MIRACOLATI RAI – LA NOMINA DI DIACONALE IN VIALE MAZZINI PREMIA UN DIRETTORE CHE CON “L’OPINIONE” È RIUSCITO A CIUCCIARE 2 MILIONI DI EURO PUBBLICI ALL’ANNO – AL GIORNALE (SEMICLANDESTINO) LAVORAVANO ANCHE MOGLIE E FIGLIA – E ORA I DIPENDENTI SONO IN CASSA INTEGRAZIONE

Diaconale è riuscito a tenere in vita per 22 anni un giornale che ha sempre venduto, se va bene, 2.500 copie. Per un certo tempo, “L’Opinione” è stata legata al Movimento delle libertà dell’ex deputato di Forza Italia Massimo Romagnoli, arrestato nel dicembre 2014 in Montenegro per traffico d’armi…

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1. DENARI A PIOGGIA PER UN GIORNALE DA MILLE COPIE

Gianluca Roselli per il “Fatto Quotidiano

 

ARTURO DIACONALE ARTURO DIACONALE

La nomina più assurda della sua carriera non è quella al Cda della Rai, ma quella del marzo 2009 quando, grazie ai buoni uffici dell’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, Arturo Diaconale viene nominato commissario straordinario del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Forse per il solo fatto di essere di quelle parti (Montorio al Vomano in provincia di Teramo)? Chissà. Sta di fatto che il neo membro del Cda di Viale Mazzini in quota centrodestra è uno dei misteri dell’editoria italiana.

 

Diaconale, infatti, è riuscito a tenere in vita per 22 anni un giornale che ha sempre venduto pochissimo: 2500 copie, ma secondo i maligni non si andava oltre le mille copie, comprese quelle che finivano nelle mazzette degli amici. Nonostante questo è riuscito a incassare fior di contributi pubblici: poco meno di 2 milioni di euro ogni anno per un paio di lustri.

ARTURO DIACONALE ARTURO DIACONALE

 

La legge dell’editoria, infatti, prima era molto più generosa e ai giornali che si legavano a un movimento politico elargiva la metà delle spese sostenute. E l’Opinone, è stata legata al Movimento delle libertà dell’ex deputato di Forza Italia Massimo Romagnoli, arrestato nel dicembre 2014 in Montenegro per traffico d’armi. Chi ha lavorato all’Opinione ricorda come verso settembre il giornale andava sempre in sofferenza perché finivano i soldi e qualche stipendio saltava. Poi arrivava il denaro che le banche anticipavano in vista del contributo pubblico e la situazione tornava normale.

 

arturo diaconale racconta il giovane simone baldelli arturo diaconale racconta il giovane simone baldelli

Nonostante il quotidiano fosse spesso con l’acqua alla gola, Diaconale ci fa lavorare la moglie, Barbara Alessandrini, e pure la figlia. Ma con la diminuzione dei contributi il sistema va in tilt: nel 2013 il finanziamento pubblico si abbassa a 950 mila euro, nel 2014 saranno solo 120 mila. E il giornale va a rotoli: molti se ne vanno o vengono cacciati, alcuni sono ancora in causa di lavoro con l’azienda per prendere mesi di stipendio e il Tfr.

 

Ora Diaconale avverte che nel Cda Rai non lavorerà certamente gratis. Peccato, però, che gratis ha fatto lavorare per mesi i suoi giornalisti. Vent’anni è durata l’Opinione, vissuta solo grazie ai contributi pubblici. Tanto che al direttore, ricorda qualche ex dipendente, piaceva dire che “lo Stato è il socio di maggioranza del giornale”. Ma Diaconale ci ha provato anche con la politica.

 

arturo diaconale arturo diaconale

Dopo aver iniziato al Giornale di Montanelli come cronista parlamentare e aver continuato a Studio Aperto, alle elezioni del 1996 viene candidato dal Polo delle Libertà in Senato, ma non ce la fa. Così, sempre molto vicino a Silvio Berlusconi e al centrodestra, continua a dirigere l’Opinione dove, per un periodo, è transitato pure l’ex sindaco di Milano Paolo Pillitteri. La politica, però, è la sua passione e ci riprova anche alle ultime Regionali in Campania, con la lista “Vittime del fisco e della giustizia” a sostegno di Stefano Caldoro. Altro flop.

