1. “IL FOGLIO” : QUALE MAFIA CAPITALE, DOTTORE PIGNATONE, QUI È TUTTA UNA FESTA A METÀ TRA LA SAGRA RIONALE E UNA SERATA SU SKY ATLANTIC DI “ROMANZO CRIMINALE” 2. ‘’NESSUNO, NEPPURE I PM, SEMBRA DISTINGUERE IL CONFINE TRA REALTÀ E INVENZIONE LETTERARIA, DELINQUENZA E PARODIA, DENUNCIA E INTRATTENIMENTO. LA BANDA DELLA MAGLIANA ERA UNA LARVA IN BIANCO E NERO FINTANTOCHÉ NON L’HANNO RIANIMATA I COLORI E GLI EROI DEL PM-SCRITTORE DE CATALDO E DEL REGISTA SOLLIMA. ALTRO CHE NERO, ALTRO CHE BANDA, ALTRO CHE MAFIE: ORA COMANDA LA TIVÙ SATELLITARE, LA MODA DELLE SERIE’’ 3. SALVATORE LUPO, IL PIÙ ILLUSTRE STORICO DELLA MAFIA: “QUELLA DI ROMA NON È MAFIA. E NON È NEMMENO LA BANDA DELLA MAGLIANA. PUÒ ESSERE FORSE UN SISTEMA MAFIOSO CHE STA PER SBOCCIARE. NON TUTTE LE ORGANIZZAZIONI A DELINQUERE SONO MAFIOSE”

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1. QUANDO LA BANDA PASSÒ

Alessandro Giuli per "il Foglio"

 

BUZZI CARMINATI BUZZI CARMINATI

E quanto vi piace questo romanzo criminale stracittadino, e quanti fremiti d’eccitazione per questa Banda della Magliana che non esiste (mai dimostrato allora il reato associativo, figuriamoci oggi) ma si porta così tanto, con quelle sue screziature fasciocomuniste e catacombali, quelle sue trasversalità galeotte all’ombra del Campidoglio, quelle sopravvivenze lessicali malandrine, i ferri, le batterie, le stecche, la gente da sdraiare, i pochi (ma buttali via) quattrini da svoltare mungendo la politica, contrabbandati al telefono come ricchezze favolose, robe vintage che riempiono i giornali e le nostre giornate altrimenti meste.

MASSIMO CARMINATI NEGLI ANNI OTTANTA MASSIMO CARMINATI NEGLI ANNI OTTANTA

 

Come nella canzone di Mina, “una tristezza così non la sentivo da mai, ma poi la banda arrivò e allora tutto passò”. Quale mafia, dottore Pignatone, qui è tutta una festa a metà tra la sagra rionale e una serata su Sky Atlantic. Da Roma nord a Testaccio, da Ponte Milvio a Ponte Sisto, i pischelli si dicono “stecca para per tutti” quando dividono il resto di un cappuccino, si fanno crescere i baffi come il commissario Scialoja o i guardaspalle del Libanese e del Dandi, recuperando inavvertitamente stilemi e tic a cavallo tra la fine dei Settanta e i primi Ottanta del secolo scorso.

 

Dentro ci sono tutti: guardie, ladri, innocenti e reduci perfino: i banditi originali che di recente avevano preso a riunirsi nel bar “Da Franco” di Pietralata, dove hanno ambientato la nota fiction. Nessuno, neppure i pm, sembra distinguere il confine tra realtà e invenzione letteraria, delinquenza e parodia, denuncia e intrattenimento. La Banda della Magliana era una larva in bianco e nero fintantoché non l’hanno rianimata i colori e gli eroi del pm-scrittore De Cataldo e del regista Sollima.

ARRESTO CARMINATI ARRESTO CARMINATI

 

Qualcosa di simile – lo accennammo l’estate scorsa – era successo poco più di vent’anni fa, quando arrivò in Italia il film “Point break” con Keanu Reeves e Patrick Swayze, che raccontava di quattro surfisti impegnati a rapinare le banche della contea di Los Angeles indossando maschere di Reagan, Lyndon Johnson, Nixon e Carter. Di punto in bianco i settori più “sensibili”, diciamo, dello stadio e delle palestre nere furono agganciati dal vecchio dèmone dei maestri cattivi, quelli della politica gruppettara che si autofinanziava in banca: nacque la Banda del taglierino e svuotò parecchi caveau, prima che, via via che arrestavano i rapinatori, anche gli sbirri cominciassero a svuotare interi spicchi delle curve romane.

