QUIRINALOTTO – RODOTÀ, IL PROFETA DEI DIRITTI CHE QUANDO RENZI AVEVA QUATTRO ANNI ERA GIÀ DEPUTATO – QUALCUNO LO VOTERÀ ANCHE QUESTA VOLTA PERCHÉ PIACE ALLA SINISTRA RADICAL CHIC E AI DEBENEDETTINI DI LIBERTÀ E GIUSTIZIA

Luca Fazzo per “il Giornale”

stefano rodotastefano rodota

 

Una pensione di cinquemila euro per quindici anni di lavoro: nei privilegi della Casta, anche il professor Stefano Rodotà ci sta calato appieno, senza che questo sminuisca il suo prestigio, l' appeal , il carisma, l'integrità che ne fanno l'eterno candidato alla presidenza della Repubblica di quel pezzo d'Italia che sta tra il radical chic, gli orfani del comunismo e i talebani di Libertà & Giustizia.

 

D'altronde se l'autostima e un certo sussiego sono requisiti fondamentali per diventare presidente della Repubblica, era inevitabile che in questi giorni in cui impazza il toto Quirinale tra i nomi più gettonati tornasse a spiccare quello di Rodotà, tra endorsement di corrente ed entusiasmi via Facebook: anche se Giancarlo Magalli, presentatore televisivo, ha mille sostenitori più di lui sul social network, e addirittura ottomila in più nel sondaggio del Fatto quotidiano (ma la Rete, si sa, ha anche un'anima goliardica).

RODOTA  RODOTA

 

Così c'è da stare sicuri che durante il conclave che si apre a Montecitorio il prossimo giovedì, tra le schede che Laura Boldrini scrutinerà in diretta tv il voto «Rodotà» echeggerà più volte: a conferma del fascino che l'austera figura di civil servant del professore calabrese continua a esercitare, ma anche di una certa difficoltà della politica a partorire nomi nuovi.

 

Nome nuovo, indubbiamente, Rodotà non lo è: per dare un'idea, quando lui sbarcò per la prima volta a Montecitorio, nel 1979, Matteo Renzi aveva quattro anni. D'altronde il professore viaggia ormai verso l'ottantaduesimo compleanno, e sulla sua età non verdissima Beppe Grillo si espresse in modo impietoso nel 2013, appena due mesi dopo averlo candidato al Quirinale: «Ottuagenario miracolato dalla Rete», lo definì. In realtà, dal voto via internet Stefano Rodotà era stato miracolato solo in parte, perché nei sondaggi si era piazzato appena al terzo posto, dopo Milena Gabanelli e Gino Strada, e i 5 Stelle lanciarono la sua candidatura solo perché i primi due si erano defilati.

PIPPO CIVATI E STEFANO RODOTAPIPPO CIVATI E STEFANO RODOTA

 

Rodotà accettò di buon grado il ruolo di candidato di ripiego, in Parlamento incassò voti anche da Sel e da parte del Pd, salì fino a quota 250, insomma un pensierino al Colle ce lo fece. Poi finì come finì. Quando di lì a poco Grillo lo prese a male parole, Rodotà se ne risentì, prima disse «non rispondo», poi ci ripensò e rispose con una intervista all' Unità. «Gli insulti? Inaccettabili, visto il mio tentativo di dare un contributo». E ribadì: «Quel che mi sta a cuore è la coerenza delle mie idee».

 

grillo su rodota e bersani grillo su rodota e bersani

La coerenza innanzitutto: Rodotà è fatto così, non si concede il beneficio del dubbio, e un suo ripensamento è più improbabile di un suo sorriso. Fermamente convinto di essere dalla parte della ragione, è passato attraverso la militanza radicale, la Sinistra indipendente, il Pds, il Pd: un politico di lungo corso, ma sempre con l'aria di chi sta un passo di lato alla mischia e un metro sopra alle miserie del Palazzo.

