FIATO ALLE TRUMP! - DI DESTRA, DI SINISTRA, DI CENTRO? NON LO SA NEANCHE LUI, E NON GLIENE FREGA NIENTE: PER QUESTO IL BIONDO DONALD TRIONFA NEI SONDAGGI - LA STORIA DEGLI 'IMPRESENTABILI' ALLE PRIMARIE: QUALCUNO CE L'HA FATTA (REAGAN), ALTRI SONO RIMASTI DELLE MACCHIETTE

Dopo tre mesi, l'astro di Donald non si è affatto appannato, come pensavano molti: è saldamente in testa ai sondaggi e minaccia persino la Clinton (solo Biden vincerebbe contro Trump) - Chi lo insegue sul suo terreno, perde. Chi lo ignora, viene ignorato dai media. E lui gode...

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1. THE TRUMP SHOW - È IL VERO FENOMENO DELLA CAMPAGNA ELETTORALE USA. DIFFICILE IMITARLO

Federico Rampini per “la Repubblica

 

DONALD TRUMP -3 DONALD TRUMP -3

Uragano Donald. È il vero fenomeno della stagione. Semina il terrore più di un tornado tropicale. Prima ha cominciato a spaventare l’establishment repubblicano. Adesso inquieta anche il fronte opposto. Perché il magnate Donald Trump una volta dice cose di estrema destra, il giorno dopo scavalca i democratici a sinistra. L’ultima trovata: «Più tasse sui finanzieri degli hedge fund . Stangata fiscale sulle multinazionali che delocalizzano posti di lavoro all’estero». Giornalisti esperti, veterani delle campagne elettorali americane, confessano apertamente il loro smarrimento.

 

DONALD TRUMP -2 DONALD TRUMP -2

Ecco lo sfogo del Washington Post:«Tre mesi alle prese con la candidatura Trump, ed eccolo saldamente in testa tra i repubblicani. Facciamo fatica a capire com’è potuto succedere ». Più lui litiga coi giornalisti, li insulta e li offende, più loro sembrano affascinati, ipnotizzati. Nei media ormai siamo allo one-man show , Trump dilaga su tutti i canali tv, gli altri sono scomparsi.

 

TRUMP MELANIA KNAUSS TRUMP MELANIA KNAUSS

Ha perfino creato uno scisma all’interno di Fox News , la rete di Rupert Murdoch che è la tv di riferimento della destra. Al primo dibattito televisivo Trump insultò volgarmente la moderatrice Megyn Kelly, con una battutaccia che alludeva al ciclo mestruale. Ma da allora altri conduttori di Fox hanno corteggiato Trump, l’unico che fa salire i rating . La Kelly è su tutte le furie, medita di andarsene e passare alla Cnn .

 

tiger woods donald trump tiger woods donald trump

Ben più distruttivo è l’effetto Trump nel campo repubblicano. «Ha evirato Jeb Bush», è il commento truce e lapidario di Steve Schmidt, uno dei più noti strateghi elettorali della destra. Parole pesanti, ma riflettono lo spettacolo offerto dai comizi elettorali: migliaia o decine di migliaia di persone riempiono stadi agli happening di Trump, poche centinaia di spettatori distratti vanno agli eventi di Bush.

 

Lo stesso Trump ormai lo dileggia apertamente, ogni volta che i due hanno raduni in concomitanza: «Oggi parla anche Bush. E la audience sta dormendo». Altri tentano di salvarsi dall’irrilevanza inseguendo Trump sul suo stesso terreno. Come Marco Rubio, figlio di cubani, che scimmiotta la xenofobia di Trump e ne diventa un patetico imitatore. Difficile imitarlo: nessuno padroneggia la politica-spettacolo quanto l’inventore del reality-show The Apprentice . È come uomo di spettacolo che The Donald ha avuto trionfi; la sua carriera d’immobiliarista è ben più problematica, visto che ha fatto tre volte bancarotta (e non è un self-made man come vorrebbe la leggenda agiografica: ereditò già una bella fortuna dal papà, palazzinaro pure lui).

snoop dogg donald trump snoop dogg donald trump

 

