UN NERO DOPO L’ALTRO - DOPO MICHAEL BROWN, A SAINT LOUIS LA POLIZIA UCCIDE UN ALTRO RAGAZZO DI COLORE: ERA ARMATO DI COLTELLO E SI È AVVICINATO AGLI AGENTI GRIDANDO ‘SPARATEMI’ E QUELLI NON SE LO SONO FATTO RIPETERE - - -

Oggi un Gran Giurì di 12 persone aprirà un’inchiesta che chiamerà a testimoniare il poliziotto Darren Wilson, l’uomo che ha sparato a Brown in circostanze ancora da chiarire: sarà la prima volta che viene ascoltata la sua versione dei fatti - La distanza tra bianchi e neri nella percezione di queste tragedie è enorme…

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Viviana Mazza per il “Corriere della Sera”

 

Missouri National Guard Missouri National Guard

«Sparatemi adesso, uccidetemi adesso», ha gridato il ventitreenne nero brandendo un coltello e avvicinandosi a un gruppo di poliziotti. Gli agenti hanno sparato e l’hanno ucciso. Un altro afroamericano è morto ieri pomeriggio a St. Louis, dieci giorni dopo l’uccisione, nella stessa città, del diciottenne Michael Brown — che però era disarmato — per mano di un poliziotto bianco.

 

Benché l’episodio sia avvenuto ad appena 10 chilometri da Ferguson, il sobborgo dove è stato ucciso Brown, non sembra essere legato alle proteste che continuano da dieci giorni, ma piuttosto a un furto, in una zona dove - a differenza di Ferguson - le sparatorie sarebbero più frequenti per via della criminalità locale, secondo la Cnn.

 

missouri proteste dopo la morte di michael brown ucciso dalla polizia missouri proteste dopo la morte di michael brown ucciso dalla polizia

Il ragazzo aveva tentato di rubare in un negozio, secondo le prime informazioni diffuse dai media. Ma nel clima tesissimo delle proteste, che in alcuni casi sono degenerate in assalti ai negozi e in scontri tra manifestanti e la polizia (con tre feriti e 78 arresti l’altro ieri notte), il timore è che un nuovo caso possa scatenare nuove violenze. Sul luogo si è subito radunata una piccola folla.

 

Da giorni le autorità locali, il presidente Obama e i media lanciano appelli alla calma e alla riconciliazione, mentre il governatore del Missouri ha schierato la Guardia Nazionale accanto alla polizia armata fino ai denti. Oggi è previsto l’arrivo in città del ministro della Giustizia Eric Holder, che ha ordinato un’inchiesta federale parallela a quella locale sulla morte del diciottenne, anche se alcuni rimproverano il presidente per non essersi presentato di persona.

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Sempre oggi un Gran Giurì di 12 persone aprirà un’inchiesta che chiamerà a testimoniare il poliziotto Darren Wilson, l’uomo che ha sparato a Brown in circostanze ancora da chiarire: sarà la prima volta che viene ascoltata la sua versione dei fatti. La famiglia della vittima ha chiesto l’arresto del poliziotto, dopo aver ottenuto l’altro ieri i risultati di una autopsia privata: rivela che il ragazzo è stato colpito frontalmente da sei proiettili, due dei quali alla testa.

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Senza giustizia, non tornerà la pace a St. Louis. Lo ha detto chiaramente, nei giorni scorsi, la madre di Brown, Lesley McSpadden, che pure ha lanciato vari appelli alla calma. Di giustizia ha bisogno la famiglia, ma anche l’intera comunità: quando la stampa le ha chiesto cosa sia per lei la giustizia, la donna ha risposto: «Che quell’uomo paghi per le sue azioni». Solo che potrebbero volerci «settimane o anche mesi» prima che il poliziotto possa essere arrestato, secondo Ron Johnson, responsabile della sicurezza a Ferguson.

 

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Molti afroamericani stanno vivendo il caso Michael Brown come la riprova dei pregiudizi razziali che resistono nell’America di Obama. Di questi pregiudizi era diventato un simbolo, prima di Brown, il diciassettenne Trayvon Martin. Proprio ieri la madre di Trayvon, Sybrina, ha inviato una lettera aperta a quella di Brown. «Qualcuno potrà considerare queste affermazioni come una provocazione – ha scritto -. Ma ascoltarci significa ascoltare il nostro dolore. Non possiamo più essere ignorati». Anche Trayvon Martin era disarmato quando fu ucciso in Florida due anni fa da un vigilante, che è stato prosciolto dalle accuse di omicidio.

 

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E il risentimento, mai spento, è riesploso a Ferguson il 9 agosto ma anche a New York quando a fine luglio un poliziotto ha ucciso per soffocamento un altro afroamericano, Eric Garner, padre di sei figli, fermato per vendita illegale di sigarette. La distanza tra bianchi e neri nella percezione di queste tragedie è enorme.

 

Lo mostrava ieri un sondaggio del Pew Center: mentre l’80% degli afroamericani ritiene che la questione razziale sia centrale nella morte di Michael Brown, il 47% dei bianchi interpellati sostiene che è una chiave di lettura esagerata, sfruttata dai media e dai politici. E lo stesso Obama, che dopo la morte di Trayvon aveva detto che se avesse un figlio avrebbe avuto l’aspetto di quel diciassettenne, stavolta è stato più prudente e meno emotivo.

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«Dobbiamo distinguere tra chi manifesta pacificamente per legittimi motivi e chi usa questa tragica morte per attività illegali», ha detto l’altro ieri, tornato a Washington dalle vacanze a Martha’s Vineyard. Una fonte della Casa Bianca ha spiegato al Los Angeles Times che il presidente «si è reso conto che le sue parole non possono risolvere un problema vecchio secoli in quattro e quattr’otto, mentre il rischio era di infiammare la situazione».

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