 

Alla politica ha indubbiamente dato tanto, ma parecchio ha anche ricevuto. È stato deputato ininterrottamente dal 1979 al 1994, e queste quattro legislature (anche se l'ultima durò assai poco) gli garantiscono oggi una serena vecchiaia, visto che incassa ogni mese una pensione di 4.992 euro netti. Ma dal punto di vista economico le prebende maggiori le ha avute quando ha coronato il suo sogno di diventare il primo Garante per la privacy: posto che riteneva spettargli di diritto, visto che proprio lui si era battuto perché l'Italia si dotasse di un'autorità che vigilasse contro le intrusioni del Grande Fratello.

6ar 17 st rodota wa pedulla6ar 17 st rodota wa pedulla

 

Il 31 dicembre 1996 venne istituita l'authority, pochi giorni dopo il governo Prodi nominò Rodotà al vertice dell'ente, una carica prestigiosa e ben retribuita: al Garante toccava lo stesso stipendio del primo presidente della Cassazione, ovvero il funzionario pubblico più pagato d'Italia. Andare al di sopra del presidente non si poteva, Rodotà ottenne di arrivare almeno alla pari: 284 milioni di lire all'anno. Rimase all'Authority otto anni.

 

I suoi successori se la passarono peggio, perché la parità con la Cassazione si erose un po' per volta, tanto che l'anno scorso il Garante Soro si è dovuto «accontentare» di 240mila euro, mentre il primo presidente degli ermellini saliva fino alla mirabolante quota di 311mila.

 

8amf05 stefano rodota mo8amf05 stefano rodota mo

Ma ben più che sul fronte economico, la guida dell'Authority ha reso a Rodotà in termini di potere e di prestigio. Sotto la sua guida, il Garante si è trasformato in un cane da guardia pronto a intervenire ogni qualvolta il bene supremo della riservatezza degli italiani è stato messo a rischio, una lotta senza quartiere che dalla giusta difesa dell'intimità dei cittadini è diventata una sorta di ossessione, un tormentone che insieme ai milioni di grotteschi moduli che firmiamo senza leggerli ha avuto conseguenze assai più concrete: come quando in nome della privacy sono state pesantemente limitate le banche dati delle compagnie telefoniche, creando gravi difficoltà nella lotta al crimine.

 

I moniti del Garante, sotto la guida di Rodotà, sono diventati un ritornello che ha condizionato la vita degli italiani negli aspetti più disparati, dalle code all'Asl ai tabelloni delle pagelle.

 

Stefano Rodota Stefano Rodota

Il diritto alla privacy, d'altronde, per Rodotà è solo uno dei tanti diritti che gli italiani si vedrebbero negare quotidianamente. E per i diritti il professore ha una sorta di venerazione. Che accanto ai diritti esista la categoria - anch'essa sancita dalla Costituzione - dei doveri, e che agli italiani spesso scarseggi più il senso del dovere che la coscienza dei diritti, a Rodotà non sembra risultare. Sulla teorizzazione, quasi sulla santificazione dei diritti ha costruito una carriera e ha prodotto un intero scaffale di libri, «Libertà e diritti», «Elogio del moralismo», «Il terribile diritto», e via di questo passo, fino a «Il diritto di avere diritti».

 

L'ultima sua fatica, «Solidarietà, un'utopia necessaria» (pubblicato da Laterza, di cui Rodotà è anche consigliere d'amministrazione: praticamente, un caso di self publishing ) casualmente non ha nel titolo la parola «diritti», ma di fatto picchia anch'esso sempre sullo stesso tasto.

 

Stefano RodotàStefano Rodotà

Anche davanti alla strage di Parigi, Rodotà - lo ha scritto il 15 gennaio su Repubblica -si è preoccupato che per dare la caccia ai terroristi si rischi «lo sbaraccamento della tutela della privacy», ha messo in guardia contro la «pesca con lo strascico di masse di dati» e se l'è presa con le «ingannevoli rassicurazioni dell'opinione pubblica con restrizioni di diritti, alla prova dei fatti inutili e pericolose». Diritti, diritti, diritti: se mai approdasse al Quirinale, nel suo discorso di fine anno si può stare certi che non parlerebbe d'altro.

