IL PARADISO IN AEROPORTO – DIMENTICATE FIUMICINO E LE CODE AI PASSAPORTI DEL JFK DI NEW YORK: A SINGAPORE SIETE FUORI ENTRO 15 MINUTI, COME PROMETTONO I CARTELLI – E SE PARTITE, FATE UN BAGNO NELL’EFFICIENZA E NEL RELAX, TRA PISCINA, PARCO DI FARFALLE E CINEMA

Gabriele Romagnoli: “Sei leggero perché hai consegnato il bagaglio alla partenza e lo ritirerai a destinazione, sei libero perché non appartieni a terra o destino che sia. Non è uno scalo, è un’esperienza. È la sua provvisorietà la vera illusione”…

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Gabriele Romagnoli per “la Repubblica

 

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Da dove mi leggi, fratello? Sei in viaggio in questa tormentata estate? Sei atterrato a Fiumicino e non sapevi più che altro fare per ingannare l’attesa dei bagagli? Da quanto dura: ormai un’ora? O sei in un aeroporto africano, ti hanno aperto la valigia all’arrivo, chiesto una mancia per farti proseguire, hai rifiutato e adesso sei in uno stanzino mal ventilato a riflettere sul tuo errore?

 

Stai in piedi al chilometro 2,3 della fila d’ingresso al Jfk di New York e Manhattan ti sembra irraggiungibile più di quando ci volavi sopra? Sei pentito della tua destinazione? Detesti tutti quelli che hanno ripetuto: «Il viaggio è il traguardo» perché non hanno capito che «Il traguardo è il viaggio»? Dammi retta, la prossima volta vai a Singapore.

 

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Sbarchi e ti accoglie un cartello: se non sei fuori di qui in 15 minuti hai diritto a un rimborso. La certezza è che sarai fuori di lì (bagagli riconsegnati, passaporto vistato, taxi trovato) in meno di 15 minuti: fast and not furious. Il dubbio è che non sai se vorresti davvero uscire. Il Changi, l’aeroporto di Singapore, è un mondo. Anzi: è un mondo nel mondo nel mondo. Immagina questo pianeta come una bambola russa.

 

C’è la Terra, con tutte le sue componenti, dentro c’è l’isola di Singapore che le riproduce in scala avendo eliminato il conflitto in ogni possibile forma (etnico, criminale, di genere), dentro ancora c’è il Changi che mette tutti i possibili incroci sotto una cupola, li accelera e li etichetta come, necessariamente, passeggeri. Non possono durare, nessuno può stare qui in eterno, avrà al massimo i suoi 15 minuti di ribalta: non è così ovunque e comunque?

 

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Ogni anno ci transitano 54 milioni di persone, quante vivono in Italia. La differenza? Il loro via vai è regolato, sicuro, piacevole. Il Changi è la metafora di un altro mondo possibile, la repubblica di un’idea realizzata, un valore che diventa pratica. E ha un nome: efficienza. Giralo in lungo e in largo questo meraviglioso, sprecato pianeta e vedrai che molto prima della fine ti stancherai degli orientalismi straccioni e lo butterai il biglietto per la Gran Mostra dell’Arte di arrangiarsi.

 

Resteranno solo due alternative plausibili: governa la forza o governa la legge. O passa il più grosso o passa chi ha il verde. O decide chi ha le armi o chi ha ragione. In mezzo c’è la crepa che si allarga, ci sono Mamma Roma e le sue sorelle (Bangkok, Città del Messico, Atene). Ai lati, in qualche modo salve sulle rispettive rive: Beirut e Stoccolma, Bujumbura e appunto Singapore.

 

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Torni e ti chiederanno: ma è vero che hanno vietato le gomme da masticare? Sì, per evitare che le attaccassero alle porte della metropolitana (che ora non fa mai un ritardo). Non solo: hanno i televisori e il wifi sugli autobus (da anni), puoi far reclamo se un tassista rifiuta la tua destinazione, un ingorgo nel traffico va in prima pagina (meglio: sulla home page, in diretta). E ancora, esiste un quartiere per ogni spicchio di mondo: Little India, Chinatown, Arab street, resti di colonialismo europeo, francesismi e americanate. È questa la bambola intermedia che conduce a quella più piccola, ma sempre in scala: l’aeroporto Changi.

 

Come fosse una città, si evolve, cresce: nel 2018 aumenterà terminal e più che raddoppierà i passeggeri. Aggiungerà alla piscina una cascata, al parco di farfalle un bosco, al cinema chissà che cos’altro. A Singapore molta più gente passa di quanta ci viva. Non vale anche per il pianeta? Non siamo tutti esattamente quello: passeggeri? Perché allora non addobbiamo il transito invece della conclusione? Comprati un bel trolley, non un comodo tombino. Spargi i vestiti e le ceneri, nulla resterà, sono e siamo tutti diretti altrove. Che ci sia lieto questo scalo.

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Quelli che vedi qui non li vedrai mai all’esterno, non saranno fuori in 15 minuti, ma solo dentro per qualche ora, il tempo di imbarcarsi per un altrove che immaginano migliore e definitivo, l’eterna illusione del paradiso. Il paradiso dovrebbe essere un’idea per cui lavorare da vivi, non una ricompensa in cui confidare da morti. Il Changi è la sua metafora.

Insegna che ogni passaggio è importante. Induce a trattare con rispetto, attenzione, gentilezza quel che sfioriamo, non soltanto quel che possediamo.

 

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Gli incontri casuali, le relazioni di una notte, le auto a noleggio, gli epigrammi possono valere quanto la loro estensione, con il pregio di non conoscere mai la stanchezza (ore e ore di traversata in compagnia) o la delusione (tutta questa fatica per arrivare QUI?). Troppo spesso vengono trattati con sufficienza.

 

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Quasi sempre evitano di richiedere o dare. Nel mutuo consenso all’indifferenza scivola via un tempo che poteva moltiplicarsi nella soavità del ricordo. Vivilo meglio: sei leggero perché hai consegnato il bagaglio alla partenza e lo ritirerai a destinazione, sei libero perché non appartieni a terra o destino che sia. Non è uno scalo, è un’esperienza. È la sua provvisorietà la vera illusion

 

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