L’EUROPA GLI STRIZZA LE “PALLE D’ACCIAIO”, MA LETTA PROVERÀ A SALVARE LA SUA FINANZIARIA - INTERVISTA AL NOSTRO VERO PREMIER, OLLI REHN: “L’ITALIA RISPETTI I PATTI E COMINCI A PRIVATIZZARE” (VIDEO)

1. INTERVISTA A OLLI REHN, COMMISSARIO EUROPEO AGLI AFFARI ECONOMICI E MONETARI: "L'ITALIA DEVE RISPETTARE I PARAMETRI"
Da www.skytg24.it

 


2. L'IRA DI LETTA : DI RIGORE SI PUÒ ANCHE MORIRE «BERLINO RESTERÀ FORTE MA IN UN DESERTO»
Roberto Bagnoli e Marco Galluzzo per il "Corriere della Sera"

«Una visione notarile, burocrati con la calcolatrice». La prima reazione a caldo del presidente del Consiglio Enrico Letta contro le critiche della Commissione alla legge di Stabilità non va troppo per il sottile. Prevale l'ira, l'amarezza e anche la preoccupazione che se Bruxelles procede sulla strada dell'austerità «alle prossime elezioni vinceranno gli euroscettici populisti, da Marine Le Pen a Grillo».

Per il premier Bruxelles non ha tenuto conto delle privatizzazioni per le quali entro dicembre arriverà un piano operativo «che non guarderà in faccia a nessuno, soprattutto a chi nella maggioranza finora le ha osteggiate». Così come hanno tralasciato di contabilizzare i benefici derivanti dal rientro dei capitali, dalla spending review, e dalle decine di miliardi iniettate nell'economia con lo sblocco dei debiti della pubblica amministrazione.

Successivamente, in video collegamento con la Fondazione Merloni a Fabriano, Letta usa parole più meditate ma sempre molto critiche contro quella che per lui «non è una bocciatura, ma una posizione su cui voglio esprimere alcune riflessioni». La prima è contro questa Unione europea dove «troppo rigore fine a se stesso finirebbe per soffocare la ripresa e sarebbe un errore».

La seconda è contro la Germania. «Ai tedeschi ho detto - ricordando il suo discorso fatto l'altro giorno a Berlino alla Spd - che se continuate su questa strada, continuerete a essere forti ma avrete attorno un deserto e vi indebolirete anche voi con l'intera Europa». Venerdì prossimo tornerà a Berlino per un forum organizzato dal quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung e quella sarà l'occasione per massaggiare di nuovo la politica economica sbagliata della Merkel.

Il presidente del Consiglio ha poi difeso la sua manovra, dicendosi sicuro dei conti fatti dal Tesoro e che il «pacchetto privatizzazioni» frutterà sin dal 2014 svariati miliardi di euro che «renderanno possibile l'utilizzo degli investimenti produttivi in deroga». Si è detto «tranquillo», ha riconosciuto che il «debito è alto ma sta scendendo come dimostrano i tassi di interesse e questo mi incoraggia».

L'entourage del governo ha fatto quadrato intorno a Letta, con il viceministro all'Economia Stefano Fassina che auspica che «la Commissione faccia po' di autocritica» e il responsabile economico del Pd Matteo Colaninno che esclude «il bisogno di una nuova manovra». Ma è emersa anche qualche punzecchiatura. Romano Prodi, anche lui a Fabriano per i 50 anni della Fondazione Merloni, ha riconosciuto che «l'esecutivo Letta è impegnato sulle riforme ma c'è anche qualche momento in cui bisogna litigare».

Insomma farsi sentire in Europa con più vigore «perché se non cambiano alcuni parametri, la crisi durerà parecchi anni». I famosi pugni sul tavolo europeo che né il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni né quello degli Affari comunitari Enzo Moavero forse non hanno «sbattuto» a sufficienza preferendo un approccio più soft e diplomatico. A Palazzo Chigi vengono comunque smentite le voci di una certa insofferenza di Letta verso i due ministri. Di certo nei prossimi giorni il clima con «i notabili e i burocrati con la calcolatrice» è destinato a cambiare.

Anche perché l'inquilino di Palazzo Chigi sta lavorando da tempo proprio per aumentare la massa critica dei Paesi contro la linea tedesca del rigore e per far spostare il pendolo verso la crescita e lo sviluppo. Ma i problemi il premier li ha anche in casa. Il capogruppo alla Camera e responsabile economico del Pdl Renato Brunetta continua a bombardare ad alzo zero Saccomanni. Ieri se l'è presa pure con Letta colpevole di aver scoperto gli errori dell'austerità «a scoppio ritardato».

Poi ci sono le parti sociali ancora indispettite per le scarse risorse dedicate al taglio del cuneo fiscale sul lavoro e nettamente contrarie alla visione ottimistica del governo sulla «ripresa in arrivo». Lunedì Cgil, Cisl e Uil si incontreranno per decidere come proseguire la mobilitazione contro la legge di Stabilità.


