POSTE BRITANNICHE: UNA LEZIONE PER LA PRIVATIZZAZIONE DI QUELLE ITALICHE - IL BOOM DI ROYAL MAIL (+80% DAI PREZZI DI QUOTAZIONE) RISCHIA DI TRAVOLGERE CAMERON

Sull’onda della maggiore Ipo dell’anno in Gran Bretagna, che una volta tanto ha premiato i piccoli azionisti, il Labour party punta il dito contro il primo ministro, accusato di aver scelto una dubbia scorciatoia per riguadagnare consenso popolare ai danni delle casse del Tesoro. Accuse che il governo, ovviamente, rimanda al mittente…. - - -

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Leonardo Maisano per il "Sole 24 Ore"

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Il boom annunciatissimo si consuma ancora prima dello sbarco in Borsa. Il titolo s'impenna al grey market, macina un più 38% in pochi istanti di limitati scambi e comincia una marcia che non si ferma più. Nemmeno ora, a meno che non si voglia considerare tale, e tale non è, la correzione del 1% registrata ieri. Bagatelle per un massacro alle casse del Tesoro britannico e per la gioia, speculare, dei portafogli di tanti piccoli (e alcuni grandi) azionisti.

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Parliamo di Royal Mail, le poste di Sua Maestà, gloriosa istituzione plurisecolare, ultimo bastione di un servizio che anche Margaret Thatcher non osò liberare dalla stretta della mano pubblica. C'è voluto il suo aspirante epigone, il premier conservatore David Cameron, per mettere la firma sotto un'operazione che non finisce più di far scandalo.

All'alba di quel giorno dell'ottobre 2013, infatti, Royal Mail si presentò al London stock exchange per l'Ipo del 60% del capitale pari a un valore per azione di 330 pence, ovvero la punta più alta di una forchetta che, al minimo, indicava quota 260. Gli analisti si erano sgolati per giorni nel dire che la valutazione era stata a dir poco ingenerosa rispetto al potenziale intrinseco del servizio che veniva ceduto, lasciando allo Stato solo la rete di uffici postali.

I più timidi (IG) immaginavano un guadagno del 20% nel volgere di qualche ora, i più ottimisti (Panmure) del 38%, i visionari (Canaccord Genuinity) dell'82 per cento. La storia conferma che esagerare non è sempre male. Panmure azzeccò l'apprezzamento sul brevissimo con quel più 38% che, come detto, maturò al via delle contrattazioni, Canaccord quello di medio periodo. Ieri sera Royal Mail valeva 593 pence per azione, l'80 % in più del prezzo di collocamento.

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Se con la privatizzazione del 60% il Tesoro ha incassato 3,3 miliardi di pound è facile immaginare quanto abbia lasciato nei portafogli dei sottoscrittori. Una cifra con troppi zeri secondo l'opposizione laburista che non si stanca di contestare un'operazione zavorrata dal sospetto di essere stata solo una manovra per accontentare gli elettori, ridando lustro al palmares di partito anti-Stato che i Tory rivendicano da sempre. Privatizzazione politica, dice quindi il Labour party puntando il dito contro David Cameron accusato di aver scelto una dubbia scorciatoia per riguadagnare consenso popolare ai danni delle casse del Tesoro. Accuse che il governo, ovviamente, rimanda al mittente.

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Querelle a parte, Royal Mail è stata la maggiore Ipo dell'anno in Gran Bretagna e ha premiato prevalentemente i microazionisti. Il 33% dei titoli disponibili è stato dato ai cittadini, il 67% agli investitori istituzionali, ma fra i privati sono stati considerati i più piccoli e... meno ingordi. Per gestire una domanda sette volte superiore al previsto, il governo di Sua Maestà, ha accolto la richiesta di chi aveva prenotato pezzature minime, ovvero pacchetti da 750 sterline.

Chi, invece, aveva cercato di mettere le mani su quantitativi più consistenti di titoli, oltre le 10 mila sterline, è stato del tutto eliminato dalla ripartizione.

Il successo della privatizzazione di Royal Mail è stato, dunque, clamoroso, in linea con la ipo di British Telecom che fu seconda solo al fenomeno irripetibile di British Gas. Una svolta storica che, al di là delle polemiche, ha avuto un significato preciso: ridare ai contribuenti britannici un'opportunità di guadagno dopo gli sforzi richiesti per sostenere l'economia. Esperimento da ripetere, se è vero che Londra ha raddoppiato gli obbiettivi che si era data e immagina ora di incassare almeno 20 miliardi di sterline nei prossimi sei anni grazie al collocamento sul mercato di una lunga lista di asset pubblici.

 

 

 

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