 

“In un Paese che a volte è un po’troppo lento, se si può accelerare è meglio”, ha detto ieri durante la riunione del Cda. Qualche minuto prima il suo commiato dagli abruzzesi (si è dimesso dall’ente parco) e dai lettori dell’Opini ne , da cui si è dimesso dopo 22 anni di direzione.

 

“Ringrazio tutti, in particolare i collaboratori che, in condizioni di enorme difficoltà, mi hanno aiutato a portare avanti un giornale che non ha mai avuto capitali o un editore di riferimento alle spalle”, ha scritto nell’ultimo editoriale. Un editore di riferimento no, ma i capitali, e che capitali, Diaconale in tutti questi anni è riuscito ad averli lo stesso. Verrebbe quasi da dire chapeau, se non fossero soldi nostri.

 

 

2. DAGONEWS

diaconale diaconale

 

Nelle stanze della prestigiosa redazione de L’Opinione delle Libertà di via del Corso, soleva ripetere che bisogna sfruttare “il socio di maggioranza del giornale, lo Stato”. E il neo consigliere della Rai Arturo Diaconale con codesto socio di affari ne ha fatti più di uno.

 

Oltre vent’anni di contributo statale per il suo giornale, L’Opinione, a fronte di un numero di copie  pressoché inesistenti (per far quadrare i conti, erano gli stessi dipendenti del giornale a “ritirarne” quotidianamente 200 copie in un’edicola del centro di Roma). E il contributo non era poca cosa, perché prima della crisi dell’ultimo biennio, ammontava a circa due milioni di euro l’anno.

 

Ma il socio di minoranza dello Stato, può contare sulla legittima pensione alla quale nel 2009 si è sommata anche la presidenza del Parco dell’Abruzzo. Ora, siccome piove sempre sul bagnato (e a volte grandinano danari), è arrivata anche la nomina nel Cda della Rai.

 

Arturo Diaconale Arturo Diaconale

Tanta opulenza, però, non è bastata a salvare il suo giornale. O meglio, il giornale esiste ancora nell’edizione online, ma i dipendenti non beccano più una lira. L’ultimo stipendio risale al settembre 2011, quando ad ogni dipendente toccarono mille euro di acconto dello stipendio. Un po’ più di un acconto presero Diaconale e Lino Fratta, eminenza grigia del giornale: 8 mila euro a testa.

 

L’anno precedente, tutti i dipendenti (nonché soci della cooperativa, perché questa è la formula magica per ricevere il contributo) investirono 10mila euro nella cooperativa stessa: in realtà furono costretti a rinunciare a degli stipendi, firmando però le buste paga, altrimenti non si era in regola con il “socio di maggioranza”.

 

Ma come si può mandare sul lastrico un giornale che riceve 2 milioni di euro l’anno? Non bastano certo la macchina e l’Ecopass pagati al vicedirettore Paolo Pillitteri (eh sì, proprio lui, nessun caso di omonimia) e nemmeno le quattro sedi che per un periodo L’Opinione ha pagato (tutti contratti risolti con “sfratti” e cause varie). E allora dove finivano i soldi?

 

LOPINIONE LOPINIONE

Lo sa solo l’eminenza grigia Lino Fratta, che gestiva i conti dell’Opinione. Addirittura c’era un contratto di 120 mila euro annui con un avvocato residente a Pescara che poi presentava parcella per ogni singola lettera che scriveva per conto de L’Opinione. C’era da pagare un commercialista per una qualunque società gestita dal ragionier Fratta? Il conto lo pagava L’Opinione.

 

Dopo che lo Stato ha elargito circa 80 miliardi delle vecchie lire a L’Opinione, adesso qualcuno ha avuto il coraggio di chiedere la cassa integrazione e qualcun altro la faccia tosta di concederla. Visto che non ti sono bastati i soldi, te ne do altri ancora, dice lo Stato.  Tant’è che adesso i dipendenti rimasti, sono in attesa anche del terzo anno di cassa integrazione.

 

Chi invece si è dimesso (per giusta causa, in taluni casi anche accettata), in tre anni non ha preso né stipendi arretrati, né Tfr. In tanti hanno fatto causa, in pochi hanno preso del denaro. 

 

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