3. GOVERNO TENTATO DALLA LINEA DURA "NON MODIFICHEREMO LE MISURE" - MA L'EUROGRUPPO ATTENDE TAGLI DI SPESA E PRIVATIZZAZIONI
Federico Fubini per "la Repubblica"

La cancelliera parlava di un episodio preciso: quando il governo di Silvio Berlusconi rinnegò le promesse di riforme, nell'agosto del 2011, non appena la Banca centrale europea iniziò a comprare decine di miliardi di debito italiano pur di ridurre lo spread. Subito dopo l'arrivo di quei soldi da Francoforte, l'Italia infranse la sua parte del patto. La Bce e la Germania si sentirono raggirate. E oggi che Bruxelles mette in discussione la legge di stabilità non avrebbe senso rievocare quel momento che «ha cambiato il mondo», cioè ha distrutto un capitale di fiducia, se non fosse per due ragioni.

La prima è che, con o senza Berlusconi, quel gesto resta stampato nella mente dei tedeschi. La seconda invece riguarda le regole che oggi alimentano le critiche di Bruxelles alla manovra del governo, perché derivano dal terremoto dei mercati di allora. Il «Six Pack» e il «Two Pack», i patti europei sui bilanci che furono avallati in Italia quando premier era ancora Berlusconi, nascono come risposta a quello choc del 2011.

Tutti i governi accettano di sottoporre il varo di ogni legge di bilancio ad un giudizio preventivo di Bruxelles, che da ora in poi può imporre modifiche se le misure non rispettano gli obiettivi. La Germania ne è rassicurata, perché lo spazio per voltafaccia così è ridotto. Dunque a sua volta Merkel offre il silenzio-assenso all'operazione della Bce che ancora oggi tiene l'Italia a galla: prima arrivano mille miliardi di finanziamenti straordinari, che di fatto trasformano le banche in prestatrici di ultima istanza all'Italia e alla Spagna; quindi nasce l'Omt, cioè la promessa della Bce di sostenere senza limiti qualunque governo applichi un calendario prestabilito di riforme.

Ciò che è successo ieri, l'«invito » della Commissione all'Italia a cambiare la manovra, è un tassello di quest'architettura. Quell'esame racconta una situazione che in effetti non richiederebbe neppure gli economisti di Bruxelles per essere compresa. La contestazione
di fondo è che il debito continuerà a salire anche nel 2014, al contrario di quanto prevede il governo, perché le stime di crescita, inflazione e tassi d'interesse presentate dal Tesoro appaiono troppo rosee.

Non vengono poi prese in conto le eventuali risorse derivanti dal rientro dei capitali dalla Svizzera, dalle privatizzazioni o dai tagli di spesa, perché manca qualunque dettaglio per poterle misurare.

Quanto a questo, la Commissione europea conferma un approccio del tutto tecnocratico: il caos di dichiarazioni contraddittorie degli esponenti di governo, la valanga dei tremila emendamenti alla manovra e i troppi annunci ancora vaghi hanno finito per alimentare la diffidenza. A Bruxelles si è preferito applicare le regole in maniera del tutto letterale. Nasce anche così un giudizio che mette il governo di fronte a una scelta difficile, come già ieri varie cancellerie europee non hanno mancato di notare.

Ora le scelte si faranno nella settimana che manca all'Eurogruppo di venerdì prossimo, dove il giudizio della Commissione sarà confermato oppure smussato. Enrico Letta e il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni potrebbero confermare la linea emersa ieri dal governo.

Sarebbe un rifiuto del giudizio di Bruxelles: l'idea di fondo è che la valutazione sul debito è discutibile (anche in termini legali) e che l'Italia non cambia la manovra, né rinuncia ai tre miliardi di investimenti come invece la Commissione le chiederebbe di fare. Sarebbe la politica della serranda abbassata.

Vista da Berlino, una linea del genere equivale a un secondo raggiro dopo quello del 2011. Sarebbe la solita Italia che di nuovo si dimentica degli impegni europei non appena le diventano scomodi. Eppure proprio il governo tedesco capisce come una revisione radicale della manovra, in questa fase, sarebbe un contraccolpo troppo violento per questa maggioranza. E in Europa nessuno vuole un'Italia che viola i patti, ma neppure un'Italia di nuovo in crisi di governo mentre Beppe Grillo conquista consenso parlando di un'uscita dall'euro.

È qui che si ferma la tecnocrazia e inizia l'arte politica dei governi europei. Da Letta e Saccomanni, l'Eurogruppo aspetta uno stop ai tremila emendamenti e soprattutto segnali credibili sui tagli di spesa e le privatizzazioni da fare al più presto. Già questi impegni darebbero alla Germania lo spazio per un compromesso fra ministri finanziari, a maggior ragione ora che i Paesi privi di problemi sono ben pochi. Per il governo non si tratta di «cambiare il mondo», ma di ricostruire un po' di fiducia intorno al Paese, quello certamente sì.

 

 

 

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