1. IL “SOLE” DI CONFINDUSTRIA BRUCIA DE BENEDETTI FAMILY: “SORGENIA? UN COPIONE GIÀ VISTO CON I VARI ZALESKI E ZUNINO: SARANNO LE BANCHE AD ACCOLLARSI LA GRANA PIÙ GROSSA”. IL COLPO FINALE: “NON CI SI ASPETTAVA CHE QUELLA SCENA LA CALCASSE DE BENEDETTI” 2. “GIÀ NEL 2009, IL DEBITO SUPERA DI 10 VOLTE IL MARGINE LORDO. POI, NONOSTANTE IL CREDIT CRUNCH (PER GLI ALTRI) LE BANCHE AUMENTANO L'ESPOSIZIONE DEL 50% E OGGI A 1,8 MILIARDI” 3. LA CRISI DI SORGENIA E IL CAMBIO DI CAVALLO, DA BERSANI AL “BERLUSCHINO” RENZI, DI “REPUBBLICA” - LE PRESUNTE INGERENZE DI CARLO DE BENEDETTI NELLA FORMAZIONE DEL PRIMO GOVERNO RENZIE - IL FUOCO DI FILA DI ‘’REPUBBLICA’’ CONTRO IL MINISTRO FEDERICA GUIDI, ABILMENTE MESSA IN CARICO A BERLUSCONI, ALL’INSAPUTA DEL CAVALIERE STESSO - IL TENTATIVO DI ACCOLLARE SORGENIA ALL’ENI E ALL’ENEL PER IL QUALE IL QUOTIDIANO DELL’INGEGNERE HA GIÀ CHIESTO LE TESTE DI SCARONI E CONTI - ECCO IL FILO ROSSO CHE TIENE INSIEME TUTTE QUESTE PARTITE

1. IL "SOLE" BRUCIA DE BENEDETTI: "UN COPIONE GIÀ VISTO CON I VARI ZALESKI E ZUNINO: SARANNO LE BANCHE AD ACCOLLARSI LA GRANA PIÙ GROSSA"
Fa.P. per il "Sole 24 Ore" - Una vicenda iniziata male e che finirà peggio. Il peccato originale per Sorgenia data da molti anni ed è stato tanto debito, poco capitale e redditività decrescente. Un mix velenosissimo. Già nel 2009, il debito superava di 10 volte il margine lordo. Poi, nonostante il credit crunch (per gli altri) le banche hanno aumentato l'esposizione salita del 50% e oggi a quota 1,8 miliardi.

I margini al contrario si annullavano. Troppa offerta elettrica e costi-capestro di approvvigionamento del gas. Ora la soluzione sarebbe di riequilibrare la società. De Benedetti dovrebbe fare la sua parte e mettere 600 milioni in Sorgenia. In fondo è poco più del ricavato ottenuto dalla contesa Fininvest. Ma la famiglia sembra non voler accettare di fare in toto la sua parte. Sa che, se non muta il quadro, rischia di perdere i soldi. Ma così saranno le banche ad accollarsi la grana più grossa. Un copione già visto con i vari Zaleski e Zunino. Non ci si aspettava che quella scena la calcasse De Benedetti.


2. A DEBENEDE' CHETTESERVE?
Francesco Bonazzi per Dagospia

Le presunte ingerenze di Carlo De Benedetti nella formazione del primo governo Renzie, denunciate ingenuamente da un galantuomo come l'ex ministro Fabrizio Barca. Il fuoco di fila di Repubblica contro il ministro Federica Guidi, abilmente messa in carico a Silvio Berlusconi, all'insaputa del Cavaliere stesso. Il management in scadenza dei colossi dell'energia a controllo statale come Eni ed Enel, tutto oggettivamente nominato dal centrodestra, per il quale il quotidiano dell'Ingegnere ha già chiesto un ricambio totale.

Più passano i giorni, anzi, più si avvicina una certa scadenza finanziaria, e più emerge il filo rosso che tiene insieme tutte queste partite: la necessità di salvare Sorgenia dal tracollo, mettendola in sicurezza con le banche o appioppandola a qualcuno che prende ordini dalla politica. Una partita che per la Cir dei De Benedetti è quasi disperata, perché la voragine finanziaria della sua controllata energetica mette a rischio l'intero gruppo, editoria compresa.

Mancano solo tre settimane alla fine dell'autonomia di cassa di Sorgenia, in passato pompata di generosi finanziamenti da parte delle banche più "progressiste" del sistema, ovvero Monte dei Paschi di Siena e Unicredit. Adesso ci sono 1,8 miliardi di debiti da gestire e un complesso negoziato che potrebbe portare gli istituti di credito a controllare oltre il 65% di Sorgenia. Prima di vedere che cosa può fare lo Stato, e il governo in particolare, per aiutare De Benedetti, è utile un passo in dietro di qualche mese. Otto, per la precisione.

Il 6 giugno 2013 lo stellone di Renzi acquista nuova luce. A Firenze sbarcano i vertici del gruppo Espresso-Repubblica, che fino ad allora avevano sempre appoggiato Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta. Alle primarie democratiche del 2012, l'Ingegnere aveva fatto un pubblico endorsement a favore di Bersani e per una volta aveva portato bene.

