LA SVIZZERA RIAPRE TUTTO! A LUGANO SI ALLENTANO LE RESTRIZIONI. ASSEMBRAMENTI VIETATI E TAVOLI SOLO NEI DEHORS, MA FUORI DAI LOCALI C'È LA FILA. APERTI BAR, IMPIANTI SPORTIVI ANCHE AL CHIUSO, CINEMA E TEATRI - LA TASK FORCE DI SCIENZIATI INVITA A TENERE ALTA LA GUARDIA - IL CONSIGLIERE FEDERALE ALAIN BERSET HA PARLATO DI “RISCHIO CALCOLATO”: PRATICAMENTE, UN DRAGHI-BIS. TUTTO IL MONDO E’ (BEL)PAESE…

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Alberto Mattioli per "la Stampa"

 

La felicità sa di caffè.

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Specie se, dopo mesi di reclusione, lo prendi a un tavolino all' aperto, in una bella giornata di sole e con vista lago, che insomma non è il mare ma talvolta può farne le veci. Per ora succede in Svizzera, dove ieri hanno aperto, se non tutto, molto, con cautele e regole simili a quelle che saranno applicate in Italia da lunedì prossimo. Il consigliere federale in carico della pandemia, Alain Berset, ha parlato di «rischio calcolato»: praticamente, un Draghi-bis.

 

Intanto a Lugano è liberi tutti. Quindi sembra che in via Nassa e dintorni ci sia l' intero Canton Ticino e non solo, con file davanti ai bar aspettando che si liberi un tavolino e comitive di turisti (per ora solo nazionali) calati per lo più dalla Svizzera tedesca. Insomma, tanta, tantissima gente per le strade, compreso il presidente della Rai, Marcello Foa, venuto a trovare la moglie che vive qui.

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Una ressa per nulla da zona rossa. Le regole partorite dall' estenuante concertazione elvetica prevedono la riapertura di bar e ristoranti dalle 6 alle 23, ma solo all' aperto e con un massimo di quattro persone attovagliate insieme, in tavoli distanziati di almeno un metro e mezzo. Aperti impianti sportivi anche al chiuso, cinema e teatri, manifestazioni ammesse con un massimo di cento persone all' aperto e 50 al chiuso. Per feste private e riunioni pubbliche il limite è di 15 partecipanti, che peraltro in Svizzera sono spesso già una folla.

 

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L' entusiasmo però non manca. In piazza Riforma, si festeggia in tutte e quattro le lingue ufficiali della Confederazione. «Vede la fila fuori dal dehors? È così dalle otto di stamattina», racconta Andrea, maître (italiano) del bar ristorante Olimpia, sotto al Municipio. E una signora calata da Zug con un cane e due figli tiene a far sapere in un italiano molto tedesco che «è una giornata meravigliosa, non se ne poteva veramente più». E dire che qui il lockdown è stato meno drammatico che dall' altra parte della frontiera.

 

 

Non c' è il coprifuoco e a Lugano le mascherine sono obbligatorie solo in certi punti della città, per esempio il lungolago, segnalati da appositi cartelli (e, per inciso, la multa per chi sgarra è di cento franchi, molto meno dei 400 euro nostrani). Attualmente i numeri del contagio, in proporzione, sono più o meno quelli italiani. Ma una petizione per riaprire aveva già raccolto più di 200 mila firme, specie nei cantoni interni e specie tedeschi: tanti Guglielmo Tell pronti a infilzare la mela della prudenza. «Però noi italiani che lavoriamo qui abbiamo diritto a cinque tamponi gratis al mese.

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Basta presentarsi in farmacia con il permesso di lavoro», racconta Eros Sebastiani, vicepresidente dell' Associazione Frontalieri Ticino.

 

Se ne dovrebbe fare uno alla settimana: il quinto, dettaglio squisitamente svizzero, è di riserva.

 

Vista dalla Svizzera la gestione di chiusure e aperture dà una forte idea di déjà vu. Rischi calcolati a parte, anche qui la destra era aperturista e la sinistra chiusurista, e gli esercenti spaccati: i piccoli e gli alberghi spingevano per riaprire perché il turismo langue, la grande distribuzione per lasciare chiuso perché con la clausura non ha mai guadagnato tanto: «Per forza - spiega un collega della Radio svizzera -, noi ticinesi andiamo tutti a fare la spesa nei supermercati italiani: costa la metà». Anche qui c' è un virologo consigliere del governo, Martin Ackermann, che ne contesta le decisioni.

 

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E si ripetono esattamente le stesse dinamiche dell' Unione europea, con i cantoni nella parte degli Stati nazionali e la Confederazione in quella di Bruxelles.

 

L' ultima polemica riguarda i vaccini, che non arrivano quanto dovrebbero (ricorda qualcosa)? Il presidente del Consiglio di Stato di Bellinzona, Norman Gobbi della Lega dei Ticinesi, insomma il Salvini locale, accusa: «I cantoni si organizzano e sono pronti, la Berna federale non fornisce, la popolazione è pronta ma deve attendere: male, malissimo». E a Berna, intesa come Cantone, sono talmente irritati con Berna, intesa come capitale federale, da chiedere che la distribuzione dei vaccini sia affidata «a esperti di economia, in modo da garantire processi professionali». Tutto il mondo è Belpaese.

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