OMERTÀ ALLA GENOVESE – L’AUTISTA DEL PULLMAN DOVE È STATO PESTATO IL RAGAZZO SCAMBIATO PER GAY: “IO NON HO VISTO NULLA. MIO NONNO MI HA INSEGNATO CHE NELLA VITA È MEGLIO FARSI I FATTI PROPRI – HA 33 ANNI E ADESSO È INDAGATO PER FAVOREGGIAMENTO – LA VITTIMA MIGLIORA MA ANCORA NON PARLA

Luca, il quarantenne finito in coma per un ematoma cerebrale, secondo il racconto della fidanzata non è andato subito in ospedale perché non voleva perdere giorni di lavoro nel suo bar del centro. La psicologa: “Per una donna è spiazzante avere un rivale in amore dell’altro sesso”…

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1.“HO CHIESTO AIUTO ALL’AUTISTA MA HA FATTO FINTA DI NON SENTIRE”

Tommaso Fregatti e Matteo Indice per “la Stampa

 

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Luca che mima il gesto compiuto quando pensava l’avrebbero ammazzato: «Mi ha detto: “Dopo il pestaggio sono scappato e li ho visti in lontananza scendere dal bus, sembrava che mi stessero venendo incontro, a quel punto ho alzato le braccia e ho urlato: volete uccidermi? Sono andati via, ho pensato che il peggio fosse passato». Luca che ha rifiutato di andare in ospedale «perché voleva tornare a lavorare, aprire il suo locale e aveva paura che magari l’avrebbero tenuto qualche giorno a riposo. All’inizio diceva di sentirsi più o meno bene, non potevamo sapere che l’ematoma cerebrale stava peggiorando».

 

Luca che prima di crollare le fa una confidenza: «Continuavo a insistere per sapere com’era andata e mi ha risposto: “Sai la verità? Ci hanno pestati perché pensavano che fossimo omosessuali”». Finché non ha iniziato a barcollare e le ha chiesto aiuto: «Era il 21 luglio, martedì. M’ha guardato come a implorarmi e ha sussurrato: “ho male alla testa, mi sento morire...”».


Al telefono
Chiara parla al telefono appena rientrata al lavoro, dopo la pausa trascorsa come ogni giorno all’ospedale Galliera di Genova dove il suo compagno è ricoverato da oltre dieci giorni. Luca ha poco più di quarant’anni ed è stato massacrato nella notte del 14 luglio su un autobus a ridosso del Porto Antico: era con un amico, una ragazza lo ha insultato pensando che fossero gay («Che c... guardi il mio fidanzato?») e poi li hanno pestati a sangue. Negli ultimi giorni è un po’ migliorato anche se non riesce ancora a parlare, lo alimentano a fatica e i medici restano cauti. 

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L’autista
Nei giorni scorsi (l’indagine della Procura è per tentato omicidio) hanno denunciato l’autista del bus per favoreggiamento, convinti che abbia visto tutto senza dare l’allarme. Si chiama Simone Furfaro, ha 33 anni, vive nel ponente della città. «Io non ho visto nulla e sapete una cosa? - ha ripetuto al maresciallo che era andato a portargli l’avviso di garanzia -. Mio nonno mi ha insegnato che nella vita è meglio farsi i fatti propri». Chiara su di lui preferisce non commentare. Ma il resto della sua testimonianza aiuta a capire come sono andate le cose quella notte. 


Il pestaggio
«Mi aveva mandato un messaggio poco prima delle quattro, dicendomi che stava per rientrare. Non mi sono preoccupata perché quando chiude (è titolare d’un locale piuttosto noto nella movida del centro storico, ndr) si ferma spesso a bere con i clienti». Dopo due ore non rientra: «Gli ho telefonato, mi ha detto che lo avevano picchiato e sarebbe tornato in taxi. Ero agitata, sono scesa sotto casa ad aspettarlo.

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 Subito mi ha spiegato solo che un gruppo di ragazzi di Begato (quartiere dell’entroterra genovese, ndr) lo aveva malmenato dopo che era intervenuto a difesa di un suo amico inglese, preso in giro poiché parlava in una lingua straniera. Era indignato perché l’autista non aveva fatto niente. Ha aggiunto: “Sono riuscito a rialzarmi, lo chiamavo ma lui faceva finta di nulla” ». Luca non vuole andare in ospedale e dice che deve pensare al locale.

