1- ‘’L’UNITÀ’’ IN PARADISO (FISCALE)! IMPALLINATO IL GIORNALE DEL PD BERSANIANO, CON L’ELMETTO CONTRO IL CAYMAN-O RENZI: ANCHE GLI EREDI DI GRAMSCI HANNO I LORO CONTI ALL’ESTERO. MAURIZIO MIAN, IL SOCIO DEL QUOTIDIANO PIDDINO CHE HA INTESTATO IL PATRIMONIO AL SUO CANE GUNTHER, HA SCUDATO 200 MILIONI DI EURO DAL LUSSEMBURGO. LE QUOTE DEL QUOTIDIANO FAREBBERO CAPO A UNA SOCIETÀ DELLE BAHAMAS 2-ARCHEO 1999: QUANDO IL MAGO DALEMIX E ‘’L’UNITÀ’’ FESTEGGIAVANO I CAPITANI CORAGGIOSI DELLA SCALATA TELECOM ITALIA: LA FINANZIARIA BELL, CUORE DELL’OPERAZIONE DI COLANINNO E SOCI, ERA UNA SCATOLA PER L’EVASIONE CON BASE IN LUSSEMBURGO

1- SE ANCHE L'UNITA' FREQUENTA I PARADISI FISCALI
Nicola Porro per "Il Giornale"


Questa è la storia di un cane miliardario, Gunther, di editoria, l'Unità, di due politici, Bersani& Renzi, di paradisi fiscali e soprattutto di somma ipocrisia. Tutto nasce dalla sventurata idea avuta dal sindaco di Firenze e candidato alle primarie di farsi organizzare un pranzo elettorale dal giovane ge­store di hedge funds, Davide Serra. In una chiesa sconsacrata nel centro di Milano, il fondatore di Algebris (il fondo speculativo, così si chiama) mette insieme duecento bei figli della finanza milano-internazionale. Serra, che gode di uno status fiscale su­perprivilegiato a Londra, fa da pre­sentatore e soprattutto da moralista.

Ci spiega che razza di popolo siamo: una pattuglia di indomiti evasori. Ma ne riparleremo tra poco, poiché la storia è complicata. Il giorno dopo l'Unità, il quotidiano vicino al partito democratico (ben condotto, detto senza alcuna ironia, dal nuovo direttore), prende la palla al balzo e titola: «Le primarie in paradiso (fiscale) »

L'allusione è all'ospite di Renzi, quel Davide Serra che gestisce appunto una serie di fondi speculativi. Una delle sue società è infatti basata alle isole Cayman: non esattamente uno dei luoghi più trasparenti della finanza internazionale e per questo motivo molto utilizzata da chiunque voglia fare molti quattrini senza dare molte spiegazioni. Anche il Corriere della Sera non si era fatto sfuggire il gustoso accostamento: il Kennedy dell'Arno con il Gordon Gekko de noantri.

Se avrete pazienza, tra poco scoprirete che la vicenda è ancora più ipocrita e non riguarda tanto i nostri politici, ma gli uomini della finanza, che fanno legittimamente un mucchio di quattrini all'estero e nel mezzo del cammin della loro vista vengono qua a farci la lezioncina. Dicevamo che nella nostra storia c'entra anche Gunther. Dovete sapere che quattro anni fa fu scoperta una lista di illustri sconosciuti italiani con un mucchio di soldoni depositati in Liechtenstein: non si tratta delle Cayman, giusto per il mare.

Per il resto sempre di paradiso fiscale parliamo. Tra costoro c'è il pisano Maurizio Mian, figlio di una storica dinastia di im­prenditori del farmaceutico. Beccato con le mani nel sacco, Mian, con spirito toscanaccio, dice due cose. La prima è che quei soldi appartengono al suo cane: sì avete capito bene, al suo adorato Gunther. E soprattutto che non gli si devono più rompere le scatole, poiché il cane, o chi per lui, ha fatto lo scudo fiscale e dunque quella gran massa di euro è stata bonificata.

È oramai pulita. Il cane ritorna un mito, perché già una volta era stato celebre: qualche tempo prima i suoi emissari, cioè Maurizio Mian, avevano gestito la squadra di calcio del Pisa. Vi chiederete cosa centri questa folle storia di cani scudati e miliardari con l'Unità . C'entra: solo pochi mesi fa, il medesimo Mian con una parte dei suoi ingenti quattrini diventa il primo azionista della società editrice del quotidiano fondato da Gramsci ed editato dunque dal mi­gliore amico di un cane.

E c'è di più: la titolarità delle quote della società dovrebbe appartenere a una società delle Bahamas, la Gunther Reform Holding, di cui è sempre beneficiario Gunther. Per rimanere in campo animalesco, in casa Pd, il bue dà del cornuto all'asino. L'Unità , il cui azionista principale aveva nascosto 200 milioni in Liechtenstein, poi scudati e infine attribuiti al suo cane Gunther, si lamenta che Renzi si faccia fare la raccolta di fondi da un hedge fund.

