NON DIRE BANANA SE NON L’HAI NEL SACCO (GLI ITALIANI HANNO LA MEMORIA CORTA) - I ‘SINISTRATI’ HANNO IL VIZIETTO DI DARE PER MORTO BERLUSCONI E ALLA FINE VENGONO PUNTUALMENTE PUNITI - NEL ’94 “ERA FATTA” E CI FU IL KO - NEL 2006 PRODI E COMPAGNI IRRIDEVANO I “SONDAGGI TAROCCATI” E POI FU PAREGGIO AL SENATO - FASSINO DIXIT: “VANTAGGIO INCOLMABILE. IL GOVERNO PRODI GOVERNERÀ CON UNA MAGGIORANZA CHIARA PER CINQUE ANNI”…

Gian Antonio Stella per il "Corriere della Sera"

«Un sondaggio ucraino dà a Berlusconi il 122% dei voti». Campasse cento anni, Romano Prodi non si pentirà mai abbastanza della battuta sulla rimonta berlusconiana del 2006 su cui a sinistra ridacchiavano: cinque giorni dopo vinceva d'un soffio alla Camera e pareggiava al Senato restando appeso a Franco Turigliatto. Il saggio maitre-à-penser Giùan Trapattoni da Cusano Milanino l'aveva detto: «Non dire gatto se non l'hai nel sacco». E a sinistra riemerge la fifa blu di una nuova beffa. Sono troppe le rimonte subite dalla sinistra negli scontri elettorali.

Un'AdnKronos del novembre 2004 dava Enzo Bianco in vantaggio abissale su Umberto Scapagnini (66 a 26%) alle Comunali di primavera e pochi giorni prima del voto l'Unità, mentre l'esponente della Margherita affermava d'avere «22 punti in più dell'attuale sindaco», titolò: «La sconfitta a Catania travolgerà il governo». Vinse Scapagnini.

Un altro sondaggio Swg nel febbraio 2006 dava per vincente alle Regionali in Sicilia Rita Borsellino col 52%, contro Totò Cuffaro al 44%: vinse Cuffaro con 12 punti e 26 seggi di vantaggio.

Nel 2008 Francesco Rutelli fece suo il primo turno alle Comunali di Roma con quasi centomila voti di vantaggio su Gianni Alemanno e si dichiarò fiducioso per il «vantaggio determinante». Vinse Alemanno. Come non bastarono 20 punti di vantaggio a Vincenzo Bernazzoli, l'anno scorso, per averla vinta al ballottaggio a Parma sul grillino Federico Pizzarotti.

I più brucianti, però, restano i tracolli del 1994 e del 2006 nelle elezioni che parevano già vinte contro il Cavaliere. La prima volta Achille Occhetto, convinto di avere messo a punto «una gioiosa macchina da guerra», si sentiva ripetere dai compagni di Bologna: «Akell va tranquell», Achille va tranquillo. Un sondaggio per «il Mondo» diceva che solo il 10,5% degli imprenditori voleva Berlusconi premier, cinque volte meno di Ciampi: 56%.

A fine gennaio, mentre La Repubblica titolava un editoriale «Scende in campo il ragazzo coccodè» e dilagavano le ironie sul partito di plastica, l'Ansa spiegava che secondo i sondaggi la coalizione progressista stava al 35%, il centro di Martinazzoli e Segni al 31%, la destra al 34% con Forza Italia al 9,2%. Sette settimane dopo, lasciando la sinistra tramortita, trionfava lui, il Cavaliere.

Fin lì, potevano invocare la clamorosa e inimmaginabile sorpresa mai accaduta al mondo. Manco un meteorite fosse piombato su Botteghe Oscure. Peggio ancora, però, fu lo sperpero del vantaggio del 2006 che Nando Pagnoncelli avrebbe ricostruito nel saggio «L'Italia a metà» a cura di Paolo Natale e Renato Mannheimer. Alla fine del 2005, dopo vittorie a ripetizione in quasi tutte le elezioni, gli italiani convinti che la primavera dopo le Politiche sarebbero state vinte dal centrosinistra erano il 55,5%, quelli convinti che la destra si sarebbe ripresa erano il 24%: 31 punti in meno.

