INFARTI DA “TRATTATIVA” - LABOCCETTA (ANCORA LUI!) TIRA FUORI UNA LETTERA SCRITTA DAL PM FIORENTINO GABRIELE CHELAZZI PRIMA DI MORIRE - CHELAZZI INDAGAVA SUL “CEDIMENTO DELLO STATO” DI FRONTE ALLE STRAGI DI MAFIA DEL ’92-’93 - AVEVA NEL MIRINO CIAMPI E SCALFARO - IL PM ACCUSAVA I COLLEGHI CO-ASSEGNATARI DELL’INCHIESTA DI “USARE IL LORO RUOLO SOLO PER SBIRCIARE A PIACIMENTO NEGLI ATTI”…

Pierangelo Maurizio per "Libero"

Questo articolo riguarda un galantuomo e un magistrato di prim'ordine, il pm fiorentino Gabriele Chelazzi. Fu il primo a ricostruire i retroscena delle bombe della mafia del '92-93: da solo e contro tutti aveva individuato le responsabilità del cedimento dello Stato con il governo di centrosinistra guidato da Ciampi, le bugie di Conso intorno al tentativo di demolire il 41 bis, il carcere duro per i boss, le manovre di Scalfaro per cacciare da direttore delle carceri Nicolò Amato.

Tutto dieci anni fa. Prima di morire nella notte tra il 16 e il 17 aprile del 2003 - stroncato da un infarto, a 59 anni, nella stanza di una caserma della Finanza dove dormiva quand'era a Roma - scrisse una lettera. Due pagine di denuncia per la solitudine e per gli ostacoli che gli avevano frapposto i suoi colleghi, indirizzata all'allora procuratore di Firenze Nannucci. Dopo la sua morte, l'indagine è stata "dimenticata", anestetizzata, sepolta. Così come la lettera-testamento è stata insabbiata per nove anni e sei mesi.

Amedeo Laboccetta, deputato del Pdl e membro dell'Antimafia, l'ha ritrovata. Tra le carte della commissione guidata da Pisanu. «Come Le ho segnalato anche in passato -scrive Chelazzi - , e anche per iscritto, è con estremo disagio (per non adoprare un termine meno eufemistico) che da circa due anni mi trovo a lavorare da solo su una vicenda che, come nessuno può dimenticare, ha a che fare con "qualcosa" come sette fatti di strage compiuti dalla più pericolosa organizzazione criminale europea ...».

Dell'esistenza di questa lettera ne ha parlato Libero il 28 luglio scorso, dopo aver raccolto la testimonianza di Pier Luigi Vigna, all'epoca procuratore nazionale antimafia scomparso recentemente, amico di Gabriele Chelazzi. Vigna lo aveva "applicato" alle indagini sulle stragi di Cosa Nostra a Milano, Firenze, Roma e ne aveva raccolto lo sfogo. «Qualche settimana fa, dopo aver letto l'articolo, ho scritto all'attuale procuratore di Firenze, Giuseppe Quattrocchi. E lui mi ha cortesemente risposto che la lettera è già agli atti (ndr, dal 2004) della Commissione parlamentare» dichiara Amedeo Laboccetta: «Con qualche difficoltà l'ho trovata ma ho scoperto che è secretata. Una lettera disarmante ».

E chiama in causa il presidente dell'Antimafia: «Pisanu non può tenerla segreta. Ritengo che tutti gli italiani devono conoscerla e devono conoscere l'importante lavoro fatto da un grande magistrato ». Chelazzi il 15 aprile 2003 aveva appreso in modo del tutto irrituale dal suo più fidato collaboratore, l'ispettore Benelli, che il procuratore Nannucci voleva convocare una riunione con gli altri magistrati per valutare il suo lavoro: l'ultimo atto di delegittimazione.

Una cosa che «lo irritò molto», secondo la testimonianza di Benelli. La lettera gronda dolore e amarezza. Chelazzi rievoca la solitudine, i «processi» cui era sottoposto dai colleghi, il retro pensiero che vi scorgeva secondo cui le sue indagini su una delle pagine più oscure erano dettate da un suo «capriccioso accanimento» o, peggio, "dalle ambizioni di terzi" (cioè di Vigna). Ma la parte peggiore è riservata agli altri magistrati co-assegnatari del fascicolo sulle stragi di mafia.

Oltre alla totale inerzia, Chelazzi li accusa di usare il loro ruolo solo per «sbirciare a piacimento negli atti». Per controllarlo, insomma, e controllare dove andassero a parare le sue indagini che chiamava in causa i più alti vertici istituzionali, il nuovo assetto politico orientato a sinistra, nella trattativa con la Cupola. Salva solo il procuratore aggiunto Fleury, al quale riconosce «la disponibilità e la consapevolezza della delicatezza del lavoro...».

«Io credo - dice Amedeo Labocetta - che quest'uomo sia morto per il dolore, abbandonato dal suo capo e dai suoi colleghi, dalle istituzioni, dalla politica. Aveva capito la verità prima di tutti». Chelazzi è assolutamente consapevole dell'isolamento e dei rischi: «Sempre eufemisticamente, non credo che sia mai accaduto che un magistrato sia stato "costretto"a lavorare da solo (con tutti i rischi del caso, da quello di sbagliare a quello di esporre "la pelle" a eventualità non proprio gratificanti) su una vicenda di questa portata». Come Falcone, come Borsellino.

 

GABRIELE CHELAZZI gabriele chelazzi jpegOSCAR LUIGI SCALFARO E CARLO AZEGLIO CIAMPI CARLO AZEGLIO CIAMPI - copyright PizziStrage CapaciFALCONE E BORSELLINOLABOCCETTA jpeg

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