OH MIA BÈLA ‘NDRINA - IN LOMBARDIA PRIMA È ARRIVATA LA MAFIA, POI LE CONDANNE - IERI NELL’AULA BUNKER DI SAN VITTORE SI È COMPIUTA LA RAPPRESAGLIA DELLO STATO NEI CONFRONTI DELLA ‘NDRANGHETA MILANESE - VANNO DENTRO 41 PERSONE, FRA CUI IL DIRETTORE DELL’ASL DI PAVIA, UN AVVOCATO, ALCUNI IMPRENDITORI E UN CARABINIERE, PER UN TOTALE DI QUASI 500 ANNI DI CARCERE E OLTRE 5 MLN € DI RISARCIMENTI...

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Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"

CARLO CHIRIACOCARLO CHIRIACO

«Noooo.....», urla la moglie (nella ressa dell'aula bunker di San Vittore) di un imprenditore, Ivano Perego, che faceva tante strade in Lombardia e che ora, benché si ritenga una vittima delle cosche parassite o al più un ingenuo mezzo complice, si vede condannare per associazione mafiosa piena a 12 anni di carcere, più 10 di interdizione dal fare impresa e un mucchio di soldi da risarcire. E in quel grido, diversamente poi dal copione di ironici applausi e crude contumelie indirizzati alle giudici dalle gabbie dei detenuti alla fine di 55 minuti di lettura del verdetto, si sente un timbro autentico: di sofferenza familiare, certo, ma soprattutto di incredulità.

Tribunale di MilanoTribunale di Milano

Di stupore nel vedere condannati, come «mafiosi», perfino il direttore sanitario dell'Asl di una città come Pavia, Carlo Antonio Chiriaco, l'uomo che amministrava un budget annuale di 780 milioni di euro per 530 mila cittadini e che ora incassa 13 anni; l'avvocato Pino Neri, 18 anni; o il carabiniere Michele Berlingieri, 13 anni e mezzo. Lo stupore, insomma, di vedere il concetto di «capitale sociale dei clan» (coniato dal professor Rocco Sciarrone) passare dallo stato gassoso della sociologia criminale allo stato solido delle sbarre di galera.

Sono oltre 2.000 anni di carcere il complessivo prodotto di 1 milione e 494 mila contatti intercettati in due anni su 572 utenze dall'operazione anti-'ndrangheta «Infinito/Crimine» del 2010, 25 mila ore di telefonate, 20 mila ore di colloqui registrati in auto, casa, campagne, ristoranti, lavanderie e 63 mila ore di video: compreso lo «storico» filmato dei 22 partecipanti ripresi dai carabinieri il 31 ottobre 2009 mentre proprio dentro un centro sociale per anziani intitolato a Falcone e Borsellino nel comune di Paderno Dugnano - e sotto l'egida del boss incaricato di «commissariare» i clan lombardi dopo i tentativi «autonomisti» stroncati con l'assassinio di Carmelo Novella - eleggevano il temporaneo referente della 'ndrangheta in Lombardia e il capo della «locale» di 'ndrangheta a Milano.

COPERTINA DEL LIBRO DI GIAMPIERO ROSSI MAFIA A MILANOCOPERTINA DEL LIBRO DI GIAMPIERO ROSSI MAFIA A MILANO GIRO D'AFFARI DELLA NDRANGHETAGIRO D'AFFARI DELLA NDRANGHETA

L'ultima rata dell'operazione (300 arresti nel luglio 2010 nel coordinamento tra Milano e Reggio Calabria) arriva ieri pomeriggio dalle giudici milanesi Balzarotti-Speretta-Greco del processo con rito ordinario scandito da tre udienze a settimana con il pm Daniela Dolci: la condanna di 41 imputati a quasi 5 secoli di carcere e oltre 5 milioni di risarcimenti vari va infatti ad aggiungersi agli 800 anni già inflitti dal gup milanese Arnaldi ai 110 imputati (su 119) che scelsero invece il rito abbreviato, e ai 6 secoli incassati da ancora altri 93 giudicati con rito abbreviato a Reggio Calabria dal gup Minutoli.

Il Tribunale ha inoltre riconosciuto corposi danni d'immagine a favore degli enti locali costituitisi parti civili per le ripercussioni patite dai loro territori a causa dei traffici delle 'ndrine lì radicatesi, perciò condannato i vari imputati a risarcire non solo la presidenza del Consiglio (500.000 euro), i ministeri della Difesa (500.000) e dell'Interno (250.000) e la Regione Calabria (200.000), ma anche la Regione Lombardia (1 milione di euro, il che ha scatenato nelle gabbie la rabbiosa ironia dei detenuti al grido di «i nostri soldi ai mafiosi veri»), e con 300.000 euro a testa la Provincia di Monza e i Comuni di Pavia, Desio, Bollate e Seregno, nonché la Federazione Antiracket Italiana (50.000) e le Infrastrutture Acque Nord Milano (30.000).

Il pm vede accolta dalla sentenza l'esistenza di «un organismo verticistico e di coordinamento generale» della 'ndrangheta: nel senso non che esiste un suo Totò Riina, ma nel senso che l'unitarietà tutela le regole basilari dell'organizzazione e ne garantiscono la riconoscibilità nel tempo e nello spazio anche lontano dalla Calabria, garantendo gli equilibri generali: non a caso i pm di Reggio nel loro processo paragonano questo organismo a una sorta di «presidenza della Repubblica» della 'ndrangheta e non a un «Consiglio dei ministri» dei clan.

 

 

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