 

Ultimi Dagoreport

ravello greta garbo humphrey bogart truman capote

DAGOREPORT: RAVELLO NIGHTS! LE TROMBATE ETERO DI GRETA GARBO, LE VACANZE LESBO DI VIRGINIA WOOLF, RICHARD WAGNER CHE S'INVENTA IL “PARSIFAL'', D.H. LAWRENCE CHE BUTTA GIU’ L'INCANDESCENTE “L’AMANTE DI LADY CHATTERLEY’’, I BAGORDI DI GORE VIDAL, JACKIE KENNEDY E GIANNI AGNELLI - UN DELIRIO ASSOLUTO CHE TOCCO’ IL CLIMAX NEL 1953 DURANTE LE RIPRESE DE “IL TESORO D’AFRICA” DI JOHN HUSTON, SCENEGGIATO DA TRUMAN CAPOTE, CON GINA LOLLOBRIGIDA E HUMPHREY BOGART (CHE IN UN CRASH D’AUTO PERSE I DENTI E VENNE DOPPIATO DA PETER SELLERS). SE ROBERT CAPA (SCORTATO DA INGRID BERGMAN) SCATTAVA LE FOTO SUL SET, A FARE CIAK CI PENSAVA STEPHEN SONDHEIM, FUTURO RE DI BROADWAY – L’EFFEMMINATO CAPOTE CHE SI RIVELÒ UN BULLDOG BATTENDO A BRACCIO DI FERRO IL “DURO” BOGART - HUSTON E BOGEY, SBRONZI DI GIORNO E UBRIACHI FRADICI LA NOTTE, SALVATI DAL CIUCCIO-TAXI DEL RISTORANTE ‘’CUMPÀ COSIMO’’ - QUANDO CAPOTE BECCÒ IL RE D’EGITTO FARUK CHE BALLAVA ALLE 6 DEL MATTINO L’HULA-HULA NELLA CAMERA DA LETTO DI BOGART… - VIDEO + FILM

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni antonio tajani quirinale alfredo mantovano

DAGOREPORT - NON CI SARÀ ALCUNA ROTTURA TRA MARINA E PIER SILVIO: NONOSTANTE LA NETTA CONTRARIETÀ ALLA DISCESA IN POLITICA DEL FRATELLINO, SE DECIDESSE, UN GIORNO, DI PRENDERE LE REDINI DI FORZA ITALIA, LEI LO SOSTERRÀ. E L’INCONTRO CON LA CAVALIERA, SOLLECITATO DA UN ANTONIO TAJANI IN STATO DI CHOC PER LE LEGNATE RICEVUTE DA UN PIER SILVIO CARICATO A PALLETTONI, È SALTATO – LA MOLLA CHE FA VENIRE VOGLIA DI EMULARE LE GESTA DI PAPI E DI ‘’LICENZIARE’’ IL VERTICE DI FORZA ITALIA È SALTATA QUANDO IL PRINCIPE DEL BISCIONE HA SCOPERTO IL SEGRETO DI PULCINELLA: TAJANI SOGNA DI DIVENTARE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEL 2029, INTORTATO DA GIORGIA MELONI CHE HA PROMESSO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA. UN SOGNO DESTINATO A SVANIRE QUANDO L’EX MONARCHICO SI RITROVERÀ COME CANDIDATO AL QUIRINALE UN ALTRO NOME CHE CIRCOLA NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, QUELLO DI ALFREDO MANTOVANO…

giorgia meloni alfredo mantovano francesco lollobrigida carlo nordio andrea giambruno

