LA RENZI DI DESTRA SI CHIAMA ANNAGRAZIA CALABRIA: MA LEI NON ROTTAMA, È UNA ALFANIANA DOC - E A ROMA FARÀ UNA MINI-LEOPOLDA

Marco Damilano per "l'Espresso"

Se, come sembra, alla fine deciderà di partecipare, sarà per lui l'ultimo bagno di folla da senatore. L'occasione, l'opportunità di mostrare che è ancora vivo, lui e il suo partito, sulle macerie del Pdl e quando il sogno italiano si è ormai trasformato in un incubo, per lui e per gli italiani. Era il 23 novembre 1993 quando il monopolista della tv commerciale scelse la location a lui più congeniale, l'inaugurazione di un supermercato a Casalecchio di Reno vicino a Bologna, per annunciare il suo ingresso in politica:

«Se fossi a Roma per il Campidoglio voterei Gianfranco Fini», rivelò Silvio Berlusconi, in quel momento 57enne in apparenza digiuno di strategie elettorali. E spiegò così la scelta dell'allora segretario del Msi post-fascista come suo candidato: «Se l'area moderata non si aggrega, il destino di questo Paese sarà di essere governato da un 40 per cento che non rappresenta il nuovo né come idee né come uomini. Se i moderati non si uniranno sarò costretto a impegnarmi in prima persona». E fu l'atto di nascita del centrodestra italiano.

Esattamente venti anni dopo, potenza delle date, il prossimo 23 novembre, a soli quattro giorni dal voto dell'aula di Palazzo Madama sulla sua decadenza da senatore, forse da una possibile crisi di governo, con il centrodestra che cade a pezzi, si sta preparando una strana assemblea, all'insaputa delle correnti. Né i falchi né le colombe controllano l'organizzazione dell'evento.

Una giornata in un Palasport affollato, senza politici sul palco, senza bandiere, come l'enigmatico manifesto che da qualche settimana riempie i muri di Roma con la scritta "Noi" in giallo su fondo blu, senza simbolo di partito (tra i fedeli al Pdl e i nostalgici di Forza Italia, in questo momento il simbolo non c'è), con i social network protagonisti, un mix di cognomi eccellenti e di outsider, gli under 35 unici titolati a prendere la parola, ricercatori, progettatori di start-up, cervelli in fuga, cresciuti quando Berlusconi era già al potere da un pezzo. Una platea mai vista nei raduni del berlusconismo, tutta cieli azzurri, nuvolette e culto dell'infallibilità del Capo. La Leopolda del centrodestra.

A organizzarla, al riparo da falchi, colombe, pitonesse e altri animali, è la deputata romana Annagrazia Calabria. L'opposto della rottamatrice, in realtà. Una che nel campo avverso a Matteo Renzi preferisce Massimo D'Alema, con una singolare attrazione per la politica all'antica, fatica e organizzazione, riunioni e commissioni. Amica di Angelino Alfano e fedelissima di Silvio, di casa a Palazzo Grazioli anche se ad Arcore è stata per la prima volta solo pochi giorni fa, «una moderata di centrodestra e berlusconiana», si definisce, sarebbe una banalità, ma nell'attuale Pdl è diventato un ossimoro impronunciabile.

Alla seconda legislatura, ma ancora giovane, nata a New York 31 anni fa. Con un cognome che pesa, il nonno fu presidente di Mediobanca tra il 1979 e il 1985, quando a dominare era Enrico Cuccia, e poi direttore generale dell'Iri, il papà direttore finanziario di Finmeccanica, era avviata a una carriera professionale nello studio Allen & Overy, se non ci fosse stato il vizio della militanza politica, in un partito senza militanti, per di più, Forza Italia.

«Sono qui dall'inizio, dal 1994, quando avevo 12 anni», si emoziona Annagrazia di biancovestita il 27 marzo 2009, tocca a lei il discorso di apertura del primo congresso del Pdl, è la madrina voluta dal Cavaliere, perfetta testimonial della new generation berlusconiana, una scelta che fa imbestialire Giorgia Meloni e i ragazzi ex An, per loro è solo una pariolina miracolata.

