MAL COMUNE, MEDIORIENTE - SUL "NEW YORK TIMES" RULA JEBREAL SCOPRE CHE LA TURCHIA TRATTA MEGLIO I RIFUGIATI SIRIANI RISPETTO A GIORDANIA E LIBANO: NEL PAESE GUIDATO DA HEZBOLLAH I PROFUGHI SONO ABBANDONATI A LORO STESSI, EMARGINATI DALLA SOCIETÀ E A FORTE RISCHIO DI RADICALIZZAZIONE - ERDOGAN (CHE INCASSA 6 MILIARDI DALL’EUROPA PER QUESTO) LI TRATTA MEGLIO

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Rula Jebreal per il ‘New York Times

 

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Dal 2011 la guerra civile in Siria ha ucciso più di 470mila persone, per la maggior parte civili. Milioni sono stati gli sfollati e quasi 5 milioni di siriani sono fuggiti, creando la più grande crisi di profughi dalla Seconda Guerra Mondiale. L’onere di gran lunga maggiore nell’accoglienza dei profughi della Siria non è ricaduto sugli Stati Uniti o sull'Europa, ma sui Paesi vicini alla Siria: Turchia, Libano e Giordania. In totale questi Paesi ospitano la maggior parte dei 5 milioni di esuli siriani.

 

Ognuno di essi sta affrontando enormi sfide e con diverse gradi di successo. Visitando questi tre Stati sono rimasta colpita da quanta più dignità sia stata riconosciuta ai profughi siriani in Turchia piuttosto che in Giordania e, in particolare modo, in Libano.

 

Il Libano, che conta una popolazione di 6 milioni di abitanti, accoglie già da lungo tempo i profughi palestinesi. Secondo l'Agenzia ONU Per i Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) sono circa 450mila i profughi palestinesi registrati in Libano, la maggior parte ospitati nei campi di accoglienza. Anche i palestinesi di terza generazione, nati in Libano, mantengono lo status di rifugiati e vivono in campi profughi senza un percorso verso la cittadinanza libanese dopo quasi settanta anni dall'arrivo dei loro antenati. La legge libanese preclude ai rifugiati anche la maggior parte dei posti di lavoro.

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A questa popolazione già ospitata in Libano si è ora aggiunto circa 1 milione e mezzo di siriani. Molti di loro vivono in campi affollati, in tende di plastica con scarso accesso ad acqua pulita e tenuti in vita dall'aiuto di organizzazioni non governative. Poiché il governo libanese vuole evitare che i siriani diventino residenti permanenti come i palestinesi, i campi non vengono ufficialmente riconosciuti o gestiti dalle Nazioni Unite. Il risentimento verso i profughi siriani ha raggiunto livelli allarmanti. In vista delle elezioni del prossimo anno alcuni politici libanesi stanno promettendo di deportare i rifugiati non appena la guerra in Siria dovesse giungere ad un’impasse. Per il momento i siriani ricevono carità, non dignità.

 

Negli ultimi dieci mesi ho visitato molti di questi campi. In quello della Valle di Bekaa davanti ad una panetteria ho conosciuto Nour, 12 anni, e sua sorella Aya. Dopo aver comprato dei dolci per celebrare la fine del Ramadan ho chiesto a Nour qualche informazione sulla sua famiglia. Mi ha detto che lei ed Aya hanno perso tutti. Ora vivono con la loro unica parente rimasta: un'anziana zia impoverita che ha già cinque figli.

 

rifugiati siriani in libano rifugiati siriani in libano

Nour non va più a scuola da quando è scoppiata la guerra. In Libano trascorre i suoi giorni in strada con la sorella chiedendo l'elemosina. Nour e Aya sono tra le migliaia di bambini siriani che devono vagabondare vendendo fazzolettini, caramelle e acqua in bottiglia. Altri lavorano nelle fattorie per sostenere se stessi e ciò che resta delle loro famiglie.

 

Nel campo profughi di Tal Sarhoun, sempre nella Valle di Bekaa, i bambini siriani e palestinesi possono frequentare le scuole delle Nazioni Unite soltanto nel pomeriggio per decreto governativo. Questa politica è un deliberato tentativo di separare i piccoli rifugiati dai bambini libanesi. Ho visto molti ragazzi che, invece di andare a scuola, stavano giocando in strada con delle pistole giocattolo. Quale futuro è possibile per questi giovani?

Rula Jebreal Rula Jebreal

 

La Giordania ha mostrato un atteggiamento più accogliente nei confronti del milione e trecentomila profughi siriani. Il campo più grande, Zaatari,  situato presso il confine settentrionale, è gestito dal Ministero degli Interni giordano e dall'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati ed è finanziato da un consorzio di agenzie di aiuti internazionali.

 

campo profughi gaziantep campo profughi gaziantep

Non finisce qui. Circa 60mila persone sono intrappolate al confine tra Siria e Giordania. Dopo che nel 2016 alcuni funzionari della sicurezza giordana furono uccisi da un'auto-bomba dello Stato Islamico, il governo ha chiuso l'accesso ad un altro campo, Rukban, e vietato ai siriani di oltrepassare la frontiera. Questo ha costretto i siriani ad accamparsi nel deserto in una terra di nessuno, in una zona chiamata "berm".

 

Qui si trovano migliaia di persone in condizioni disperate che sopravvivono con scarse razioni di cibo continuamente esposte agli attacchi aerei. Le malattie sono diffuse ma le autorità giordane bloccano l'accesso ai soccorsi e ai trattamenti medici dopo aver dichiarato l'area una zona militare chiusa.

