TANTI SALUTI AL MADE IN ITALY - IL MINISTRO MARTINA INAUGURA IL MARCHIO PER PROMUOVERE L’AGROALIMENTARE NOSTRANO MA TRA QUESTI FINIRANNO ANCHE I PRODOTTI ''TRASFORMATI'' IN ITALIA DA MATERIE PRIME ESTERE - IL “DOWNGRADING” DELL’OLIO D’OLIVA

Succede poi che il panel di assaggio del laboratorio chimico di Roma dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli declassi nove olii su venti e fra questi ci siano alcuni nomi piuttosto noti alle massaie, come Carapelli, de Cecco, Bertolli, Sasso. (da Il Test, giugno 2015)....

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Lady Coratella per Dagospia

 

MAURIZIO MARTINA MAURIZIO MARTINA

Il ministro Martina ha benedetto a Expo il nuovo marchio del made in Italy che promuoverà l'agroalimentare sotto un'unica bandiera, "The extraordinary italian taste". Sembrerebbe una farsa a guardare bene, una veste nuova per una vecchia idea chiara un po' a tutti: promuovere prodotti trasformati in Italia anche da materia prima estera. E salutatemi il made in Italy, se lo trovate.

 

Non è la prima volta che il ministro parla di trasformatori anziché di produttori, avrà mica sbagliato ministero? Deve aver confuso l'agricoltura con l'industria.

 

Tanti sono i prodotti trasformabili, come la carne, i prosciutti (da allevamenti esteri e stagionati in Italia), la pasta (da grano coltivato altrove), formaggi, latticini e yogurt fatti col latte dell'est e poi l'olio di oliva, il pregiatissimo extravergine che dichiara nella retroetichetta a caratteri lillipuziani che non si caga nessuno, la miscela di olii comunitari. Basta dare un'occhiata fra gli scaffali del supermercato, ma anche nelle cucine di qualche ristorante, per i più temerari.

 

cibo biologico cibo biologico

Il mercato dell'olio è molto concentrato fra grandi gruppi, spesso spagnoli, anche se la marca sembra italiana e la normativa che regola il settore tende fortemente alla cautela dei loro interessi con classificazioni decisamente ambigue.

 

L'olio d'oliva è un prodotto che viene "raffinato" ovvero "rettificato" (ma si evita il termine evocativo del petrolio) tramite processi di deodorazione, che intervengono sui difetti olfattivi, e per abbassare le acidità. Il tutto con l'intervento di prodotti che di naturale hanno ben poco. Sostanze chimiche, per intenderci. Dopodiché si aggiunge un pochino di olio vergine o extravergine ed ecco che, per magia, quella cosa lì si trasforma in vero e proprio olio d'oliva.

 

olio oliva olio oliva

Ma se definiamo "olio d'oliva" questo prodotto, come dobbiamo chiamare l'altro, quello fatto solo con la spremitura meccanica delle olive? Extravergine, basta la parola. Ovviamene per rendere la faccenda più ostica per il consumatore si è deciso di imporre la specifica della spremitura meccanica (che dovrebbe qualificare l'olio) mentre per il normale olio di oliva (che trovate soprattutto nelle salse pronte, nel tonno sott'olio e come ingrediente nella composizione di altri prodotti, ma non è meno grave, è solo più nascosto) è permesso omettere che viene ottenuto attraverso processi chimici. Una differenza che non chiamerei dettaglio e che, come tutte le indicazioni di metodo, risulta incomprensibile.

il new york times e l adulterazione dell olio extravergine italiano il new york times e l adulterazione dell olio extravergine italiano

 

Succede poi che il panel di assaggio del laboratorio chimico di Roma dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli declassi nove olii su venti e fra questi ci siano alcuni nomi piuttosto noti alle massaie, come Carapelli, de Cecco, Bertolli, Sasso. (da Il Test, giugno 2015).

GIANNI ZONIN GIANNI ZONIN

 

A dare una mano all'agroalimentare, oltre al ministro Martina, ci si mette pure l'industriale del vino Gianni Zonin il quale, anziché riceve una laurea honoris causa, ritirarla e tacere, si mette a frignare per la scarsa crescita del settore vino dovuta, a suo dire, all'eccessiva presenza di piccole aziende artigiane e non all'incapacità concreta dei grandi gruppi a svilupparsi a livello mondiale. Gli appassionati di vino sappiano che se i cinesi preferiscono Chateau Lafitte al pur nobilissimo Berengario di Zonin, sarà certamente colpa di pericolosi artigiani come Maria Teresa Mascarello, Francesco Paolo Valentini o Beppe (Citrico) Rinaldi.

 

 

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