SERVIZI E SEGRETI - L’EX CAPO DEL CESIS, FULCI: “LE STRAGI DEL ’92 FURONO RIVENDICATE DAI SERVIZI SEGRETI. I LUOGHI DA CUI PARTIVANO LE TELEFONATE DELLA ‘FALANGE ARMATA’ E QUELLI IN CUI C’ERANO LE SEDI DEL SISMI, COINCIDEVANO”

Fulci, che stamane è chiamato a deporre a Palermo nell’aula bunker dell’Ucciardone, racconta la sua esperienza al vertice del Cesis, tra il maggio del ’91 e l’aprile del ’93, rilanciando tutti i suoi dubbi sulle missioni top secret di alcuni agenti della settima divisione del Sismi, il servizio segreto militare…

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Sandra Rizza per il “Fatto Quotidiano”

 

Francesco Paolo Fulci Francesco Paolo Fulci

Un funzionario del Sisde, si chiamava De Luca, che ora è morto e lavorava con me al Cesis, mi portò due cartine: in una c’erano i luoghi da dove partivano tutte le telefonate della Falange armata, nell’altra i luoghi dove sono situate le sedi periferiche del Sismi... e queste due cartine coincidevano perfettamente”.

 

È la rivelazione dell’ex ambasciatore Francesco Paolo Fulci, oggi 85enne, fatta ai pm Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia il 4 aprile dell’anno scorso, quando i magistrati di Palermo volano a Milano per interrogarlo nell’ambito dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia.

 

In quel verbale di 89 pagine Fulci, che stamane è chiamato a deporre a Palermo nell’aula bunker dell’Ucciardone, racconta la sua esperienza al vertice del Cesis (coordinamento dei Servizi segreti dal 1978 al 2007), tra il maggio del ’91 e l’aprile del ’93, rilanciando tutti i suoi dubbi sulle missioni top secret di alcuni agenti della settima divisione del Sismi, il servizio segreto militare, che “maneggiavano dinamite e armi”e costituivano una cellula speciale, con obiettivi di “guerriglia urbana” da lui stesso definiti totalmente estranei ai compiti istituzionali.

Francesco Paolo Fulci Francesco Paolo Fulci

 

IL CUORE DELL’INCHIESTA-BIS

Dopo aver subito minacce e intimidazioni, ma soprattutto dopo aver scoperto una centrale di ascolto clandestina nel proprio alloggio di servizio, Fulci riesce a individuare “i nomi dei componenti di questa cellula”: quindici 007, tutti della settima divisione, il reparto K del servizio militare responsabile di Gladio, e si convince che questi potrebbero aver avuto un ruolo, forse proprio quello dei telefonisti, nelle operazioni della Falange armata, la misteriosa sigla che ha rivendicato tutte le tappe della stagione stragista nel ’92-’93.

 

LUIGI FEDERICI LUIGI FEDERICI

Ora i ricordi dell’ex ambasciatore, in pensione dal 2000, costituiscono il cuore dell’inchiesta bis sul dialogo Stato-mafia, che ruota proprio attorno alla Falange armata: se Fulci dice la verità, un filo diretto sembrerebbe collegare un pezzo del Sismi alla sigla del terrore che firmò le bombe del biennio ’92-’93 , lanciando nello stesso periodo messaggi e intimidazioni ai protagonisti della trattativa.

 

Proprio all’interno del Sid (l’antenato del Sismi) il generale Mario Mori, tra gli imputati eccellenti del processo di Palermo, cominciò la sua carriera tra il ’72 e il ’75. Anche se Fulci dice di averlo conosciuto anni dopo, quando era già comandante del Ros: e racconta di avergli affidato un’indagine per scoprire chi metteva in giro voci su una sua presunta dipendenza da cocaina.

 

La scoperta delle cartine sovrapponibili, avvenuta nella primavera del ’93, poco prima della conclusione del suo incarico al Cesis e della sua partenza per New York (dove viene nominato rappresentante dell’Italia presso le Nazioni Unite), porta Fulci a elaborare una “teoria personale”: “Mi sono convinto che tutta questa storia della Falange armata faceva parte di quelle operazioni psicologiche previste dai manuali di Stay Behind (Gladio, ndr): facevano esercitazioni, come si può creare il panico in mezzo alla gente... e creare le condizioni per destabilizzare il Paese, questa è sempre l’idea”. E poiché gli inquirenti gli fanno notare che quando partono le rivendicazioni della Falange armata, l’operazione Gladio è ufficialmente cessata, Fulci ribatte: “Qualche nostalgico”.