 

SALVATORE BUZZI SALVATORE BUZZI

Ma di mezzo non c’era più la rivoluzione, garriva invece la bandiera dell’edonismo americano. Sicché andavi a trovare l’amico ai domiciliari e al posto di Codreanu trovavi sui muri le sue foto col surf a Ladispoli attaccate accanto al poster con le onde australiane di Bells Beach. Altro che Nero, altro che Banda, altro che mafie: potenza del cinematografo.

 

Erano gli stessi anni in cui, per un malinteso senso di rispetto verso la mala delle generazioni precedenti, nelle ultime catacombe politiche era ancora vietato parlare al telefono di “batterie cariche” a proposito di scooter o automobili: “Come minimo pensano che hai le armi pronte per un colpo, finisci bevuto in un attimo”.

 

Allora suonava ridicolo, chi ci pensava più alle gesta dei testaccini di Renatino, anche se De Pedis l’avevano appena “parcheggiato” in via del Pellegrino. Ora comanda la tivù satellitare, la moda delle serie, una seconda onda anomala insomma. Ed ecco che, di nuovo, “la banda suona per noi, la banda suona per voi”. Se solo esistesse, la Banda.

 

2. BEL COLPO PIGNATONE, MA QUESTA DI ROMA PROPRIO MAFIA NON È

SALVATORE BUZZI SALVATORE BUZZI

Salvatore Merlo per "il Foglio"

 

Non ci sono i rituali né gli omicidi, nessun cadavere infilato nel cemento armato, non c’è la “famiglia” e non c’è la “commissione”, non esiste la struttura militare dei “soldati” e dei “capidecina”, non c’è il radicamento e il controllo del territorio, non c’è quell’uso “bestiale”, “sistematico” ed “estensivo” della violenza armata.

 

E insomma Salvatore Lupo, cioè il più illustre storico della mafia, professore all’Università di Palermo, autore per Donzelli di “Storia della mafia” cioè uno dei più famosi e tradotti saggi sul fenomeno criminale siciliano, lo dice con la schiettezza delle cose ovvie, con la voce piana con la quale ci si consegna a una tautologia: “Naturalmente, come tutti sanno, la mafia, nella sua qualità di fenomeno storico, antropologico e sociale, non c’entra niente con l’organizzazione criminale romana di cui tanto si parla in questi giorni”.

 

banda della magliana banda della magliana

E il professore non intende abbandonarsi a una discettazione di carattere nominalistico, né tantomeno intende minimizzare, o negare. “A Roma è stata illuminata una pericolosa organizzazione che aveva legami criminali con la politica”, dice. “E se viene smantellata una banda di criminali a me fa piacere, e non dico che i magistrati sbagliano. E infatti penso che l’aver attribuito a questa organizzazione criminale la qualità di organizzazione mafiosa abbia messo a disposizione della procura degli strumenti d’indagine e di repressione molto efficaci, straordinari. Gli strumenti speciali che la legge prevede per il contrasto alla mafia. E questo non è di per sé un male, ovviamente”.

 

PATRICK SWAYZE E KEANU REEVES PATRICK SWAYZE E KEANU REEVES

E insomma, se c’è “una patologia criminale”, dice il professor Lupo, tutti noi cittadini siamo contenti che venga curata. “Tuttavia”, aggiunge, “per me quella di Roma non è mafia. E non è nemmeno la banda della Magliana, che aveva delle caratteristiche precise. Può essere forse una mafia in potenza, un sistema mafioso che sta per sbocciare, o può anche essere tutt’altro. Non tutte le organizzazioni a delinquere sono mafiose”.

 

Ma allora la mafia com’è fatta? Quali sono le caratteristiche che distinguono la mafia da una qualsiasi altra associazione a delinquere? E in cosa l’organizzazione comandata da Massimo Carminati differisce dalla mafia? “La mafia è organizzata in gruppi strutturati che si autoperpetuano”, dice il professore.