DAGOREPORT - NON SI PUO' DAVVERO MAI STARE TRANQUILLI: MANTOVANO, IL SAVONAROLA DI PALAZZO CHIGI – D'ACCORDO CON GIORGIA MELONI, PRESA LA BACCHETTA DEL FUSTIGATORE DI OGNI FONTE DI ''DISSOLUTEZZA'' E DI ''DEPRAVAZIONE'' SI È MESSO IN TESTA DI DETTARE L’ORTODOSSIA MORALE  NON SOLO NEL PARTITO E NEL GOVERNO, MA ANCHE SCONFINANDO NEL ''DEEP STATE''. E CHI SGARRA, FINISCE INCENERITO SUL "ROGO DELLE VANITÀ" - UN CODICE ETICO CHE NON POTEVA NON SCONTRARSI CON LA VIVACITÀ CAZZONA DI ALCUNI MELONIANI DI COMPLEMENTO: CI SAREBBE LO SGUARDO MORALIZZATORE DI MANTOVANO A FAR PRECIPITARE NEL CONO D’OMBRA PRIMA ANDREA GIAMBRUNO E POI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA – IL PIO SOTTOSEGRETARIO PERÒ NON DORME SONNI TRANQUILLI: A TURBARLI, IL CASO ALMASRI E IL TURBOLENTO RAPPORTO CON I MAGISTRATI, MARTELLATI A TUTTA CALLARA DA RIFORME E PROCURE ALLA FIAMMA...

pier silvio berlusconi silvia toffanin

L’IMPRESA PIÙ ARDUA DI PIER SILVIO BERLUSCONI: TRASFORMARE SILVIA TOFFANIN IN UNA STAR DA PRIMA SERATA - ARCHIVIATA LA FAVOLETTA DELLA COMPAGNA RESTIA ALLE GRANDI OCCASIONI, PIER DUDI HA AFFIDATO ALL'EX LETTERINA DELLE SUCCULENTI PRIME SERATE: OLTRE A “THIS IS ME”, CON FASCINO E MARIA DE FILIPPI A MUOVERE I FILI E SALVARE LA BARACCA, C'E' “VERISSIMO” CHE OCCUPERÀ TRE/QUATTRO PRIME SERATE NELLA PRIMAVERA 2026. IL PROGRAMMA SARÀ PRODOTTO DA RTI E VIDEONEWS CON L’OK DELLA FASCINO A USARE LO “STUDIO-SCATOLA" UTILIZZATA DA MAURIZIO COSTANZO NEL FORMAT “L’INTERVISTA” - COSA C'E' DIETRO ALLE MANOVRE DI PIER SILVIO: E' LA TOFFANIN A COLTIVARE L'AMBIZIONE DI DIVENTARE LA NUOVA DIVA DI CANALE 5 (CON I CONSIGLI DELLA REGINA DE FILIPPI) O È LA VOLONTÀ DEL COMPAGNO DI INCORONARLA A TUTTI I COSTI, COME UN MIX DI LILLI GRUBER E MARA VENIER? 

wang

DAGOREPORT - CICLONE WANG SUL FESTIVAL DI RAVELLO! - PERCHÉ NEGARLO? E' COME VEDERE GIORGIA MELONI COL FAZZOLETTO ROSSO AL COLLO E ISCRITTA ALL’ASSOCIAZIONE DEI PARTIGIANI - YUJA WANG, LA STELLA PIU' LUMINOSA DEL PIANISMO CLASSICO, ENTRA IN SCENA STRIZZATA IN UN VESTITINO DI PAILLETTES CHE SCOPRE LE COSCE FINO ALL'INGUINE, TACCHI “ASSASSINI” E LA SCHIENA NUDA FINO ALL’OSSO SACRO. MA NON STIAMO ASSISTENDO ALLE SCIOCCHEZZE DA DISCOTECA DI CERTE “ZOCCOLETTE” DEL POP IN PREDA A SFOGHI DI TETTE, SCARICHI DI SEDERONI, SCONCEZZE DA VESPASIANO; NO, SIAMO NEL MONDO AUSTERO E SEVERO DEI CONCERTI DI “CLASSICA”: RACHMANINOFF, PROKOFIEV, MOZART, CHOPIN, CAJKOVSKIJ. MA ALLA WANG BASTA UN MINUTO PER FAR “SUONARE” LE COSCE DESNUDE METTENDOLE AL SERVIZIO DELLE EMOZIONI E DELL’INTERPRETAZIONE MUSICALE, CONFERMANDO IN PIENO LE PAROLE DI LUDWIG VON BEETHOVEN: “LA MUSICA È LA MEDIATRICE TRA LA VITA SPIRITUALE E LA VITA SENSUALE” - VIDEO