Paolo Mastrolilli per "lastampa.it"
Pesante sconfitta per i democratici, e per il presidente Obama, nelle elezioni midterm. I repubblicani, infatti, non solo hanno conquistato la maggioranza alla Camera e al Senato, ma hanno scardinato la coalizione che nel 2008 e 2012 aveva portato Barack alla Casa Bianca. Ora cominciano due anni molto difficili per il presidente, ormai “anatra zoppa”, che dovrà gestire il potere esecutivo da una posizione di grande debolezza, e per il suo partito, che dovrà ricostruire una nuova strategia elettorale se vuole tornare competitivo alle presidenziali del 2016.
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REPUBBLICANI ESULTANO PER LA VITTORIA
La giornata ha preso subito una piega negativa per i democratici, fin dai primi exit poll. Oltre il 50% degli elettori appena usciti dai seggi, infatti, ha detto che era scontento dei parlamentari di entrambi i partiti, ma ancora di più dell’amministrazione. Le elezioni di medio termine, in sostanza, si sono trasformate in un referendum su Obama e le sue politiche, e il risultato è stata una netta bocciatura. L’economia in ripresa non è bastata a salvarlo, a fronte delle delusioni per l’incerto lancio della riforma sanitaria, l’occupazione che balbetta, il mancato rinnovo delle leggi sull’immigrazione, il tentativo fallito di limitare la vendita delle armi dopo la strage di Sandy Hook, le crisi internazionali come quella dell’Isis, e persino la gestione dell’emergenza ebola.
obama perde le elezioni di medio termine 4 BARACK OBAMA JOE BIDEN E HUNTER BIDEN
Il controllo della Camera da parte del Grand Old Party, come negli Usa viene chiamato il Partito repubblicano, non era mai stato in discussione, e la sua conferma è venuta subito dopo la chiusura delle urne. La gara quindi era tutta concentrata sul Senato, dove l’opposizione aveva bisogno di togliere sei seggi ai rivali democratici per diventare maggioranza. Ci è riuscita, andando ben oltre le aspettative. I repubblicani, infatti, non hanno vinto solo negli stati più deboli detenuti fino a ieri dai loro avversari, ma anche in molte regioni che proprio Obama aveva conquistato, cambiando la geografia politica degli Usa. Il Grand Old Party si è ripreso subito Montana, West Virginia, South Dakota, Arkansas, Alaska, e fino a qui non si può parlare di vere sorprese.
Poi, però, ha portato via ai rivali anche Iowa, North Carolina e Colorado, che Barack aveva trasformato in stati blu puntanto sugli immigrati ispanici, i neri, le donne, i giovani, e i moderati bianchi che non si riconoscevano negli estremismi dei repubblicani modello Tea Party. Questa era la coalizione che aveva costruito il primo presidente di colore, e che sembrava destinata a durare, se non altro per ragioni demografiche. Le sue politiche degli ultimi sei anni, però, hanno deluso la sua base, che per reazione ha abbandonato i candidati democratici, nonostante negli ultimi mesi l’economia avesse dato segnali di ripresa. A queste sconfitte si è aggiunto il ballottaggio in Louisiana, che l’incumbent democratica Landrieu sembra destinata a perdere il prossimo 6 dicembre, e le vittorie di misura ottenute dal partito del presidente nel New Hampshire, e soprattutto in Virginia, un altro stato tradizionalmente repubblicano, che Obama era riuscito a conquistare.
Ora tutto torna in gioco, in vista delle presidenziali del 2016. La coalizione di Barack è crollata e i repubblicani hanno un percorso praticabile da seguire per tornare alla Casa Bianca, se si considerano anche le vittorie in Florida e in Wisconsin per la poltrona di governatore. Scott Walker, che ha trionfato in questo stato blu, potrebbe presto emergere come un forte candidato presidenziale, oltre ai nomi già noti e citati come quelli di Jeb Bush, Rand Paul, Marco Rubio, e Chris Cristie. L’establishment si è preso la rivincita sul Tea Party, dimostrando che i candidati moderati vanno più lontano. Ora però dovrà smettere di dire solo no ad Obama e fare ostruzionismo, come ha fatto finora il nuovo leader del Senato Mitch McConnell, se non vuole pagare la paralisi fra due anni.
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I risultati rappresentano anche una sconfitta per la macchina elettorale di Hillary Clinton, che nonostante abbia partecipato a 45 eventi elettorali negli ultimi 54 giorni, non è riuscita ad avere un grande impatto, forse con l’unica eccezione del New Hampshire. Anche in Arkansas, lo stato di cui il marito Bill era governatore, i candidati che hanno sostenuto sono stati sconfitti. Le politiche bocciate naturalmente sono quelle di Obama, e soprattutto quelle dell’ormai ex leader del Senato Harry Reid, che ha contribuito alla paralisi del Congresso. Il risultato di ieri, però, impone a Hillary, e all’intero partito, un profondo esame di coscienza e forse un terremoto, per tornare ad essere competitivi nel 2016.
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REPUBBLICANI ESULTANO PER LA VITTORIA
Per Obama, invece, cominciano due anni in cui sarà difficile evitare l’irrilevanza. I repubblicani avranno una solida maggioranza alla Camera, e almeno 52 seggi al Senato, che potrebbero aumentare dopo il ballottaggio in Louisiana. Quindi sarà il Grand Old Party a dettare l’agenda legislativa, e il presidente dovrà trovare i suoi spazi facendo compromessi o usando i poteri esecutivi. Potrebbe sfidare il Congresso, decretando l’amnistia per riformare l’immigrazione, favorendo così la minoranza ispanica che sarà comunque fondamentale per i democratici nel 2016. Altri settori su cui invece potrebbe cercare il compromesso con i repubblicani sono quelli degli accordi per il commercio internazionale come il T-TIP con l’Europa, i programmi per la costruzione di infrastrutture, e la riforma fiscale per alleggerire i carichi sulle imprese. Ma il sogno del cambiamento che aveva incarnato Obama nel 2008, facendo sperare il paese in una presidenza capace di trasformarlo, è finito ieri notte.
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