MARIO MORI MARIO MORI

 

IL SANGUE TRA MAGGIO E LUGLIO A FIRENZE E MILANO

Sono gli stessi sospetti che qualche settimana dopo, tra maggio e luglio ’93, quando esplodono le bombe di Roma, Firenze e Milano, spingono l’ambasciatore a tornare dagli Stati Uniti in Italia per mettere a disposizione del generale dei carabinieri Luigi Federici le sue conoscenze riservate: “Ho letto la notizia che c’erano queste bombe a Firenze e a Roma... e i giornali dicevano: questi sono i soliti servizi deviati... allora io dissi: qui c’è un modo semplice per chiarirla questa cosa... all’interno dei servizi c’è solo una cellula che si chiama Ossi, che è molto esperta nel fare questo genere di guerriglia urbana, piazzare polveri, fare attentati, basta che io ne parli con il generale... e che lui accerti dov’erano questi signori di cui gli do i nomi: perché io (i nomi) me li ero conservati per paura che mi facessero fuori”.

LUIGI FEDERICI LUIGI FEDERICI

 

Così Fulci lascia New York e si reca a Milano: “Vengo qui apposta per incontrare Federici, e gli dico: guardi, per essere certi che i servizi non c’entrino niente, questi sono i nomi delle persone che sanno maneggiare... E lì feci una cosa che non avrei dovuto fare: ci aggiunsi pure il nome di Masina”.

 

Il colonnello Walter Masina non faceva parte della settima divisione, ma era il responsabile delle intercettazioni che aveva disseminato l’alloggio romano di Fulci di microspie, controllando tutta la sua famiglia, e riprendendo sua figlia “mentre si spogliava”.

 

L’ELENCO DEGLI OSSI

A questo punto i pm di Palermo chiedono: “Ma questa settima divisione del Sismi da quanti soggetti era costituita? ”. E Fulci: “Da quelli che c’erano nell’elenco che io diedi al comandante dei carabinieri. Io ci aggiunsi Masina, ’sto mascalzone, gliela dovevo far pagare”. E chi erano questi misteriosi Ossi (acronimo di Operatori speciali servizi italiani)? Erano appartenenti a Gladio?

 

SERVIZI SEGRETI A ROMA SERVIZI SEGRETI A ROMA

“Non credo – risponde l’ex diplomatico – c’era stata una lettera dell’ammiraglio Fulvio Martini ai capi di Stato maggiore, perché indicassero soggetti leali e affidabili, cui dare questo compito: un compito che un servizio segreto non dovrebbe avere. Dissi a Federici: guardi, questa è gente addestrata nell’uso degli esplosivi, sa dove metterli, questi sono gli unici al l’interno dei servizi che a quanto mi risulta fanno questo lavoro, andate a vedere dove erano la notte degli eventi, se questi non erano a Roma, a Firenze, mi pare che potete stare tranquilli”.

 

GLADIO GLADIO

Gli inquirenti insistono: gli americani conoscevano questi agenti speciali? “Penso di sì”, risponde Fulci. E chi era il capo della divisione? “Uno di questi, mi pare che poi morì in Somalia”. L’ex ambasciatore sembra volersi riferire a Vincenzo Li Causi, che fu capo di una cellula Gladio e morì nel novembre del ’93 a Balad nel corso di una misteriosa imboscata, ma il suo nome non figura nell’elenco consegnato a Federici. C’è, invece, nella lista, il nome di Giulivo Conti, che si trovava in Somalia accanto a Li Causi quando fu ucciso.

 

LA CONVERSAZIONE COL QUIRINALE

Cosa succede quando Federici acquisisce l’elenco? “Mi arriva una telefonata del presidente della Repubblica Scalfaro – racconta Fulci – e mi dice: dia subito i nomi anche a Vincenzo Parisi (all’epoca capo della Polizia, ndr). Dopo manco una settimana mi chiama Parisi: eh, ambasciatore, quel materiale era talmente grave che l’ho portato subito ai magistrati. Ah, benissimo, e ora che succede?

Gladio Gladio

 

Immediatamente una denuncia per depistaggio, mi accusano che stavo montando un’operazione di depistaggio con gli americani. Rimasi talmente scioccato che dicevo: ma chi me l’ha fatto fare, era meglio se restavo a fare l’ambasciatore senza dire niente”. E Federici? “Non ci siamo più sentiti – conclude Fulci, che poi fu prosciolto dalle accuse e dal 2001 è il presidente della Ferrero – Fu uno slancio civico, il mio, di cui poi mi pentii amaramente e ora anche questa storia delle due cartine... spero di non dovermene pentire”.

 

 

 

 

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