In quel momento la Calabria è la più giovane deputata della storia repubblicana, «hai battuto il mio record», le dice Giorgio Napolitano, sembra destinata a volare nel Pdl, il partito che nei piani del fondatore di Arcore dovrebbe durare decenni, conquistare la maggioranza assoluta degli italiani, come la Dc. Invece lo squadrone di B. si squaglia, tra scandali e malgoverno. E Annagrazia sceglie una strada diversa. Nel partito delle igieniste nelle liste bloccate, in una corte femminile dove si sgomita per apparire, lei si defila dai riflettori. Una strana berlusconiana che predilige la discrezione al clamore e alla visibilità.

Zero talk show, niente tv o quasi, una sfilza di rifiuti per chi la invita, poche interviste e pensose lettere ai giornali sulle giovani generazioni. Meglio l'oscuro lavoro di base alla guida di Giovane Italia, il movimento dei giovani del Pdl, manifestazioni e seminari. «Sono giovane, devo imparare», ripete. Mica facile l'apprendistato nel Pdl, i maestri scarseggiano, la scuola della politica è fatta di veleni, colpi bassi, tradimenti, dossier, fango nel ventilatore, come la manina che distribuisce la foto della Calabria alla festa in costume dell'amico Carlo De Romanis, consigliere regionale del Lazio.

Complicato restare fuori dalle cordate in cui si dilaniano i fratricidi discendenti politici di Berlusconi. Da un lato i moderati, i governativi che circondano Alfano, in testa i ministri Gaetano Quagliariello e Beatrice Lorenzin, i «diversamente berlusconiani», dall'altro i lealisti di Raffaele Fitto, Mara Carfagna, Mariastella Gelmini. E i falchi: Denis Verdini e Daniela Santanchè.
Ogni giorno si aggiungono da un fronte all'altro siluri e sospetti.

L'ultimo recita: spostare il voto del Senato sulla decadenza di Berlusconi al 27 novembre è stato un capolavoro del capogruppo Renato Schifani che fa ormai il doppio gioco, rassicura il Cavaliere furente, ma al tempo stesso si ingegna con Alfano a mettere al sicuro il governo sulla legge di stabilità. Votare sulla decadenza del senatore di Arcore a fine novembre significa blindare le larghe intese e allontanare ancora una volta le elezioni anticipate, ammesso che Berlusconi voglia ancora arrivare alla crisi di governo. Macché, replicano i fedeli di Alfano, il vice-premier resta leale con Berlusconi, il problema sono i commensali che lo circondano e lo spingono alla rottura per occupare militarmente quel che resta del partito...

Curioso, dunque, che la manifestazione più importante e affollata del Pdl negli ultimi mesi, al palazzetto dello sport di Roma, l'unica che non avrà come tema ossessivo la giustizia e le disgrazie processuali di Berlusconi ma il lavoro giovanile, sia messa in piedi senza coinvolgere i contendenti alla guida del partito azzurro, distratti dalla quotidiana raccolta di firme contrapposte e di accuse reciproche. Come i renziani nel Pd, i renzini del Pdl lavorano senza aspettare la benedizione dell'apparato.

Nel centrodestra nessuno aspira a bombardare il quartier generale, ma le motivazioni tra i rottamatori del Pd e i rifondatori azzurri del Pdl si assomigliano, sono generazionali. Essere vivi e contemporanei. I social network, la platea di soli giovani, ventenni e trentenni, i politici costretti ad ascoltare. E le voci chiamate a intervenire: il bresciano Davide Dattoli, classe 1990, l'anno dell'approvazione della legge Mammì, un pezzo di antiquariato, inventore di Talent Garden, lo spazio di co-working in stile Google, un ambiente di 450 metri quadri con quaranta postazioni di lavoro.

Oppure l'ingegnere all'automazione Giovanni Alli, classe 1984, un dottorato al Politecnico e un assegno di ricerca al Mit, in rappresentanza dei ragazzi italiani in fuga all'estero. Ma anche l'ingegnere nautico Fabio Buzzi e un Montezemolo, almeno, Matteo, però, non Luca. Un nuovo inizio, per non morire nelle risse tra chi si contende l'eredità di B.

Realisti più che lealisti, perché, dice la Calabria, «il mio partito negli ultimi mesi sta vivendo un momento di grande difficoltà ed è troppo ripiegato all'interno, abbiamo bisogno di un bagno di realtà». Si balla, il centrodestra è terremotato, non è detto che il 23 novembre arrivi Silvio e che per quella data ci sia ancora il Pdl. Però, tra i tanti modi di morire e poi di rinascere, non è neppure scritto che l'azzardo dei ragazzi di Annagrazia sia il più irrealistico.

 

 

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