UNA TELEFONATA ACCORCIA LA VITA - I QUATTRO TECNICI ITALIANI DELLA BONATTI DOVEVANO RAGGIUNGERE MELITAH VIA MARE, MA UNA TELEFONATA CAMBIO’ I PIANI: “VIAGGERETE DA GERBA IN AUTO”. UNA SCELTA CHE VIOLAVA I PROTOCOLLI DI SICUREZZA E HA AGEVOLATO I SEQUESTRATORI. L’AUTISTA E’ SPARITO…

Non è chiaro chi prese la decisione: la telefonata è partita da un ufficio dell’impianto di Mellitah. Il piano originario prevedeva il trasferimento da Gerba a destinazione a bordo di una chiatta. Voci di una richiesta di 2 milioni di dollari da parte dei sequestratori…

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Giuseppe Scarpa e Fabio Tonacci per “la Repubblica

 

I DUE TECNICI DELLA BONATTI RAPITI IN LIBIA - GINO POLLICARDO E FILIPPO CALCAGNO I DUE TECNICI DELLA BONATTI RAPITI IN LIBIA - GINO POLLICARDO E FILIPPO CALCAGNO

I quattro tecnici italiani della Bonatti, quel 19 luglio scorso, dovevano arrivare all’impianto di Mellitah passando dal mare. Con una chiatta che avrebbe dovuto salpare dal porticciolo tunisino di Zarzis. Ma una telefonata, alle dodici del giorno stesso della partenza dall’Italia, li informò di un fuori programma.

 

«Viaggerete da Gerba in macchina, con un nostro autista di fiducia». Una scelta contraria al buon senso, prima ancora che alle procedure di sicurezza delle compagnie petrolifere. E su cui, adesso, sta indagando il pm romano Sergio Colaiocco.

 

IL FUORI PROGRAMMA

ostaggi libia gentiloni ostaggi libia gentiloni

Non è chiaro chi prese la decisione, né quale esigenza suggerì la variazione. La telefonata è partita da un ufficio dell’impianto di Mellitah, e ha sorpreso non poco Gino Pollicardo, Filippo Calcagno, Salvatore Failla e Fausto Piano.

 

L’originario piano di viaggio fornitogli dalla logistica della Bonatti, azienda emiliana con 6mila dipendenti sparsi in 14 paesi del mondo ma senza un servizio di security centralizzato, prevedeva due voli aerei (da Roma a Malta, e da Malta a Gerba), poi un trasferimento in auto fino a Zarzis e da qui in barca a Mellitah. Invece, arrivati all’aeroporto di Gerba nella tarda serata del 19 luglio, ad aspettarli trovarono un autista libico. E una macchina come tante, priva di scorta.

 

L’AUTISTA SPARITO

L’uomo era uno di cui la Bonatti si era servita già in passato. Il tragitto fino allo stabilimento di gas, gestito da una società per metà dell’Eni e per metà della libica National Oil Company (Noc), doveva durare due ore e mezzo, al massimo tre. L’auto è stata fermata tre volte, in altrettanti check point: uno al confine tra Tunisia e Libia, gli altri due lungo la strada prima e dopo Zuwara. In questo lasso di tempo, qualcuno ha tradito.

ostaggi gentiloni ostaggi gentiloni

 

Ha venduto gli italiani al gruppo di banditi filo- islamisti che li ha tenuti in ostaggio per sette mesi e mezzo. Il magistrato romano, che indaga per sequestro di persona con finalità di terrorismo e omicidio, ha sul tavolo due ipotesi: potrebbe essere stato l’autista, forse per qualche controversia con la Bonatti, oppure un miliziano incontrato ai checkpoint.

 

Dall’ultimo controllo dell’automobile al momento esatto del rapimento, calcolano gli investigatori, è passata circa mezz’ora. E l’autista, che dopo l’episodio fu interrogato a lungo, adesso non si fa più trovare.

fausto piano salvatore failla libia bonatti fausto piano salvatore failla libia bonatti

 

LE PROCEDURE VIOLATE

Il punto è che gli italiani su quella macchina non ci dovevano proprio essere. A Mellitah la sicurezza non è in mano all’Eni, ma alla Noc, la quale per precauzione dopo l’evacuazione dell’ambasciata italiana a Tripoli nel febbraio 2015 aveva rivisto tutte le procedure per lo spostamento dei lavoratori, mettendo a disposizione delle società contrattiste (tra cui anche la Bonatti) barche e piccoli elicotteri.

 

Furono organizzati diversi briefing per spiegare quali avrebbero dovuto essere le regole d’ingaggio. Nessuno doveva avvicinarsi via terra. Perché, dunque, la Bonatti non ha seguito la raccomandazione?

 

fausto piano salvatore failla libia bonatti uccisi a sabrata fausto piano salvatore failla libia bonatti uccisi a sabrata

L’ “ACCORDO”

Non è l’unico punto oscuro da chiarire, questo. Due diverse fonti interpellate da Repubblica confermano che le autorità italiane impegnate nella trattativa avevano raggiunto, attraverso un mediatore libico, un accordo con i rapitori. «Ancora 24 ore e li avremmo salvati tutti, invece sono intervenuti i miliziani legati al governo di Sabrata che hanno ucciso almeno 7 sequestratori, oltre a Failla e Piano».

 

Sul contenuto dell’accordo soltanto voci, che nessuno conferma. Si parla di qualche forma di riconoscimento “politico” del gruppo e del pagamento di 2 milioni di dollari alla consegna degli ostaggi. Scambio che non è mai avvenuto.

 

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