Matteuccio era stato liquidato come "un altro Berlusconi che non ci serve". Eugenio Scalfari non mancava di randellarlo nelle sue omelie domenicali ed Ezio Mauro scuoteva la testa infastidito ogni volta che i suoi cronisti lo aggiornavano sulle mosse del Rottam'attore.

Ma a giugno, complice un'iniziativa promozionale di Repubblica in città, De Benedetti si presenta a Palazzo Vecchio per un colloquio privato di oltre un'ora con Renzie. Ne esce dichiarando ai quattro venti la massima stima nei confronti del sindaco. L'attuale premier invece non farà uscire una sola parola di quella lunga conversazione e ai suoi collaboratori sembrerà, se non infastidito, un filo turbato.

Passano pochi giorni e il direttore Mauro comincia a spiegare nelle messe cantate del mattino che Renzi è l'unica speranza per uscire dal pantano. Mentre il fondatore Scalfari rivede i propri giudizi sul "ragazzo" e comincia a scriverne, se non benissimo, senza più alcuna ostilità.

Nello stesso mese di giugno, Massimo Orlandi capisce che la sua lunga stagione ai vertici di Sorgenia è finita. L'ingegnere romano, dopo 14 anni sul ponte di comando, viene costretto a cedere tutti i poteri a un "finanziario" puro come Andrea Mangoni, ex fedelissimo di Franco Bernabè e molto più ben visto dalle banche.

Mentre comincia a emergere la gravità della situazione finanziaria, con i consoci austriaci di Verbund che azzerano il valore a bilancio della partecipazione in Sorgenia, le banche iniziano a sudare freddo e chiedono a Cir di mettere mano al portafogli. Mangoni prende tempo e inizia ad annunciare esuberi ai sindacati. Ma il problema non è solo di liquidità. Il problema è che Sorgenia è in ginocchio dal punto di vista industriale perché ha puntato troppo sul gas.

In autunno, comunque, dal governo Letta si riesce ancora a ottenere un discreto favore. Nella legge di stabilità viene inserito il "capacity payment", un meccanismo per il quale lo Stato paga i produttori di energia per il solo fatto di avere impianti pronti a entrare in funzione in caso di picchi di domanda. Vale per tutti, ovviamente, ma per Sorgenia pesa molto: cento milioni. Sembrano pochi di fronte al debito, ma non è così perché sono 100 milioni di margine secco, senza costi e senza rischi. E come se ti pagassero per stare a casa, semplicemente reperibile.

E veniamo alle ultime due settimane. Renzi spinge sull'acceleratore e spinge giù dal ciglio della strada il governo Letta. Nel frattempo le banche mettono spalle al muro Sorgenia, alla quale restano appunto solo tre settimane di ossigeno finanziario. Nei giorni precedenti il giuramento del governo, varie fonti - non solo Barca - segnalano l'attivismo dell'Ingegnere. Voci non confermate parlano anche di uno, se non due, incontri riservati con il nuovo premier.

Ma di che cosa ha bisogno Sorgenia dalla politica e dal governo? Bisognerebbe innanzitutto riuscire a vendere il segmento delle energie rinnovabili in Italia e in Francia. Potrebbe essere interessata anche l'Enel, al cui interno ci sono manager in ascesa che sarebbero disponibili all'operazione, ma non dovrebbe essere un grosso problema neppure piazzarlo a qualche fondo estero. Vi lavorano 400 persone, delle quali 100 sono già state avvisate di essere "esuberi".

Il vero problema però sono le centrali a gas e la quota in Tirreno Power, dov'è in corso un'inchiesta penale dagli esiti totalmente imprevedibili. Le banche creditrici e Sorgenia hanno accarezzato l'idea di provare a rifilarle in blocco alla solita Enel, ovviamente con l'aiuto del governo, ma c'è un ostacolo quasi insormontabile: verrebbero sfondate tutte le soglie Antitrust.

Problemi di libera concorrenza, invece, non sorgerebbero se a comprare tutte queste centrali semi-inutilizzate fosse l'Eni. Ma anche dalle parti del Cane a sei zampe non hanno scritto sulla fronte "Giocondo" e la partita si presenta complicata.

Anzi, sarebbe probabilmente chiusa se non ci fosse la stagione delle nomine in arrivo, con tutti i vertici in scadenza. Repubblica si è mossa per tempo e già da un mese chiede incessantemente un ricambio totale, a cominciare ovviamente da Paolo Scaroni e Fulvio Conti. Li hanno nominati "Letta e Bisignani", ricordano da largo Fochetti, e quindi se ne devono andare.

Chi abbia invece scelto davvero il nuovo ministro dello Sviluppo economico, che sul settore dell'energia ha vasti poteri, è davvero un mistero. Repubblica ha subito attaccato pesantemente Federica Guidi, mettendola in quota Berlusconi e accusandola di portarsi con sé notevoli conflitti di interesse (la sua Ducati Energia ha un 20% di commesse con imprese pubbliche).

Poi ieri ha fatto pace, offrendole un'intervista. Ma nell'opinione pubblica resterà il marchio di un ministro che non viene certo dal Pd e che Renzie ha preso all'ultimo minuto pescando "dall'altra parte". Una mossa perfetta, se dovesse essere lei a mettere la faccia sul salvataggio pubblico di Sorgenia. "L'amica" di Berlusconi che salva l'Ingegnere. Con Renzie che allarga le braccia e dice: "Io mi occupo solo di politica, non fo affari". Un autentico capolavoro.

 

 

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