 

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In questa crisi umanitaria soffocante l'amministrazione di Trump ha minacciato di ridurre i finanziamenti alle agenzie di aiuti internazionali  che soccorrono i profughi siriani. Mentre gli Stati Uniti si sottraggono al loro ruolo di leadership globale, i poteri regionali come quello della Turchia stanno scendendo in campo per riempire il vuoto. La Turchia e i suoi 80 milioni di persone hanno accolto più di 3 milioni di profughi siriani.

 

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"I rifugiati siriani non sono un problema da risolvere", mi ha detto il capo delle forze di soccorso turche per l’emergenza. "Sono una realtà da gestire". La città turca di Gaziantep rappresenta un esempio di umanità  nel trattamento riservato ai profughi. E' una bella città sul confine siriano-turco che si dice ospiti 600mila siriani, di cui circa 40mila accolti nei cinque campi della città, gestiti dalla Presidenza turca di Disaster and Emergency Management. Il resto - la stragrande maggioranza di essi - vive nella stessa città. Qui i rifugiati sono autorizzati a lavorare, hanno accesso alle cure mediche gratuite e alle scuole e il governo si è impegnato ripetutamente a creare un percorso per l'ottenimento della cittadinanza turca.

 

Il sindaco di Gaziantep in carica dal 2014, Fatma Sahin, ha fatto della salvaguardia dei diritti dei rifugiati una linea di condotta politica. La sua città è diventata un modello globale per l'accoglienza da riservare ai sopravvissuti di guerra. Ho accompagnato la signora Sahin a vedere alcune case improvvisate nei campi della città dove i profughi siriani ci hanno accolte come se fossimo parenti ritrovate dopo molto tempo. E’ stato rincuorante vedere una speranza così viva in persone altrove umiliate.

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La politica turca verso i rifugiati non si ferma al suo confine. Ho visitato Jarabulus in Siria, una città liberata dal controllo dello stato islamico lo scorso anno per mano dell'esercito turco. Se pure le motivazioni di Ankara sono molteplici, un risultato concreto è la riduzione del flusso di rifugiati al di là del confine e la possibilità che molti di essi possano tornare nelle loro case. Al posto della giustizia sommaria e delle decapitazioni pubbliche del governo islamico c'è ora un ospedale con un reparto di maternità. Le scuole sono state ricostruite e la città ha formato un nuovo consiglio locale.

 

Pur dovendo affrontare le proprie difficoltà - il tentato colpo di stato militare è avvenuto poco più di un anno fa - la Turchia ha cercato di perseguire una politica a favore dei rifugiati molto più umana di quella dei suoi vicini. L'Europa è stata ben felice di lasciare che la Turchia svolgesse questo ruolo di primo piano nell'accoglienza dei rifugiati. Il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan ha stipulato un accordo con l'Unione Europea in virtù del quale l'Europa finanzia il programma turco per i rifugiati ottenendo in cambio che si impedisca ai migranti l'approdo sulle coste europee.

 

rifugiati siriani in libano rifugiati siriani in libano

La risposta della Turchia alla crisi dei profughi ha notevolmente rafforzato il prestigio e il potere del suo presidente. Erdogan coltiva da tempo il sogno di costituire un nuovo impero ottomano con Ankara come capitale. La forte politica dei rifugiati della Turchia ha concretamente avvalorato questa ambizione.

 

Nel frattempo la guerra in Siria sta volgendo al suo termine e i siriani stanno iniziando a tornare a casa. L'Organizzazione Internazionale per la Migrazione (IOM) ha recentemente segnalato che quest'anno già 600mila sfollati hanno fatto ritorno nei luoghi di origine. Ma questo processo è reversibile. La spietata violenza del presidente Bashar al-Assad potrebbe generare un'altra ondata di profughi a causa del piano di riconquista, tra le altre aree contese, della città di Idlib. Lo scorso aprile è stato già utilizzato il gas Sarin sui civili; il prossimo attacco potrebbe essere altrettanto letale.

 

bashar al assad bashar al assad

Anche se è stata raggiunta una forma di accordo ad interim, nessuno ha ancora proposto un piano soddisfacente per la sicurezza dei profughi siriani, di quelli di ritorno e di quelli impossibilitati a rientrare. Con l'aiuto dei suoi alleati stranieri, dell'Iran e della Russia, Assad è il vincitore de facto di questo conflitto atroce e intende rimanere al potere. Per molti profughi, anche a guerra conclusa, il ritorno in una Siria controllata da Assad equivale ad una condanna a morte. Date le atrocità del regime, sembra scontato che i vicini della Siria ospiteranno ancora per anni grandi popolazioni di rifugiati e forse anche le generazioni a venire.

erdogan erdogan

 

La maggior parte dei siriani con cui ho parlato durante i miei viaggi nei campi profughi mi ha riferito di una pratica comune di abusi da parte della polizia e dei militari del paese ospitante. In particolar modo in Libano le generazioni di siriani - donne, uomini e bambini traumatizzati - potrebbero trovarsi costretti ad avere a che fare con una scarsa volontà o  pazienza verso la loro presenza a lungo termine.

 

Le persone costrette a fuggire dalle loro case e poi respinte saranno terreno fertile per la radicalizzazione, a meno che il mondo non si faccia attento nell’aiutarle a ricostruire le loro esistenze con vere case in cui vivere, un po' di rispetto e, almeno, un filo di speranza.

 

 

Rula Jebreal è una giornalista, analista di politica estera e docente al Università di Miami

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