ATAC TRAGEDIA CAPITALE – I MEZZI PUBBLICI DI ROMA SALTANO UNA CORSA OGNI ORA E GLI AUTISTI GUIDANO 700 ORE L’ANNO CONTRO LE 1.200 DI MILANO – OGNI GIORNO CI SONO 1.400 ASSENZE, QUASI IL 12% DELL’INTERA FORZA LAVORO DELL’AZIENDA. AZIENDA?

- Il parco mezzi è quasi da rottamare. Su 2.300 autobus disponibili ce ne sono 600 letteralmente inservibili. Servono come pezzi di ricambio. Ma all’Atac non deve funzionare bene neppure il cannibalismo. Gli interventi dei meccanici di piazza sulle vetture rotte hanno una percentuale di successo del 55,18 per cento. E al pomeriggio officine chiuse… -

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Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella per “Il Corriere della Sera

 

Domanda: in quale grande città europea già povera di linee della metro gli autobus se la prendono comoda «bucando» mediamente una corsa ogni sei? Risposta: Roma.

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C’era già quasi tutto, sul disastro dell’Atac, e quindi della Capitale di cui l’azienda dei trasporti è uno dei simboli sgangherati, nei dati del polemico carteggio avvenuto in questi mesi tra il direttore operativo dell’azienda Pietro Spirito e Angelo Artale, il direttore generale della Finco, federazione aderente alla Confindustria, che lamentava una serie di disservizi patiti dai propri collaboratori. Numeri agghiaccianti. Inaccettabili per una città con 3 milioni di abitanti e 40 milioni di turisti l’anno. Figuriamoci se poi è anche la capitale d’Italia. E in ogni capitale che si rispetti la qualità dei servizi pubblici è lo specchio del Paese.

 

Dicevano le rilevazioni statistiche relative al mese di gennaio 2015 che in una sola giornata, per la precisione un sabato, si erano perdute 865 corse. Per la linea 60, una delle più centrali, non ne erano state effettuate in una settimana ben 383, vale a dire 12,6 al giorno: quasi una ogni ora, s’intende escludendo la notte.

 

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I motivi? Magari l’organizzazione, se è vero che sempre a gennaio sono state fatte 3.388 ispezioni sulle anomalie del cosiddetto «accodamento» di due o più vetture (autobus della stessa linea fermi al capolinea o che procedono uno dietro l’altro). E pensare che i richiami sull’accodamento nel gennaio 2007 erano stati appena 163. Un ventesimo di quelli di otto anni dopo. Dunque delle due l’una: o le verifiche sui disservizi non erano mai state fatte per anni con analogo zelo, oppure gli autobus allora funzionavano benissimo. Il che, ovviamente, è fantascienza.

 

Ma ai ritardi e alle corse saltate contribuisce pure lo stato pietoso dei mezzi. Su 2.300 autobus disponibili ce ne sono 600 letteralmente inservibili. Per il trasporto, ovviamente: servono come pezzi di ricambio. Ma all’Atac non deve funzionare bene neppure il cannibalismo. Dicono sempre i dati dell’azienda che gli interventi dei meccanici di piazza sulle vetture rotte hanno una percentuale di successo del 55,18 per cento. Quasi metà non si riescono a riparare e devono essere ricoverate nelle officine. Dove, non ci crederete, ma il pomeriggio non si lavora.

CAOS TRASPORTI A ROMA CAOS TRASPORTI A ROMA

 

I cittadini (e, immaginiamo, anche i turisti esterrefatti) l’hanno scoperto grazie ai manifesti con cui il Partito democratico ha tappezzato generosamente la pareti delle strade cittadine. Testuale: «Atac — Officine aperte anche il pomeriggio. Una proposta sostenuta dal Pd per migliorare il servizio di trasporti pubblico ai cittadini».

 

È concepibile che una metropoli frequentata da 40 milioni di turisti con i trasporti che non funzionano e gli autobus che si scassano a ripetizione tenga le officine chiuse il pomeriggio? Ed è possibile che nessuno sia mai intervenuto prima per mettere fine a questo sconcio?