Le sue ultime uscite sulle tasse lo rivelano capace di una “guerra di movimento”, con cambiamenti di fronte a gran velocità. Promettendo un fisco più egualitario e nuovi prelievi sugli straricchi, Trump sfida quello che sembrava un dogma della destra. È il famoso “giuramento anti-tasse”, inventato dall’ultra-liberista Grover Norquist e appoggiato dai think tank neoconservatori generosamente finanziati dal capitalismo più retrogrado ( Fratelli Koch): Americans for Tax Reform, American Enterprise Institute, Club for Growth.

mike tyson robin givens e donald trump mike tyson robin givens e donald trump

 

Sembrava una regola ferrea del meccanismo elettorale americano: impossibile conquistare la nomination repubblicana, per i candidati che non sottoscrivano quell’impegno solenne. Invece Trump su questo si dimostra “il più reaganiano”: il presidente Ronald Reagan, che ex post è diventato una divinità maggiore nel Pantheon della destra, non esitò ad aumentare le tasse quando fu necessario per tamponare i deficit.

 

«Stia zitto, se ne vada, e torni alla sua Univision». Quelle parole continueranno a rimbombare per tutta la campagna elettorale. È con quella frase che Trump cacciò via da una conferenza stampa il noto anchorman Jorge Ramos di Univision , la più grande tv di lingua spagnola negli Stati Uniti. Il danno maggiore che Trump sta facendo ai repubblicani, è sul terreno dell’immigrazione.

mike "the situation" sorrentino donald trump mike "the situation" sorrentino donald trump

 

«Il Messico ci manda qui i suoi stupratori e i suoi rapinatori. Io caccerò via tutti i clandestini. Costruirò un Muro impenetrabile alla frontiera, e costringerò il governo messicano a pagarne le spese». Con questo leitmotiv , Trump si è alienato l’elettorato ispanico e altre minoranze etniche. La sua promessa di deportare 11 milioni di clandestini, ancorché irrealistica, provoca indignazione fra tutti quegli immigrati che ormai sono cittadini e voteranno nel novembre 2016 per scegliere il prossimo presidente. Al tempo stesso, la xenofobia spiega gran parte del successo di Trump: lui fa il pieno tra i “bianchi arrabbiati”, in quella fascia di opinione pubblica che non digerisce la trasformazione inclusiva della società americana, la più multietnica del pianeta.

martha stewart donald trump martha stewart donald trump

 

La scommessa sulla xenofobia è sbagliata nei numeri: l’evoluzione demografica fa salire inesorabilmente il peso degli elettori “etnici”. Già nel 2008 e nel 2012 le due sconfitte di John McCain e di Mitt Romney contro Barack Obama furono dovute in gran parte al voto “arcobaleno”: ispanici, asiatici, neri. Ma il meccanismo delle primarie è diabolico: a partire dai due primi test di febbraio (Iowa e New Hampshire), lì vanno a votare soprattutto i motivati, i radicali, gli estremisti. Trump costringe tutto il partito — compreso il moderato Bush — a inseguirlo su un terreno minato.

 

katie couric vestita da donald trump katie couric vestita da donald trump

È di destra. È di sinistra. È un “estremista di centro”. Un populista. Le etichette si sprecano, Trump è il campione di tutte le contraddizioni. Favorevole al diritto di aborto, e giunto al terzo matrimonio (tutte ex-Miss: lui possiede anche il marchio del concorso di Miss Universo), non è proprio l’uomo ideale per la destra religiosa. È stato dichiaratamente democratico, ha staccato assegni per le campagne elettorali di Bill e Hillary Clinton.

 

Ma alla destra piace — oltre alla sua xenofobia — l’idea che lui ha dello Stato come azienda, di se stesso come chief executive degli Stati Uniti d’America. Ricorda qualcuno? Decine di editorialisti americani lo hanno già scritto: Silvio Berlusconi. Le differenze non sono da poco, però. I conflitti d’interesse nel caso di Trump sono minimi (un presidente Usa non ha poteri nell’edilizia che è materia dei sindaci, in questo assetto federalista). Lui non possiede tv o altri media.

hulk hogan donald trump andre the giant hulk hogan donald trump andre the giant

 

La sua ricchezza, più vicina ai 4 miliardi che ai 10 da lui proclamati, lo confina a un “modesto” 405esimo posto nella classifica Forbes dei Paperoni americani. Abbastanza ricco però da poter proclamare: “ Nessuno mi può comprare”. Questa frase è una delle chiavi del suo successo. Soprattutto a destra, dove il 77% degli elettori repubblicani dicono di volere “un candidato anti-establishment”.

