BRIGATISTI A BRIGLIE SCIOLTE DOPO IL CASO-SENZANI: "NON POTETE CONDANNARCI AL SILENZIO" (PER GLI EX BR ESISTE LA LIBERTÀ DI PAROLA O L’OBBLIGO DEL SILENZIO?)

Vincenzo Tessandori per http://www.caffe.ch/

Il diritto alla parola o l'obbligo del silenzio? Tutto qui il problema. Enorme, perché quando un ex brigatista rosso, un rivoluzionario, un terrorista vien chiamato a parlare in pubblico degli "anni di piombo", è quasi certo che si levino proteste, anatemi, minacce. È giusto far tacere chi ha saldato il conto con la giustizia? È corretto non voler ascoltare "tutte" le voci?

Compresa quella dell'ex brigatista Giovanni Senzani, la cui presenza al Festival di Locarno per il film di Pippo Delbono - a cui è stato assegnato il premio Don Quijote della Ficc, la Federazione internazionale film e società - ha sollevato accese polemiche, con strascichi politici anche in Italia.

Renato Curcio fu fra i fondatori delle Brigate rosse e ne venne considerato l'ideologo, oggi è animatore della casa editrice "Sensibili alle foglie", tiene conferenze e talvolta si trova davanti lo scoglio della contestazione. "Sempre più raramente -osserva con voce pacata -. Sono convinto che per parlare si debba essere persuasi di quello che si dice e sapere quello di cui si parla. Altrimenti si possono creare pasticci, equivoci e quant'altro".

Pretendere il silenzio per non conoscere tutti gli aspetti della verità: è questo il motivo sufficiente, ma non giustificabile, per spiegare l'esplosione di polemiche roventi, secondo Tonino Loris Paroli. Lui face parte del nucleo storico delle Br, colonna torinese "Mara Cagol": nessun reato di sangue, "ma non significa, perché ero nelle Brigate rosse e l'organizzazione ha seminato sangue e lutti".

Sedici anni di carcere, "sono uscito per fine pena e ora mi par di vivere al tempo dell'Inquisizione. Non trovo giusto che, dopo 40 anni, ci sia ancora gente che ha questo nodo alla gola e vorrebbe condannarmi al silenzio. Quando me lo chiedono racconto la mia esperienza, ciò che ho vissuto. Cerco di spiegarmi e di spiegare perché in un certo periodo nei Paesi industrialmente avanzati come il nostro, la Francia, la Germania, gli stessi Stati Uniti con le Black panters e i Weathermen, si sia radicato il fenomeno della ribellione e della lotta armata.

È noto che il guerrigliero che vince diventa un eroe, quello che perde un terrorista. Quando parlo, io non commetto reati, non faccio apologia. Si dice che solo le vittime o i loro familiari dovrebbero aver facoltà di parola: io sostengo che le vittime hanno ragione 'sempre'. Ma da un punto di vista storico, non possono avere una visione completa, la storia non è neutra. Quello che non accetto è la dittatura dei mass media perché si vogliono cancellare le nostre voci, come se fossero indecenti".

C'è anche un'altra spiegazione, sottolinea Paolo Cassetta, ex brigatista della colonna romana, che oggi lavora in una cooperativa. "Nella lotta politica chi vince ha sempre cercato di negare il diritto di parola perché questo è una specie di linea di confine. È questione complessa: il successo 'militare' non basta, per essere completo si deve raggiungere quello ideologico. Non mi stupisco che tentino di far tacere, 'noi, gli altri'.

Semmai sono sorpreso che siano solo gli ex militanti della sinistra estrema, gli ex brigatisti, a battersi contro il silenzio". Parlare, naturalmente, non significa straparlare. "Non c'è solo il diritto alla parola, inutile negare che esiste anche un rischio esibizionismo", sottolinea Paolo Persichetti, che militò a Roma quando di quella colonna ormai rimanevano soltanto ceneri; poi undici anni in Francia, dove insegnò sociologia politica all'ateneo St.Denis-Vincennes, ora è giornalista.

È un problema reale, quello che sottolinea, perché, poi, qualcuno ha creduto di esser diventato un guru solo per il fatto di esser stato un terrorista e certi abusi verbali hanno finito per mandare su tutte le furie tanta gente. Anche Giorgio Napolitano, presidente della repubblica, che raccomandò di tacere. Forse anche per questo è lecito domandarsi se esista il diritto alla parola o l'obbligo del silenzio.

 

 

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