MA IN LIBIA, QUANTI AMICI – I TECNICI RAPITI DELLA BONATTI LAVORAVANO PER L’ENI, CHE A DIFFERENZA DI EXXON, BP, TOTAL E REPSOL, È RIMASTA NEL PAESE – MERITO DEI BUONI RAPPORTI ENI CON LE VARIE TRIBÙ – E POI IL 30% DELLA PRODUZION È DESTINATO AL MERCATO LIBICO

Il colosso petrolifero italiano ha inoltre intessuto stretti rapporti con la Banca centrale libica di Saddek Omar El Kaber, che in questa fase di massima confusione paga gli stipendi dei funzionari sia del governo di Tripoli sia di quello di Tobruk…

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Virginia Della Sala per il “Fatto Quotidiano

 

italiani sequestrati in libia la centrale di mellitah italiani sequestrati in libia la centrale di mellitah

Mentre tutte le altre aziende petrolifere lasciavano la Libia, dalla Exxon Mobil alla Bp, dalla Total alla Repsol, l’Eni rimaneva. Apparentemente tranquilla, il colosso energetico non temeva l’avanzata dell’Isis perché, come raccontato anche dal Wall Street Journal e dal Fatto QuotidIano ad aprile, la sopravvivenza dei suoi affari nei territori assediati dall’Isis e dilaniati dalla lotte tra i due governi, quello ufficiale di Tripoli e quello parallelo do Tobruk, era garantita da diversi fattori.

 

Prima di tutto i contatti, costruiti in più di sessant’anni di presenza nel Paese, tra cui quelli con la Banca centrale libica di Saddek Omar El Kaber, storico centro del potere finanziario che paga gli stipendi dei funzionari sia del governo di Tripoli sia di quello di Tobruk. Poi, quelli con la Noc, l’azienda nazionale di idrocarburi libica. Inoltre, l’Eni ha sempre avuto ottimi rapporti con le tribù locali che permettevano addirittura che i suoi tubi passassero indisturbati accanto a campi di addestramento jihadisti, oggi gestiti dalle milizie di Ansar al Sharia.

 

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E, non meno importante, gli affari: ovvero il fatto che, attualmente, almeno il 30% della produzione di idrocarburi dell’azienda è destinato proprio al mercato libico. Una quota talmente importante per il Paese, da unire qualsiasi governo. Anche perché l’azienda alimenta gran parte delle centrali della Libia occidentale. E se i rifornimenti dovessero fermarsi, le industrie e i villaggi della Tripolitania andrebbero in crisi energetica.

 

Sia che i jihadisti rivendichino il rapimento, rendendolo quindi strategico per il controllo del territorio e delle materie prime, sia che il fine sia estorsivo e il sequestro opera di tribù ribelli locali, il problema della sicurezza in Libia non può comunque essere ignorato. In realtà, la società guidata da Descalzi il pericolo lo aveva percepito da mesi. Lo Stato islamico aveva conquistato prima Sirte, poi Derna: a febbraio, aveva indicato il complesso energetico di Mellitah, sulla costa della Tripolitania, come un possibile obiettivo, forte della crescente influenza nell’area costiera.

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Seguirono la chiusura dell’ambasciata italiana e l’invito della Farnesina ad abbandonare il Paese per una situazione che fu definita di estremo pericolo. E infatti, a quanto risulta al Fatto, i dipendenti Eni in territorio libico, oggi, sono pochissimi. E i pochi che ci sono, sono dislocati offshore, sugli impianti in mare. Gli altri, sono stati rimpatriati man mano che la situazione è diventata instabile. Cosa c’entra, allora, l’Eni?

 

Apparentemente nulla, perché gli italiani rapiti erano dipendenti della Bonatti, un’azienda di costruzioni, gestione e manutenzione di impianti energetici che ha sede a Parma e che deve all’Africa circa 250 milioni del suo fatturato. E perché i giacimenti sulla terra ferma sono pochi e inattivi da anni. Dall’altro molto, perché la Bonatti lavora per la Mellitah Oil & Gas, un’azienda che per metà appartiene all’Eni e per metà alla Noc libica, che è la società di Stato.

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E nell’impianto di Mellitah è trattato quanto estratto dai giacimenti dell’Eni in mare, soprattutto in quello di Bahr Essalam, poi convogliato nel gasdotto Greenstream, che lo porta in Italia.

 

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“L’episodio dei nostri connazionali rapiti deve condurre a una profonda riflessione in sede internazionale su come garantire la sicurezza e l’incolumità di chi decide di continuare ad operare in zone rischiose non solo per servire la propria azienda ma anche il proprio Paese e l’Europa stessa”, ha detto ieri il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Simona Vicari, parlando delle aziende italiane come Eni e Bonatti. E forse non ha torto, visto che in Libia l’Eni produce circa 300mila barili di olio equivalente (la misura standard dell’industria petrolifera che racchiude sia il petrolio che il gas) al giorno: il 15 per cento del totale prodotto del l’Eni, secondo i dati del 2014. E di questo, circa l’80 per cento arriva in Italia.

 

 

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