 

Dopo tre giorni a casa e qualche domanda in più da parte della compagna, la verità: «Mi ha spiegato che li avevano massacrati perché li credevano omosessuali. E lui a volte ha un aspetto un po’ eccentrico, si trucca gli occhi con una matita scura che ha sempre dietro». È la stessa cosa che gli amici hanno ripetuto ai carabinieri, compreso il dettaglio dell’insulto pronunciato dalla ragazza prima delle cinghiate. Il 21 luglio Chiara capisce che quest’incubo non è finito: «Era a riposo, mi ha spiegato che aveva un dolore fortissimo alla testa». Poi la corsa in ospedale, l’operazione, il coma e Chiara che oggi chiede di lasciarla respirare: «Lui sta lottando, e le indagini devono andare veloci».

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2. DONNE CHE ODIANO I GAY
Grazia Longo per “la Stampa

 

In principio fu la sedicenne di Sestri Ponente filmata mentre tirava calci e pugni alla malcapitata di turno nei giardinetti pubblici. Poi le quattro studentesse di Varallo che umiliavano con sputi e insulti una compagna disabile davanti ai telefonini dei compagni. E ora l’icona della categoria è la ragazza che a Genova ha guidato il branco contro un ragazzo sospettato di essere gay, finito in rianimazione dopo essere stato accusato di insidiare il fidanzato della donna gelosa. 

ANNA MARIA GIANNINI ANNA MARIA GIANNINI


Aumentano la violenza e l’aggressività targate al femminile. Con casi limite come i tre appena accennati, ma anche con la crescita del bullismo in gonnella. Anche nel web, dove secondo la polizia postale un cyberbullo su tre è una femmina. Con un approccio più subdolo e indiretto ma altrettanto dannoso di quello maschile.


Ma è l’episodio di Genova quello che oggi si impone in tutta la sua drammaticità e complessità. «È l’apice di un fenomeno sempre più diffuso, acuito dall’omofobia - osserva la psicologa Anna Maria Giannini, docente ordinario di psicologia all’Università La Sapienza di Roma e direttore dell’Osservatorio di psicologia della legalità sempre alla Sapienza - Alle ragioni legate all’aumento dell’aggressività al femminile si uniscono l’intolleranza e la discriminazione verso chi è ritenuto diverso a causa di un supposto o reale differente orientamento sessuale». 

ANNA MARIA GIANNINI ANNA MARIA GIANNINI


Secondo la professoressa Giannini dietro gli insulti e le botte da parte di una donna a chi è, o si sospetta sia, gay c’è anche «la difficoltà di incrociare un rivale ad armi pari. Per una donna, avere una persona dello stesso sesso come contendente del proprio oggetto amoroso è più consueto, mentre un omosessuale presunto o reale è più spiazzante. A questo si aggiungano un’insicurezza e una gelosia di fondo, oltre a una scarsa cultura della tolleranza, e la conseguenza non può che essere un atto di violenza. Nella vicenda di Genova poi, pur non potendo fare diagnosi in mancanza di elementi più precisi, si assiste a uno stile paranoideo: l’uomo aggredito non era neppure omosessuale, eppure è stato vittima di una gravissima discriminazione omofobica».


Una tendenza più sviluppata rispetto al passato, anche a causa dell’omologazione delle donne al comportamento maschile e a una maggiore prestanza fisica. «Persino in situazioni positive come la carriera professionale - prosegue la psicologa - le donne si ispirano ad atteggiamenti della leadership tipicamente maschile. La cultura della forma fisica, alimentata dalla maggiore frequentazione delle palestre, può contribuire a rendere una ragazza più forte anche sul piano fisico».

la bulla di varallo vercelli la bulla di varallo vercelli


La violenza femminile è di solito limitata nel tempo, con un picco all’età di 15 anni e successivo calo verso la fine dell’adolescenza. Ma una cultura non improntata al rispetto e alla mediazione, disturbi della personalità, uso di alcol o droghe, possono contribuire ad accentuare atteggiamenti violenti tra le donne. 


Tra le più giovani, l’ambiente scolastico è il territorio dove spesso si insinua il germe della violenza. Da una ricerca del sito studenti.it emerge che il movente del bullismo al femminile «è la gelosia, o peggio, l’invidia. Di solito la “bulla “ si atteggia come una regina e viene circondata da una serie di amiche ovviamente scelte da lei isolando chi non le è gradita».

BULLA SESTRI LEVANTE BULLA SESTRI LEVANTE


Ruolo determinante per amplificare il fenomeno è esercitato dai social media. Ask.fm, Instagram e whatsapp rappresentano i territori privilegiati per diffondere le prepotenze in rete. «E l’immediatezza dei social network - conclude la professoressa Giannini - fa da cassa di risonanza all’impulsività estrema di atteggiamenti aggressivi». 

 

 

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