 

Ma pure Hillary Clinton comincia a preoccuparsi, lei che si vede identificata pericolosamente con l’establishment, i politici di professione. Finora i guru delle campagne prevedevano che una nomination di Trump regalerebbe la vittoria a Hillary. Ma l’uomo dalla zazzera dorata ha già scompaginato tutta la saggezza convenzionale…

 

 

2. NARCISISTI, ULTRÀ E MATTI COSÌ GLI OUTSIDER DEVIANO LE PRIMARIE AMERICANE

Vittorio Zucconi per “la Repubblica

 

donald trump larry king donald trump larry king

Forse è un po’ cinico dire che «nessun dovrebbe mai votare per uno così pazzo da voler fare il Presidente degli Stati Uniti», secondo una battuta attribuita anche a Mark Twain, ma è un fatto accertato che da due secoli abbondanti schiere di documentabili svitati hanno tentato di conquistare la Casa Bianca.

 

donald trump con un pony e andy warhol donald trump con un pony e andy warhol

Anche ora, mentre un’America insieme sbigottita ed entusiasta segue la resistibile ascesa del “Donald”, di un Trump che da caricatura per la satira tv è diventato il leader nei sondaggi repubblicani, sono iscritti ufficialmente alle liste elettorali federali per il voto del novembre 2016 almeno 470 candidati. Tra i quali spicca Pogo Allen Reese, un ex stripper afroamericano che diffonde volantini di sé vestito soltanto con un cappello da cowboy e un perizoma leopardato. Il suo slogan: «Un uomo dovrebbe essere giudicato dal valore del suo carattere e non dal colore delle sue mutande».

 

donald trump con don king e barbara walters donald trump con don king e barbara walters

Pogo è entrato di diritto in un’affollatissima galleria di personaggi, uomini e donne, tentati dal colpo alla roulette del Casinò elettorale. Alcuni sono figure irrilevanti, curiosità politiche, come Earl Browder, leader del Communist Party Usa negli Anni ‘30. Sfidò Roosevelt nel 1936, ma fu molto handicappato dalla sfortunata circostanza di trovarsi in carcere.

 

donald trump nick jonas donald trump nick jonas

Altri perdenti furono molto più dignitosi, come la prima donna autocandidata alla Casa Bianca, Victoria Woodhull, giornalista, suffragetta, agente di Borsa e attivista di ogni nobile causa sociale, oltre che del diritto “al libero amore”. Una causa che nell’anno della sua campagna elettorale, 1872, non trovò grandi consensi. O Angela Davis, la profetessa del nuovo Partito Comunista americano, tenacemente partecipe a varie presidenziali sia pure con poche migliaia di voti.

 

Ma nella affollata discarica delle vanità, la storia elettorale americana ha portato sulla scena molti outsider che hanno dirottato il corso della politica. Tagliato in parte nello stesso legno di Donald Trump, il miliardario texano Ross Perot, già presidente della General Motors, riuscì, dall’altro dei suoi petulanti 160 centimetri di statura e dei suoi forzieri, a ottenere la candidatura del Partito Indipendente e a portare via abbastanza voti conservatori, anti-tasse e populista a George H. Bush nel 1992. Permise, rubando voti ai repubblicani, la vittoria del democratico Bill Clinton che senza Perot avrebbe perso.

alec baldwin is joined by donald trump melania knauss alec baldwin is joined by donald trump melania knauss

 

La dinamica delle “primarie” permette e spesso favorisce l’emersione di personaggi che godono di una seguito ridotto, ma compatto. Con percentuali di affluenza che raramente superano il 10 per cento, manipoli di attivisti che votano in blocco alle primarie possono produrre risultati che sgambettano i leader designati dai “mammasantissima” dell’establishment. Sarah Palin, la Diana Cacciatrice dell’Alaska, la “Pitbull col rossetto” come lei amava definirsi, costrinse, nel 2008 il candidato John McCain ad arruolarla per la vice presidenza, forte dei successi nelle primarie, pur sapendo che sarebbe stata una zavorra nelle elezioni generali.