 

“Il comando si eredita come una corona, ci sono legami di sangue, precise iconografie rituali. E poi c’è la violenza, una violenza esercitata su larghissima scala, come purtroppo ben sappiamo tutti noi italiani”. Eppure Carminati la violenza la esercitava. Nelle carte dei magistrati risultano infatti intimidazioni, minacce, estorsioni… “Certo che esercitavano la violenza”, risponde Lupo. “Ma qualsiasi banda di usurai che ricorre alla violenza è mafia?

DE PEDIS DE PEDIS

 

Forse per la legge sì. Non so. Per me la mafia è un sistema criminale che controlla militarmente un preciso territorio, e lì esercita il monopolio di tutta una serie di attività come lo spaccio di droga o il traffico di armi. Si insedia e si riproduce. In altri casi la mafia è un sistema organizzato che esercita le sue attività su vastissima scala, anche internazionale. Esistono enormi ‘gang’ di tipo planetario capaci di impiegare una violenza militare con rapidità esplosiva, persino letteralmente esplosiva”.

 

E tutto questo la banda di Carminati non lo era. Ma qui il professore sorride, abbassa la voce d’un semitono. “Ovviamente di tutto ciò che penso io il procuratore di Roma, il dottor Pignatone, se ne può impipare. E fa pure bene a impiparsene. Perché se è vero che la mafia dal mio punto di vista c’entra poco o niente con questa storia, rimane pure vero che il concetto di mafia è anche definito dal diritto. E presto saranno dei magistrati giudicanti, a verificare se davvero questo fenomeno di Roma è equiparabile a ciò che la legge definisce come mafia. Lo vedremo presto”.

Renatino de Pedis Renatino de Pedis

 

Allora, se non è mafia, chiedo a Salvatore Lupo cos’è il gruppo di Carminati e la sua associazione criminale con Salvatore Buzzi e le cooperative sociali. E lui risponde così: “La storia di Roma ha evidentemente qualche affinità con il fenomeno mafioso. Ma a me ricorda più altri generi di organizzazioni a delinquere. Nel 1800, a New York, c’era Tammany Hall, per esempio. Era una organizzazione elettorale del Partito democratico, e come tutti sapevano proteggeva però elementi criminali. Un’organizzazione che corrompeva, intimidiva con l’uso delle maniere forti, esercitava un certo controllo anche sulla politica e l’amministrazione pubblica. Eppure neanche quella di Tammany Hall era mafia.

 

Nessuno lo ha mai sostenuto. Difatti oggi siamo tutti un po’ spiazzati dall’applicazione del modello mafioso a tutt’altre fattispecie criminali come succede adesso per questa faccenda della banda romana”. E qui il professore acquista un accento entomologico. “A me ha colpito particolarmente quella frase sul ‘mondo di sopra, il mondo di sotto e il mondo di mezzo’. Gli americani usano l’espressione ‘underworld’ per descrivere la criminalità”, dice. “Ecco, quello di Carminati, in quell’intercettazione, non è un linguaggio propriamente mafioso.

SALVATORE LUPO SALVATORE LUPO

 

Ma forse è un codice da ‘mafizzatore’, se posso dire così. Cioè il suo è quasi un linguaggio da creatore di mafia. E’ come se Carminati stesse teorizzando, e lentamente costruendo, un sistema, una start-up mafiosa, perché la sua banda non aveva ancora quella potenza. E insomma come se lui fosse impegnato a costruire un sistema che pure si avvicina, per analogia e allitterazioni, al sistema mafioso pur non essendolo.

 

Dunque io posso dire che quella banda certamente non è un’organizzazione mafiosa, ma non possono escludere che quel sistema, con quelle caratteristiche, se lasciato lì a fermentare e proliferare, non si sarebbe anche potuto trasformare persino tecnicamente in mafia”, e di conseguenza aggredire tutto quel mondo cospicuo di appalti, opere pubbliche, edilizia e urbanistica, insomma quei grandi affari tipicamente mafiosi cui Carminati & soci non si sono mai nemmeno accostati.  

 

Salvatore Lupo Salvatore Lupo

 

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