Quanto agli orientamenti, l'Unione stava al 53,1%, la destra otto punti sotto. E per settimane si andò avanti così, coi vari sondaggi che davano la sinistra avanti di sei o otto punti e Berlusconi che si affannava a dire che quei sondaggi non erano buoni: «Siamo appena sotto, ma in rimonta». Anzi, a un certo punto si spinse a denunciare, facendo indignare tutti, una congiura ordita da una sorta di «sindacato dei sondaggisti» decisi a danneggiarlo.

Esagerava? Sì. E avevano ragione i professionisti del settore a denunciare a loro volta come il Cavaliere, infischiandosene della legge, citasse ogni giorno rimonte mirabolanti senza mai precisare come, dove e da chi fossero stati fatti i sondaggi. Resta il fatto che la sicumera con cui a sinistra si sentivano così predestinati al trionfo da scartare l'idea di Riccardo Illy di una lista civica d'appoggio o da liquidare con risatine i tonanti incoraggiamenti berlusconiani ai destrorsi in rotta, fu indimenticabile.

«Tutti e sei i principali istituti demoscopici riportano che ci sono 6 punti di differenza tra centrodestra e centrosinistra», spiegò Piero Fassino a fine gennaio. E proseguì: «Ritengo il nostro vantaggio incolmabile, ma non per questo vogliamo dar la vittoria per scontata. Il governo Prodi governerà con una maggioranza chiara per cinque anni. Non solo: avremo una maggioranza chiara sia alla Camera sia al Senato».

«L'ipotesi di un pareggio alle prossime elezioni», ridacchiò Alfonso Pecoraro Scanio, «esiste solo nei sondaggi taroccati del premier. Sarà l'Unione a garantire stabilità e rilanciare l'Italia dopo cinque anni di malgoverno». «Dopo la finanza creativa arrivano i sondaggi creativi», ironizzò una nota ufficiale della «cabina di regia» dell'Ulivo.

E mentre Renato Mannheimer avvertiva già a febbraio che il Senato sarebbe stato in bilico, il capogruppo del Pdci liquidava l'indagine della società «Penn, Schoes & Berland» favorevole al Cavaliere con parole irridenti: «Se il sondaggio americano, da lui commissionato e pagato, lo dà vincente, buon per lui: come si dice a Roma si consola con l'aglietto».

Va da sé che ancora più ridicolo fu considerato un sondaggio di Euromedia: «Dobbiamo essere grati a Berlusconi che dopo la bufala americana ora ci propone l'oracolo a perdere», diceva una nota dell'ufficio stampa Ds. E additava allo scherno Alessandra Ghisleri «la quale, da quando ha deciso di smettere i panni della paleontologa e si è messa a fare la sondaggista, con i numeri non ha la stessa dimestichezza che forse aveva con i tirannosauri».

Il gioco preferito, per qualche settimana, sembrò quello sui sondaggi esotici. «Mi sono rivolto ad amici sondaggisti della Papuasia che mi hanno riferito che il centrosinistra ha 20 punti di vantaggio non recuperabili dal Cav. Berlusconi», ammiccava non ancora berlusconizzato Clemente Mastella. «Di che sondaggi parlate, quelli arrivati dall'Ucraina?», chiedeva sorridendo Luciano Violante.

E poteva mancare Massimo D'Alema? «Sarcasmo da Rotterdam», come lo chiama Ferrara, fu impareggiabile: «Con i sondaggi Berlusconi vuole intimidire l'avversario e incoraggiare le proprie truppe. Siamo a forme primitive del tipo "gli Dei sono con noi. Abbiamo scrutato il volo degli uccelli dall'alto della collina e ci è favorevole"».

Poi arrivò la sera dello spoglio dei voti, la scoperta che il vantaggio immenso si era volatilizzato, lo shock, l'amara consapevolezza che al Senato sarebbe stato praticamente impossibile governare... Meno di due anni dopo, caduto il governo dopo un'agonia interminabile, parevano tutti contriti e decisi: mai più dare per morto il Cavaliere, mai più... Macché, l'hanno rifatto. E adesso sono lì, di colpo inquieti. E alle prese con quel fastidioso e sottile incubo notturno...

 

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