppure, a JFK andranno in elicottero).

 

«Per non parlare – rincarano la dose – dei vantaggi in termini di relazioni sociali, networking, vita mondana. Chi frequenta la comunità diplomatica Onu, i capi di Stato e di governo che continuamente passano da qui, vivendo in questo grattacielo può dare ricevimenti a pochi metri di distanza dal Palazzo di Vetro, con il minimo spreco di tempo per spostarsi». Un affarone, insomma: paghi 70 milioni per una penthouse-triplex, e risparmi sull’abbonamento al metrò o sui taxi.

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La visita si conclude con un giro della fitness. Ovviamente un condomino che vive qui si aspetta di avere piscina palestra e sauna a portata di ascensore. Una società specializzata gestisce la fitness, coi suoi bagnini allenatori e massaggiatrici. I posti macchina sono contati, rigorosamente 88 quanto gli appartamenti, e venduti a un prezzo che sembra modico rispetto a tutto il resto: 150.000 dollari l’uno. Ma per chi verrà a vivere qui l’auto sarà un giocattolino minore, il grosso degli spostamenti avverrà in limousine con autista, che una volta finito il turno di servizio andrà a parcheggiarsi altrove.

 

Avrei voluto visitare anche gli altri due iper-grattacieli più celebri del momento. Il più alto palazzo residenziale di tutta Manhattan, che sta al 432 di Park Avenue; e One 57 situato all’angolo fra la 57esima Strada e la Settima Avenue. Ma le visite lì sono chiuse. Troppo tardi. Sold out: tutto venduto, nonostante prezzi che hanno sfondato la soglia simbolica dei 100 milioni per appartamento. I due rappresentanti della Zeckendorf mi rassicurano: «Presto ne metteremo sul mercato un altro, e sappiamo già che i record dei concorrenti saranno superati: noi avremo appartamenti da 130 milioni».

 

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Bolla speculativa? Nessuno dovrebbe aver dimenticato che l’ultima grande crisi, prima americana poi globale, partì dal mercato immobiliare nel 2007. Per la precisione, però, a schiantarsi per primo fu l’immobiliare povero, di massa. I mutui subprime, prestiti di serie B per famiglie poco abbienti. Chi sta all’88esimo piano, per qualche ragione ha quasi sempre un atterraggio morbido.

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