Roba da pazzi. Scegliete voi, cari commensali, cosa vi stupisce di meno. Ma se la politica ha le sue colpe, la società civile non è che viaggi meglio. Davide Serra sostiene che il problema numero uno sia l'evasione fiscale. Benissimo. Poi dice che vive a Londra da vent'anni. Fortunato lui. E che in Italia torna per le vacanze. Come dargli torto, poverino. E qui incrocia professionisti, commercialisti e avvocati con la barca frutto spesso dell'evasione fiscale. Slides a corredo della tesi.

Allora ci viene voglia di chiedere al nostro maître-à-penser che ci spiega quanto siamo stronzi: scusi Serra mi fa vedere le dichiarazioni dei suoi redditi negli ultimi dieci anni? E il suo tax rate (si dice così Serra?). E andiamo oltre. Gli italiani (come tutti gli stranieri) che vivono a Londra possono godere di un trat­tamento fiscale, che dire agevola­to è dire poco, dei «resident not domiciliated ».

Motivo per il quale quando andate in un club di Lon­dra sembra di stare nel bar di guerre stellari, con gli alieni che hanno tutti un tratto in comune: sono miliardari. Grazie a questo regime un italiano con famiglia a Londra e che ci passi più di 186 giorni l'anno (caso Serra) non paga le tasse in Italia. E se dovesse fare ad esempio utili in un società residente non in Inghilterra non li paghereb­be neanche a Londra.

Ci sono certo altri motivi per i quali una delle società di Serra è domiciliata alle Cayman. Sempre per pura ipotesi, se detta società delle Cayman dovesse bonificare i suoi dividendi o parte di essi al socio Serra, per esempio su un suo conto in Svizzera o in Liechtenstein, non commetterebbe alcun illecito, e Serra non pagherebbe, su quei dividen­di, neanche un euro di tasse.

Non male. Tanto bene che perfino gli inglesi qualche anno fa hanno capito di aver esagerato. I resident not domicilied sono ora costretti a pagare una tassa fissa di 50mila sterline l'anno (70mila euro)a forfait di tutti i redditi prodotti al­l'estero. Peanuts , nevvero Serra? Gli uffici di Davide Serra dicono che: «riceve i proventi della sua attività di Algebris Investments in Inghilterra, in qualità di partner dell'entità UK e conseguentemen­te paga tutte le tasse dovute in Inghilterra.

L'essere resident not do­micilied non fa alcuna differenza proprio perché i proventi fanno capo alla partnership inglese e so­no quindi tassati in Inghilterra». Dunque sembra di capire che Serra è un «resident not domicilied » e che per quanto riguarda i dividendi di una delle sue società è sottoposto alle aliquote ordinarie inglesi. Gode comunque di uno status di privilegio fiscale che noi ci sogniamo.

Tanto che uno degli ospiti nella platea dell'altra sera ha chiesto a Renzi cosa ne pensas­se di questo trattamento agevola­to. Vi facciamo la sintesi. Un finanziere italiano residente da decenni a Londra convoca un gruppetto di uomini della finanza milanese per presentare lo­ro un candidato alle primarie del Pd. Il medesimo finanziere ci dice che siamo una banda di evasori fiscali e dal pubblico uno si alza e chiede a Renzi se gli happy few (si scrive così, Serra?) possono conti­nuare a godere dei privilegi fiscali vigenti a Londra.

Noi siamo evaso­ri e loro resident not domicilied. Sembra un film di Risi; è invece una buona parte della borghesia il­luminata e cosmopolita di Mila­no. Ps: Una tenace giornalista di Piazza Pulita chiede al finanziare di lungo corso Guido Roberto Vitale quanto sarà il suo contributo al­la campagna di Renzi (ops scusate la cena di Serra era per raccogliere quattrini, tanto che chiede di non fare offerte inferiori ai mille euro). E il finanziere lo guarda come per mangiarselo: «Non fate domande indiscrete» e poi «Siate educati». Scusi Marchese. Del Grillo.

2- QUANDO ALL'UNITA' E AI DS PIACEVA IL LUSSEMBURGO
Da "Il Fatto Quotidiano"


A proposito di paradisi fiscali. Il 19 febbraio 1999, l'allora premier Massimo D'Alema benedisse la scalata a Telecom Italia lanciata dalla Olivetti di Roberto Colaninno, ammirandone "il coraggio". L'Unità inneggiò al "miracolo" compiuto dal ragioniere di Mantova. Non fece velo a tanto entusiasmo che l'Olivetti fosse in mano a Bell, finanziaria lussemburghese, dietro al quale "non si sa chi si nasconda", come denunciò il banchiere comunista Nerio Nesi. L'operazione si concluse con una cartella del fisco da 1,8 miliardi di euro per tasse evase e sanzioni. Bell se la cavò ammettendo di essere una scatola per l'evasione e patteggiando il pagamento di 156 milioni.

 

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