CALIFFI DEL RATING – NEL 2011 L’ITALIA PAGÒ SENZA FIATARE 2,5 MILIARDI DI PENALE ALLA MORGAN STANLEY PER IL DOWNGRADING, NONOSTANTE LA BANCA USA FOSSE TRA GLI AZIONISTI DI STANDARD & POOR’S, CHE CI AVEVA BOCCIATO – LA VICENDA RICOSTRUITA AL PROCESSO DI TRANI

- Il Tesoro non chiese nessun parere giuridico sulla possibilità di tutelarsi e la dirigente Maria Cannata sostiene oggi che per l’Italia sarebbe stato “reputazionalmente deleterio” impugnare la clausola con Morgan Stanley… -

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Virginia Piccolillo per “Il Corriere della Sera

 

L’Italia pagò sull’unghia a Morgan Stanley 2 miliardi e mezzo di euro dopo il declassamento subito da Standard & Poor’s (S&P) il 19 settembre 2011, come previsto, in caso di downgrade, da una clausola di un contratto di finanziamento della banca d’affari statunitense. Malgrado quel declassamento fosse ritenuto dagli esperti ingiusto. Nonostante fossero già iniziate le indagini sui possibili interessi speculativi dell’agenzia di rating S&P, finite poi con un rinvio a giudizio di alcuni dirigenti, attualmente sotto processo a Trani. E a dispetto del fatto che Morgan Stanley fosse tra gli azionisti di Mc Graw Hill, gigante dell’informazione che controlla proprio Standard Poor’s.

IL PM DI TRANI MICHELE RUGGIERO IL PM DI TRANI MICHELE RUGGIERO


Le domande dei pm
È grave il quadro che emerge dalle carte aggiuntive appena depositate dal pm Michele Ruggiero relative al processo contro le agenzie di rating S&P e Fitch, che il 5 marzo riaprirà i battenti a Trani. In quel dibattimento i due colossi del rating sono accusati di aver manipolato il mercato generando il panico e alimentando speculazioni ai danni del nostro Paese. La procura di Trani, ha dato seguito all’esposto presentato in molte procure da Adusbef e Federconsumatori (dopo i declassamenti dell’ 8 e 11 luglio 2011 che causarono un tonfo in borsa e portarono il differenziale al massimo storico degli spread tra i Btp e i Bund tedeschi).

 

E, in sostanza, ora documenta questa sequenza: S&P ha bocciato l’Italia, e proprio in seguito a ciò la banca Morgan Stanley, che in parte la possiede, ha deciso unilateralmente di far valere quella clausola onerosa per il Paese declassato: il nostro. E il Ministero dell’Economia non ha ritenuto di chiedere un parere giuridico sulla possibilità di difendersi da quella clausola. O, almeno, di prendere tempo in attesa di capire la legittimità e trasparenza di quei declassamenti. Perché?

IL PM MICHELE RUGGIERO IL PM MICHELE RUGGIERO


«Era tutto chiaro»
Il capo della direzione debito pubblico del Mef, Maria Cannata, si è — come lei dice al pm il 5 maggio 2014 — «sciroppata» la questione. Spiega perchè non si chiese una consulenza finanziaria: «Non c’è bisogno. Abbiamo dirigenti di altissimo livello». Perchè non rinegoziaste, le chiede il pm? «Il mercato una cosa così non la capirebbe», replica, precisando di aver ottenuto che non tutta la somma dovuta, oltre 3 miliardi, venisse liquidata subito.

 

Perchè non consultare l’avvocatura dello Stato vista la somma importante? «Non c’erano i tempi tecnici». Avvocati esterni? «Quando una cosa è così chiara e netta lo Stato non può permettersi di dire: «Vabbé, adesso vedo se ti applico la clausola o no. Reputazionalmente sarebbe deleterio. È come se uno ricusasse un giudice».

Mario Monti Mario Monti

 

Al pm che le chiede se le risultasse la partecipazione di Morgan Stanley o altre banche controparti del tesoro in agenzie di rating la dirigente risponde: «Non credo proprio». E sul perchè non si aspettò l’esito delle indagini sulle agenzie di rating conclude: «Non c’è nemmeno una sentenza di primo grado ...».


Il teste Monti
A spiegare l’enigma del perchè si pagò a causa del downgrade che venne criticato aspramente è stato chiamato, come testimone, anche Monti. L’ex premier che secondo retroscena (all’epoca non smentito) fu duro con quella bocciatura che definì «attacco all’Europa», ha ridimensionato quel giudizio, che dice di non aver dato. «Non ero in grado allora, e non sono in grado oggi, di dire se è giudizio corretto o no. E anche se lo avessi detto allora sarebbe stato un giudizio viziato da parzialità», ha spiegato al pm. «Il rating è materia opinabile», ha aggiunto.

 

Mario Monti Mario Monti

 «Scelsi di non criticare S&P perché anche se portava a una conseguenza negativa per l’Italia, quella tripla B, le motivazioni dell’analisi mi davano molto conforto. Perchè sottolineavano come fattore positivo, il caso italiano e la politica che, al governo da due mesi, avevamo messo in atto». Monti non ricorda la questione specifica. E alla richiesta del pm di confermare se a Morgan Stanley vennero liquidati nel decreto Salva Italia i due miliardi e mezzo risponde: «Non sono in grado in questo momento di darle una risposta».


La versione di Tremonti
Indagando sull’attendibilità dei giudizi di rating il pm di Trani ha ascoltato anche l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Soffermandosi sul report diffuso da Moody’s il 6 maggio 2010, in ordine al pericolo di contagio del debito sovrano al sistema bancario italiano. Allarme che, ex ministri come Frattini e Sacconi, definirono infondato e speculativo. «Condivido le posizioni espresse da Banca d’Italia» ha detto Tremonti, alludendo a un comunicato che aveva difeso il sistema bancario. E sul tema del conflitto di interesse delle agenzie di rating ha risposto: «Il grande dibattito è noto a tutti, è molto evidente e trasparente, cosa era il rating prima, e cosa va riformato».

Sergio Iasi e Giulio Tremonti Sergio Iasi e Giulio Tremonti


La Consob non lo sa
Il pm Ruggiero ha provato a chiedere alla Consob notizie su quella sorta di conflitto di interesse della partecipazione azionaria in Standard and Poor’s di Morgan Stanley: la banca d’affari statunitense che ha patteggiato con l’amministrazione Obama una maximulta da 2,6 miliardi di dollari per la vendita di mutui ipotecari che contribuirono ad alimentare ed aggravare la crisi finanziaria esplosa nel 2008. Ma il massimo organo di vigilanza ha rinviato all’Esma (l’Autorità europea di vigilanza su titoli e mercato) che dal 1 luglio 2011 ha assunto le competenza di vigilare sulle società non italiane o con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi Ue», come la statunitense Standard and Poor’s. Ma a confermare quella partecipazione al pm è stata proprio Esma.

 

 

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