IVA E POI DERIVA - CON L’AUMENTO DELL’IVA, DAL 5 ALL’8%, IL GIAPPONE È PRECIPITATO IN RECESSIONE, NONOSTANTE GLI STIMOLI FISCALI E MONETARI - SHINZO ABE DOVREBBE BLOCCARE IL SECONDO AUMENTO PREVISTO E I SUOI ERRORI RICADRANNO SULL’EUROPA

Dall’insediamento di Abe nel 2012 alla disgraziata decisione di aprile, l’economia di Tokyo era salita per sei trimestri di fila. Ma alla prima curva la locomotiva nipponica, pur drogata dalla svalutazione dello yen (-30% sul dollaro da quando è salito al potere Abe) è uscita - Il Giappone dovrebbe tornare al voto a dicembre…

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Ugo Bertone per "Libero Quotidiano"

 

SHINZO E AKIE ABE SHINZO E AKIE ABE

«Prima vendevo bene agli impiegati degli uffici. Ma adesso, con tutte queste tasse, chi ha i soldi per un mazzo di fiori?». Se il premier giapponese Shinzo Abe avesse dato retta allo sfogo di Hiroyuki Hara, fioraio di Tokyo intervistato una settimana fa dal New York Times, probabilmente non si sarebbe stupito troppo di fronte ai dati, catastrofici, sulla mancata crescita giapponese. Nel terzo trimestre, la terza economia del pianeta è arretrata dell’1,6%, smentendo le previsioni degli economisti che scommettevano su un rialzo superiore al 2%.

 

Al contrario, Tokyo è scivolata in recessione, nonostante i forti stimoli fiscali e monetari: l’effetto dell’aumento dell’Iva, salita ad aprile dal 5 all’8%, ha annientato la ripresa che pure prometteva bene: dall’insediamento di Abe nel 2012 alla disgraziata decisione di aprile, l’economia di Tokyo era salita per sei trimestri di fila. Ma alla prima curva la locomotiva nipponica, pur drogata dalla svalutazione dello yen (-30% sul dollaro da quando è salito al potere Abe) è uscita.

SHINZO E AKIE ABE SHINZO E AKIE ABE

 

Ora di sicuro il premier Shinzo Abe rinuncerà al secondo aumento dell’Iva, che sarebbe dovuto scattare nell’ottobre prossimo. I giornali giapponesi, poi, danno per scontato che oggi lo stesso Abe annuncerà nuove elezioni per il prossimo 14 dicembre. Nonostante il premier possa contare su una solida maggioranza parlamentare, il primo ministro vuole chiedere di nuovo la fiducia agli elettori, prima di adottare nuove o vecchie misure.

 

Mario Draghi a Napoli Mario Draghi a Napoli

Ma il fiasco di Abe avrà affetti anche sull’Europa che, finora, ha adottato politiche diverse, se non opposte. I "falchi", a partire dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann, non sono di certo dispiaciuti di fronte all’infortunio di Abe e del presidente della Bank of Japan Haruhiko Kuroda. Eppure, a trarre il maggior profitto dai fatti di Tokyo, è stato ieri Mario Draghi, in versione colomba, che ha ribadito, per la prima volta in forma ufficiale davanti al Parlamento europeo, che la Bce è pronta ad acquistare, se necessario, titoli di Stato. Una mossa applaudita dai mercati.

 

YANET YELLEN cover YANET YELLEN cover

Questa reazione può essere spiegata in più modi. Primo, la caduta del Giappone in recessione aggrava la situazione internazionale, già complicata: la Russia, sotto il peso dell’embargo e la frana del greggio, si sta avvitando su sé stessa; anche la Cina, così come la maggior parte degli Emergenti non brilla. A questo punto è evidente che l’export da solo non potrà aiutare più di tanto la ripresa europea.

 

Perciò, con buona pace dei falchi, l’Europa dovrà provvedere a ravvivare l’economia con iniezioni di quattrini (vedi acquisti di titoli di Stato secondo i meccanismi del Quantitative Easing). Basterà? Sicuramente no, se vale la lezione del signor Hara, fioraio a Tokyo. Il difetto dell’Abenomics consiste nel fatto che i quattrini immessi nell’economia (tantissimi, il 16% del pil di qui a fine 2015) sono serviti a rilanciare la Borsa e a stimolare l’export di Toyota e degli altri Big.

 

Jens Weidmann Jens Weidmann

Purtroppo, però, le grandi aziende che scoppiano di liquidità non hanno per ora aumentato gli investimenti in patria o aumentato i salari dei dipendenti, come continua a chiedere il governo. E così, per ora, a trarre vantaggio dalla politica di Abe, che ha anche promesso il taglio delle tasse sui profitti, sono state le banche e le grandi imprese.

 

La popolazione, al contrario, ha subito il contraccolpo dell’aumento, pur modesto, dei prezzi senza contropartite sulla busta paga. Non stupisce, in questa cornice, che ne abbiano risentito i consumi. Oltre al bilancio pubblico che rischia di esser sommerso dal debito, pari al 240% circa sul pil (il doppio dell’Italia). Insomma, a determinare il tonfo non è stato l’abuso di stimoli, semmai il rialzo troppo precoce delle tasse.

 

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