SOLLECITO GIUSTIZIA – DOPO L’ASSOLUZIONE RAFFAELE CHIEDE CHE “SI RICONOSCA LA RESPONSABILITÀ DI CHI HA SBAGLIATO. A NESSUNO DEVE CAPITARE QUELLO CHE È CAPITATO A ME – “DI AMANDA NON PARLO. MI FA PIACERE CHE MI ABBIA MANDATO I SALUTI DAI LEGALI”

Meo Ponte per “la Repubblica

 

«CHE era finita, che i giudici della Cassazione mi avevano assolto me lo ha detto mia sorella Vanessa che era rimasta a Roma. Mi ha telefonato subito, ho messo in viva voce, abbiamo sentito tutti e io e mio padre siamo scoppiati in lacrime dalla gioia... «, dice Raffaele Sollecito.

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Dopo più di sette anni lei è stato definitivamente scagionato dall’accusa di aver partecipato all’omicidio di Meredith Kercher. Che effetto fa?

«È bellissimo anche se mi hanno ferito alcuni commenti che ho letto il giorno dopo. Qualcuno ha detto che per la morte di Meredith l’unico a pagare sarà ora Rudy Guede ma io per sette anni ho avuto la vita sospesa, ho vissuto con la paura di essere arrestato sapendo di essere invece innocente. E non è facile anche in questo momento riascoltare certe parole che sono riconducibili soltanto ad una terribile fantasia e che sono in realtà soltanto menzogne. Ho sempre cercato di rispondere alle accuse che mi venivano fatte con la verità delle prove. Nella documentazione dell’inchiesta di fatto non c’è nulla contro di me e Amanda. E quelle che sono state definite prove sin dall’inizio si sono rivelate degli errori...».

 

Come l’impronta della scarpa trovata sulla scena del crimine e attribuita a lei. E che invece di chi era?

«Di Rudy Guede. Come erano di Rudy Guede anche tutte le altre tracce trovate in via Della Pergola...».

 

In questi anni come ha vissuto?

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«Giorno per giorno, conscio che non potevo fare progetti. Questo non vuol dire che non ne avessi. Ho vissuto però per tutto questo tempo con la paura di non poter avere un futuro, di un poter fare piani a lungo termine ma di essere costretto a pensare ad spazi temporali che non superavano i tre giorni. E sempre con l’angoscia che il giorno dopo potesse essere l’ultimo da uomo libero. Sono sempre comunque andato avanti, senza mai cedere alle angosce pensando che era l’unico modo perché alla fine si arrivasse a capire che con la morte di Meredith non c’entravo nulla ».

 

E in tutto questo periodo non ha mai avuto la tentazione di fuggire lontano, in un paese dove nessuno potesse raggiungerla?

«Lo hanno ipotizzato in tanti ma è un pensiero che non mi ha mai sfiorato. Non ho mai pensato di allontanarmi dal mio paese. Anche nei momenti in cui la disperazione era più pesante non ho pensato alla fuga. Ho affrontato questo incubo cercando di mostrare a tutti quale era la verità attraverso le prove della mia innocenza»

 

Aveva quindi fiducia nella giustizia, nei magistrati?

«Avevo soprattutto fiducia in me stesso e nella possibilità di poter dimostrare, attraverso prove concrete, la mia più totale innocenza».

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Quattro anni nella cella di un carcere quando aveva vent’anni, l’accusa di aver ucciso una ragazza senza un vero motivo e ora il riconoscimento della sua innocenza. Che cosa la può risarcire di quello che ha passato?

«Niente».

 

Dal punto di vista strettamente legale però può intentare una causa di risarcimento per ingiusta detenzione...

«Questo saranno i miei avvocati a deciderlo. A me basterebbe che il sistema giudiziario riconoscesse la responsabilità di chi commette errori grandi come quello commesso nei miei confronti. E soprattutto vorrei che quello che è successo a me non succedesse ad altri. Errori giudiziari ne sono stati commessi molti anche in passato ma spero che a nessun altro ragazzo accada quello che è accaduto a me. Non sapevo nulla di giudizi e tribunali, non avevo idea di che cosa fosse un’inchiesta giudiziaria. Sono stato catapultato in un inferno nuovo, in qualcosa che non avevo mai neanche immaginato ma l’ho affrontato con la consapevolezza di essere innocente...».

 

Ha voluto essere presente anche nell’aula della Cassazione. Poi però nel pomeriggio ha lasciato Roma. Perché?

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«Volevo stare con la mia famiglia e i miei amici. Aspettare con loro la decisione dei giudici. Soprattutto andare lontano da telecamere e taccuini. Non certo in tranquillità visto che c’erano almeno dieci poliziotti davanti alla porta di casa mia».

 

Dopo sentenza di assoluzione ha avuto modo di parlare con Amanda?

«A questo tipo di domande non rispondo. So che lei, attraverso i suoi avvocati, mi ha mandato un saluto dagli Stati Uniti. Mi ha fatto piacere naturalmente ma di più non dico. Non voglio parlare di queste cose, né del mio rapporto con lei».

 

E ora che è stato completamente scagionato quali progetti ha?

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«Quello di cominciare a vivere senza più la paura come compagnia e di realizzare progetti che sino a ieri erano soltanto ipotesi e che rischiavano di essere interrotti da un momento all’altro. Voglio finalmente iniziare costruirmi un futuro. Ora che la mia innocenza è stata riconosciuta posso farlo».

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