“PRONTO GIORGIO? SONO DRAGHI. RESTA A BORDO, CAZZO”

Federico Fubini per il "Corriere della Sera"

Improbabile che il capo dello Stato fosse sorpreso, quando ieri mattina gli hanno detto che Mario Draghi lo stava cercando al telefono. Fra Giorgio Napolitano e il presidente della Bce esiste una consuetudine almeno dai tempi in cui questi guidava la Banca d'Italia. È stato piuttosto il senso della conversazione a indurre l'inquilino del Quirinale, più che a un moto di stupore, a riflettere ancora una volta a fondo.

Draghi ha telefonato a Napolitano quasi d'istinto, appena letti i giornali. Il presidente della Bce aveva passato gli ultimi giorni immerso nella saga di Cipro, il suo dramma bancario, le sforbiciate sui depositi, i limiti al movimento dei capitali che oggi minacciano di diventare la prima vera crepa nell'euro proprio mentre l'Italia avanza nella recessione. Lo spazio mentale per seguire la tortuosa crisi di governo romana non era stato molto.

Ma ora la prospettiva di dimissioni del capo dello Stato era troppo seria. Draghi ha preso il telefono e ha espresso a Napolitano il suo pensiero, senza remore. Tutto per lui ruota attorno a un punto: bisogna evitare di rendere il Paese del tutto acefalo, con un governo dimissionario, un parlamento incapace di esprimere una maggioranza e ora anche un capo dello Stato che lascia. Gli investitori italiani ed esteri che ogni settimana finanziano il Tesoro, le banche e le aziende del Paese, non avrebbero capito: la reazione martedì, alla riapertura degli scambi, poteva essere molto pesante.

Draghi a Napolitano ha detto che gli investitori esteri non conoscono e probabilmente non hanno neppure tempo di capire il concetto di «semestre bianco», il periodo in cui un presidente a fine mandato non può sciogliere le Camere. Se Napolitano si fosse dimesso per permettere al successore di convocare subito nuove elezioni, il messaggio all'esterno sarebbe stato che la nave ha perso il suo ultimo timoniere.

L'Italia non se lo può permettere, oggi meno che mai: le imprese chiudono, il debito e la disoccupazione continuano a salire, la ripresa non è neppure all'orizzonte. Qui Draghi, per consuetudine dell'Eurotower, è passato all'inglese. Se i partiti non capiscono i rischi e continuano a rifiutarsi di lavorare assieme, ha detto il banchiere centrale, è un segno del loro «state of denial». Denial, rimozione: significa avere davanti un problema colossale - il dramma che tocca milioni di italiani - e fingere anche a se stessi di non vederlo, magari per non doversi prendere la responsabilità di fare davvero qualcosa.

Non è stata un'ingerenza quella di Draghi, anche perché a lui e al capo dello Stato sono bastate poche parole per intendersi. Ma è probabile che il presidente della Bce abbia preso l'iniziativa perché ha ben presente l'impatto che il voto e lo stallo politico a Roma stanno avendo anche sugli altri governi europei e in Germania. Per esempio, negli ultimi tempi, il tedesco Wolfgang Schäuble avrebbe offerto in privato alcune notazioni.

Il ministro delle Finanze di Berlino avrebbe detto che bisogna prendere atto che gli italiani con il voto hanno espresso il loro parere. E visto da Berlino, il messaggio è che i numeri contano più delle sfumature verbali così diffuse nei palazzi romani. Se si sommano i voti del centrodestra a quelli di M5S, l'impressione in Germania è che una maggioranza di elettori si opponga alle politiche che Merkel ritiene necessarie perché l'Italia resti un socio responsabile dell'euro.

La svolta di Berlino per l'intransigenza, evidente con la crisi di Cipro, si spiega anche così. Il sistema politico tedesco affronta le elezioni a settembre ed è nel momento peggiore per offrire sconti e concessioni. Allo stesso tempo, Merkel deve aver tirato le somme di quella che lei stessa percepiva come la sua linea del compromesso verso i Paesi indebitati.

L'estate scorsa il suo silenzio ha creato lo spazio politico perché Mario Draghi potesse stabilizzare i mercati stabilendo l'opzione degli interventi Bce. Per la cancelliera è stato un costo politico: solo una certa fiducia nella direzione che avrebbe preso l'Italia l'aveva reso accettabile, ma ora i conti non le tornano. Dopo il voto di febbraio, per Merkel la linea del compromesso presenta ormai rendimenti decrescenti e rischi sempre più chiari.

Si capisce così la seconda osservazione che Schäuble avrebbe mosso di recente sull'Italia: a suo parere gli italiani sono più ricchi dei tedeschi, quindi se servirà si potranno salvare da soli. Questa è ormai la linea tedesca, quella che il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem è stato così maldestro da rendere esplicita. Secondo Berlino, non può esserci sostegno europeo all'Italia senza un contributo sostanziale dei risparmiatori del Paese, probabilmente sotto forma di una patrimoniale.

Conta poco qui che siano discutibili i dati della Bundesbank su cui Schäuble basa le sue stime, perché il punto è politico: in questa stagione postelettorale in Italia e preelettorale in Germania, la pazienza a Berlino è in quantità sempre più scarse. Si è arrivati a questa fase senza unione bancaria europea, senza garanzie comuni sui depositi, senza meccanismi condivisi di gestione delle crisi bancarie. E le condizioni che oggi la Germania porrebbe perché l'Italia acceda all'aiuto Bce sono tali che questo appare sempre meno verosimile.

Così la crisi europea, da finanziaria, è diventata politica. Dunque grave, ma reversibile. Purché gli italiani dimostrino che sono europei a parte intera, moneta inclusa, gli elettori di Merkel anche. E i partiti escano dal denial che li spinge a scalpitare per una poltrona in prima classe sul Titanic.

 

GIORGIO NAPOLITANO E MARIO DRAGHICLIO NAPOLITANO MARIO DRAGHI E SIGNORA NAPOLITANO VISCO DRAGHI napolitano draghi NAPOLITANO DRAGHI LAGARDE E SCHAUBLE Draghi e SchaeubleDraghi, Merkel e Monti ITALIA COMMISSARIATA - MONTI GRILLI DRAGHI MERKEL LAGARDE VAN ROMPUYJeroen Dijsselbloem

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?