 

Pesantissime sono in questo caso le responsabilità della politica. Di tutti i partiti che si sono alternati al Campidoglio: le maggioranze, perché hanno governato male, e le opposizioni, perché non si sono opposte abbastanza. E se non si può mettere la croce addosso al solo Marino, certo dopo due anni di governo è lecito chiedere che cosa si è fatto, oltre a scoprire che le officine dell’Atac sono sempre rimaste chiuse il pomeriggio.

SCIOPERO MEZZI PUBBLICI A ROMA SCIOPERO MEZZI PUBBLICI A ROMA

 

Perché il crac dell’azienda dei trasporti della Capitale, che è stato certificato ieri in modo drammatico con il licenziamento dei responsabili e perfino dell’assessore Guido Improta, non è il semplice fallimento di un’azienda municipalizzata. Anche se una delle più grandi del Paese: il gruppo ha 12 mila dipendenti, più dell’Alitalia. E non è un caso che si stia pensando proprio a una soluzione come quella studiata a suo tempo per la compagnia di bandiera.

 

Con l’Atac è fallito un modello assurdo di relazioni industriali incentrato sul rapporto perverso fra i sindacati e la politica. Ed è anche il fallimento di un sistema clientelare per il quale l’interesse dei partiti, delle correnti e dei comitati d’affari (che spesso coincidono con i partiti) prevale sempre sull’interesse pubblico. Lo stesso sistema con il quale è stata gestita per anni la città, precipitandola in un degrado disastroso. A prezzi astronomici.

 

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Così all’Atac, dove i contratti venivano negoziati direttamente fra i sindacati e i politici, scavalcando i vertici aziendali, con il risultato che un autista di tram guidava 700 ore l’anno contro le 850 di un suo collega napoletano e addirittura 1.200 di un tramviere milanese. Ed è bastato mettere in discussione alcuni dei privilegi portati a casa in quel modo negli anni per scatenare un feroce sciopero bianco, con le metropolitane bloccate per ore, ritardi biblici nel servizio e drammatiche tensioni sociali. Un ricatto odioso, che ha dimostrato quanto sia ancora potente il fronte degli irriducibili.

 

E così pure all’Ama, che di dipendenti ne ha quasi 8 mila. Alla municipalizzata dei rifiuti si era arrivati a siglare quattro anni fa un contratto integrativo che riconosceva il premio di produttività a chi si era presentato al lavoro almeno metà delle giornate e non aveva accumulato più di cinque giorni di sospensione per motivi disciplinari. Scoperta di queste ultime ore, grazie a un altro manifesto del Partito democratico con cui sono stati riempiti i muri della città, a Roma nei giorni festivi la spazzatura resta nei cassonetti. Testuale: «Ama — La raccolta dei rifiuti anche la domenica — La proposta sostenuta dal Pd per una città più pulita».

 

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Ci si può stupire allora che le strade della Capitale siano in condizioni indecenti dal centro alla periferia? Che i giardini pubblici siano un ricettacolo di sporcizia? Che anche le piazze e le vie più frequentate dai turisti siano piene di immondizia? Nonostante un costo della tariffa per i rifiuti soldi urbani fra le più alte d’Italia?

 

Quel modello di tutela di certi interessi corporativi, si diceva, ha fatto scuola. Superando evidentemente anche i confini delle società comunali. Succede allora che una mattina di luglio migliaia di turisti, magari reduci da una sfacchinata nei carri bestiame dell’Atac, arrivati davanti al Colosseo (che con 6 milioni di ingressi l’anno è fra i monumenti più visitati del mondo) trovino il cancello sbarrato e un cartello che dice: «Chiuso per assemblea. Ci scusiamo per il disagio». Con traduzione pure in inglese, bontà loro. Ma niente tedesco, né francese, e nemmeno spagnolo. Il cinese, poi... Chi lo sa il cinese?

