E GUARDO LA CAPITALE DA UN METRÒ: RITARDI, ERRORI E COSTI LIEVITATI DI 700 MILIONI: IL GRAN PASTICCIO DEL METRÒ PIÙ CARO (E LENTO) DEL MONDO - NEL RAPPORTO DI CANTONE NON SI SALVA NESSUNO: NON IL COMUNE, NÈ MARINO, NÈ IL CONSORZIO DI COSTRUTTORI CHE LAVORA ALL’OPERA DA 7 ANNI

Nel mirino del rapporto di Cantone sulla metro C di Roma è finito anche Marino per un accordo con cui è stata riconosciuta al consorzio una somma aggiuntiva di 90 mln ma il riconoscimento che suscita qualche “perplessità”: scommettiamo che queste 38 pagine finiranno sul tavolo della Procura?...

Condividi questo articolo


Sergio Rizzo per il “Corriere della Sera

 

ignazio marino ignazio marino

Non si salva nessuno. Non si salva il Comune di Roma. Né la sua società, Roma Metropolitane, alla quale era stato affidato il compito di gestire quello che poi si è rivelato l’enorme pasticcio della nuova linea C della metropolitana. Ma non si salva neppure il consorzio di costruttori che sta materialmente lavorando all’opera ormai da 7 anni fra un delirio di 45 varianti e di carte bollate. Il rapporto dell’Autorità anticorruzione presieduta dal magistrato Raffaele Cantone è un florilegio di inefficienze, errori e negligenze: nella migliore delle ipotesi. 
 

Trentotto pagine ustionanti, per spiegare come sia stato possibile per la Capitale, per giunta in un Paese nel quale non ci sono mai i soldi per le infrastrutture, conquistare il record del metrò più caro (e forse più lento) del mondo. I soldi, appunto. La metro C doveva costare 3 miliardi 47 milioni? Siamo arrivati già a 3 miliardi 739 milioni. Ovvero, 692 milioni in più del prezzo di aggiudicazione dell’appalto. E senza che sia stata ancora messa mano al tratto che attraversa il cuore antico di Roma. 

 

raffaele cantone raffaele cantone

Veniamo poi ai tempi. L’intera linea sarebbe dovuta entrare in esercizio a metà del 2015. Campa cavallo... Ancora non siamo in grado di dire quando verrà costruito il pezzo più delicato, quello che dal Colosseo dovrebbe portare gli ipotetici passeggeri a piazza Venezia e poi via, sotto Corso Vittorio Emanuele, verso San Pietro. E nessuno sa non soltanto «quando», ma nemmeno «se» verrà mai realizzato. Senza quel tratto, oppure con quel tratto ma senza le fermate previste, la metro C non servirà a nulla. 
 

Da qui bisogna partire. L’Autorità anticorruzione rimprovera innanzitutto al Comune «la carenza di adeguate indagini per assicurare la fattibilità dell’intervento nel rispetto dei tempi e dei costi preventivati». Senza risparmiare all’amministrazione comunale, che per seguire l’operazione si avvale di una società con 189 dipendenti, giudizi al vetriolo.

Premio Guido Carli Francesco Gaetano Caltagirone con la fidanzata Malvina Premio Guido Carli Francesco Gaetano Caltagirone con la fidanzata Malvina

 

Come quando sostiene che non si sarebbe tenuto conto di certo pareri della Soprintendenza già sulle tratte più periferiche: «La stazione appaltante si è avventurata nell’appalto dell’opera rinviando, è da ritenersi in modo consapevole, la risoluzione della questione archeologica a una fase successiva». E pur ricordando che la Soprintendenza aveva avvertito che non si sarebbe dovuto tener conto dei tempi e dei costi (!), la circostanza sarebbe comunque assai singolare. 
 

Ma anche il consorzio di imprese, composto da Astaldi, dalla Vianini del gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone, dalla Ccc della Lega coop e dall’Ansaldo della holding pubblica Finmeccanica, ha secondo Cantone pesanti responsabilità. Il rapporto, innescato dalle denunce e dagli esposti presentati dall’ingegnere Antonio Tamburrino e dal consigliere comunale radicale Riccardo Magi, sottolinea che il General contractor aveva per accordi contrattuali il compito della progettazione, della direzione dei lavori nonché dell’esecuzione degli scavi e delle indagini archeologiche. 
 

Daniele Morgante Daniele Morgante

E le cose non sono andate affatto per il verso giusto, come testimoniano le 45 (quarantacinque) varianti: 33 delle quali, ha accertato l’authority, hanno dato un contributo alla lievitazione dei costi pari a quasi 316 milioni di euro. Per non parlare del contenzioso, letteralmente spaventoso, che ha avuto un culmine surreale nel confronto a colpi di decreti ingiuntivi fra l’amministrazione comunale e Roma metropolitane, società controllata al 100 per cento dal Comune. 
 

Il rapporto di Cantone spiega come le richieste di risarcimento più consistenti presentate dal consorzio Metro C si riferiscono «allo slittamento delle tempistiche contrattuali di esecuzione delle prestazioni dovuto a eventi non imputabili al General contractor». Intoppi di che genere? Ritardi nell’approvazione dei progetti, problemi di natura archeologica e nella disponibilità delle aree, mancata concessione di deroghe: prevalentemente ordinaria burocrazia, insomma.

 

Eppure, afferma il rapporto, proprio il meccanismo del General contractor previsto dalla legge obiettivo del 2001, in base alla quale è stata messa in cantiere anche quest’opera, dovrebbe garantire «minori criticità sotto tale aspetto, stante la più ampia libertà e responsabilità organizzativa posta in capo al soggetto affidatario». 
 

WALTER VELTRONI GIANNI ALEMANNO WALTER VELTRONI GIANNI ALEMANNO

Pensata nel 1990, ripensata dieci anni dopo, la metro C è partita quando sindaco di Roma era Walter Veltroni, è poi proseguita con Gianni Alemanno, e la rogna è adesso di Ignazio Marino. Una rogna tale che il rapporto non risparmia neppure la sua amministrazione. Nel mirino di Cantone è finito un accordo stipulato il 9 settembre del 2013 con il quale è stata riconosciuta al consorzio una somma aggiuntiva di 90 milioni per le «funzioni di contraente generale». Riconoscimento, afferma la relazione, che «suscita qualche perplessità».

 

Perplessità che erano state sollevate anche dall’ex assessore comunale al bilancio Daniela Morgante, che poi ha lasciato l’incarico. La ragione? Semplice, afferma l’authority: le funzioni di contraente generale erano già previste negli atti di gara.  Queste trentotto pagine, possiamo scommetterci, finiranno sul tavolo della Procura. 

 

 

Condividi questo articolo

ultimi Dagoreport

DAGOREPORT – JOE BIDEN VUOLE CHE GIORGIA MELONI METTA ALL’ORDINE DEL GIORNO DEL G7 L’USO DEI BENI RUSSI CONGELATI. PER CONVINCERE LA DUCETTA HA SPEDITO A ROMA LA SUA FEDELISSIMA, GINA RAIMONDO, SEGRETARIO AL COMMERCIO – GLI AMERICANI PRETENDONO DALL’EUROPA UN'ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ DOPO TUTTI I MILIARDI CHE WASHINGTON HA POMPATO A ZELENSKY. MA METTERE MANO AI BENI RUSSI È UN ENORME RISCHIO PER L’UNIONE EUROPEA: POTREBBE SPINGERE ALTRI PAESI (CINA E INDIA SU TUTTI) A RIPENSARE AI LORO INVESTIMENTI NEL VECCHIO CONTINENTE…