 

reagan gorbaciov 1 reagan gorbaciov 1

L’estremismo è la malattia infantile di tutte le primarie che ogni quattro anni devono subire l’impatto dei populisti e dei radicali, come fu per i democratici con Howard Dean che si autodistrusse dopo una prima sconfitta con un discorso sconclusionato e leggermente demenziale. L’assioma di tutte le Presidenziali americane resta infatti, da decenni, immutabile: si parte correndo dalle ali, ma si vince occupando per primi il centro e portando via voti all’altro partito.

 

eppridge il governatore dellAlabama George Wallace vittima di una sparatoria prova a camminare con le bretelle sulle sue gambe sotto locchio vigile del suo terapeuta Gary Buck eppridge il governatore dellAlabama George Wallace vittima di una sparatoria prova a camminare con le bretelle sulle sue gambe sotto locchio vigile del suo terapeuta Gary Buck

Ma guai a chi resta, come Barry Goldwater nel 1964 demolito da Lyndon Johnson, intrappolato nel radicalismo di partenza. Fu il caso del popolarissimo governatore dell’Alabama George Wallace, democratico del Sud, dunque dichiaramente segregazionista come erano i democratici in quegli anni negli Stati della ex Confederazione, che il 15 novembre del 1963 annunciò la sfida al presidente Kennedy. Per sua tragica sfortuna, una settimana dopo il suo attacco, Kennedy fu assassinato a Dallas e la campagna anti-Jfk di Wallace assunse accenti sinistri, condannandolo alla marginalità, fino all’attentato contro di lui che, nel 1972, lo paralizzò dalla vita in giù.

 

Ma la scoperta che negli Stati, e nell’elettorato del Sud degli Usa, bolliva un profondo, e ricco giacimento di rancori razzisti e revascisti, non sarebbe sfuggita a futuri candidati alla Casa Bianca, come quel Richard Nixon, che proprio sulla “Strategia del Sud”, strappato ai democratici divenuti troppo democratici, avrebbe costruito la propria base.

 

donald trump 2 donald trump 2

Dunque, anche le avventure dei narcisisti, degli ultrà radicali, dei semplici matti che lanciano il proprio cappello nel ring della presidenziali tradiscono granelli di valutazione che poi i candidati “mainstream”, quelli più moderati, riciclano. L’odio profondo per la burocrazia politica, per la “Casta” nello slang politico italiano, per i finanzieri, per la invadente magistratura, per il sempre oscuro, ma onnipotente “complotto internazionalista” che le ali estreme agitano e che un altro famoso battitore libero, Lyndon LaRouche, ha usato per decenni contro la “cricca” dei Rockefeller, dei Kissinger, della Cia, di Wall Street, ricompare in Donald Trump, come fu ben presente nella cavalcata di Ronald Reagan.

 

DONALD TRUMP DONALD TRUMP

Proprio “Ronnie” nella sua prima avventura nel 1976 era stato licenziato come un attoruncolo venuto dalla California, dagli studios di Hollywood e dai microfoni delle radio dalle quale, prima di parlare di politica, inventava radiocronache di partite di baseball basate solo sui flash di agenzia.

 

Il Partito Repubblicano non lo prese sul serio, lo respinse nel 1976, fino a quando, nel 1980, sparecchiò le primarie e spodestò Jimmy Carter. Certamente Ronald Reagan non era il leggendario Homer Tomlinson, un ex pubblicitario che invano partecipò a cinque elezioni fino alla morte nel 1968 e non avendone mai vinta una, si era consolato visitando 101 nazioni e facendosi incoronare re dagli amici, con tanto di corona, scettro ed ermellino.

 

sosia di donald trump sosia di donald trump

Ma la storia della democrazia americana ammonisce a non sottovalutare mai coloro che brutalmente e sommariamente si tende a definire “ matti”, soprattutto nei momenti di incertezza, di confusione, di sfiducia nella politica politicante. La roulette bianca attira molti e nessuno conosce in anticipo il numero che uscirà. Avvertiva Pt Barnum, l’uomo del Circo e del Museo dell’Incredibile: «Nessuno è mai andato fallito, puntando sulla credulità del pubblico».

 

sosia di donald trump 8 sosia di donald trump 8

 

 

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