 

E se la stessa cosa capita il giorno dopo, come è capitato, alla Galleria Borghese, ci possiamo meravigliare se mr e mrs Smith, tornati a Los Angeles da un viaggio allucinante a Roma consigliano ai loro amici di non metterci piede? Magari trasferendo il loro giudizio su uno di quei siti internet, tipo Tripadvisor, che sono ormai la bibbia dei viaggiatori?

 

Fatevi un giro, su quei siti, per vedere quali giudizi lusinghieri vengano affibbiati ai servizi pubblici della Capitale. Uno a caso, dal suddetto Tripadvisor: «Autobus affollatissimi agli orari di punta, ancora più rarefatti in altri orari. La sofferenza è garantita. Pulizia zero, sicurezza zero. Vergognoso». Questa è la vetrina della città più ambita, dicono le rilevazioni, dai turisti di tutto il mondo.

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Ed ecco perché non basta dire che si volta pagina, come tante volte si è fatto, e si è fatto anche ieri, se poi la pagina non si volta sul serio. Né può essere considerata una vera soluzione un licenziamento in conferenza stampa di un singolo assessore che già un mese fa aveva del resto manifestato l’intenzione di gettare la spugna.

 

Quando due anni fa l’amministrazione attuale si è insediata l’Atac era una società nel cui bilancio figuravano perdite portate a nuovo per 700 milioni: polvere messa sotto il tappeto, ma che qualcuno prima o poi avrebbe dovuto togliere. Tirando fuori, appunto, tutti quei soldi. Era una società decotta da tempo immemore, con una storia funestata da vicende sconcertanti come un’inchiesta giudiziaria su biglietti falsi, si disse per milioni, e tangenti per l’acquisto di filobus mai utilizzati: perché non esisteva nemmeno la corsia attrezzata per farli marciare.

 

AUTOBUS ROMANO DOPO LA VITTORIA IN ITALIA INGHILTERRA AUTOBUS ROMANO DOPO LA VITTORIA IN ITALIA INGHILTERRA

Una municipalizzata di trasporto pubblico nella quale gli incassi dei biglietti non coprivano a fine anni Novanta che il 24 per cento dei costi, contro il 35 per cento stabilito come limite minimo da una legge dello stato, e che oggi incassa il 38 per cento degli introiti contabilizzati dalla milanese Atm. Con costi astronomici, i più alti d’Italia: oltre 10 euro a chilometro. Un’azienda con un assenteismo impressionante, arrivato a superare le 1.400 assenze giornaliere: quasi il 12 per cento della forza lavoro dell’intero gruppo.

 

E alla quale non era stato risparmiato, come estremo sfregio, nemmeno l’assalto di Parentopoli. Per non parlare dei megadirettori che durante la precedente giunta avevano retribuzioni superiori ai 350 mila euro, e dell’evasione: il numero dei passeggeri degli autobus che non pagano il biglietto arriva anche al 40 per cento. I controllori erano appena settanta, poi sono diventati 300. Senza tuttavia grandi progressi.

 

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La logica del Codice civile avrebbe consentito allora di portare i libri in tribunale. Che però non è accaduto. Sarebbe stata una iniziativa traumatica, certo. Ma come già si era verificato per l’Alitalia, il medico pietoso ha reso il malanno ancora più grave. Dichiarare fallita l’Atac due anni fa avrebbe fatto scoppiare il bubbone avendo poi il tempo per rimediare. Soprattutto, sarebbe arrivato forte e chiaro un messaggio a tutto quel mondo clientelare e affaristico che sui conti della città più grande d’Italia ha speculato ignobilmente per anni, come dimostrano le inchieste di Mafia Capitale.

 

Ma anche a chi semplicemente ci campava con il minore sforzo e impegno possibile. Il messaggio che chi sbaglia deve pagare. E le toppe non si mettono più.

Vedremo ora. Qui non è in ballo il salvataggio di un’azienda pubblica, ma il salvataggio di Roma. Da come sarà affrontato questo passaggio dipende tutto. Anche il futuro politico di Marino.

 

 

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