TI SPIO, TI DEQUALIFICO E POI TI CACCIO: COME CAMBIA IL LAVORO AL TEMPO DEL JOBS ACT - PER UN IMPRENDITORE SARÀ PIÙ FACILE TENERE SOTTO SCACCO I DIPENDENTI E COSTRINGERLI AD ACCETTARE TAGLI E CAMBI DI FUNZIONI

Il ddl delega sul lavoro diventerà legge la prossima settimana - Dal controllo a distanza al declassamento fino al licenziamento (e riassunzione a metà stipendio): addio ai privilegi per i lavoratori...

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Marco Palombi per il “Fatto quotidiano

 

GIULIANO POLETTI IN SENATO FOTO LAPRESSE GIULIANO POLETTI IN SENATO FOTO LAPRESSE

E io contavo i denti ai francobolli, dicevo grazie a dio, buon natale”. A differenza dell’impiegato di Fabrizio De André, questa storia non inizia col maggio francese e non finisce con la bomba che debutta in società: questa è la storia di un impiegato nel mondo della Leopolda, quello in cui il Jobs Act è il nuovo Statuto dei lavoratori, una storia di quando il futuro sarà il presente. Avvertimento preliminare: tutto quello che verrà raccontato è coerente con le disposizioni del ddl delega sul lavoro che diventerà legge la prossima settimana.

 

SUL LUOGO DI LAVORO STALIN NON TI VEDE, L’IMPRENDITORE SÌ

Milano. Anno decimo dell’era renziana del mercato del lavoro. Interno giorno. Un classico ufficio, tre postazioni di lavoro, una grande finestra, è l'ora di pranzo e un uomo solo guarda verso l’esterno.

 

È Carlo G., laurea in Economia e Commercio, 45 anni, impiegato da sette alla XXX SPA, media società che fornisce servizi logistici, sposato , due figlie. Carlo G. è un amministrativo e si occupa di preparare le buste paga: da contratto lavora sette ore e 12 minuti al giorno, che poi nella realtà sono spesso più di otto, guadagna 1.950 euro netti al mese, non è iscritto a nessun sindacato e non s’è mai lamentato, i suoi capi lo apprezzano.

 

Oggi, però, l’impiegato Carlo G. è preoccupato. Gli è arrivata una email dalla direzione: “Stante che un Dpcm del 2015 (governo Renzi) ci autorizza a utilizzare forme di controllo a distanza sui dispositivi aziendali, questa direzione è qui a chiederle informazioni sul suo comportamento del 15 novembre u.s.

RENZI POLETTI RENZI POLETTI

 

Dai dati raccolti sul suo Pc risulta infatti che le operazioni di compilazione delle buste paga siano state interrotte senza apparente motivo tra le ore 15:12 e le ore 16:03. Come risulta inoltre dalla telecamera puntata sulla sua postazione – e non su di lei, ovviamente, come prescrive il Dpcm citato – lei si è assentato dalla postazione non solo in quel lasso di tempo, ma anche per mezz’ora nel pomeriggio di due giorni dopo”.

 

Carlo G. suda freddo e ricorda. Nel primo caso era dovuto correre a prendere la bambina a scuola senza aver tempo di avvisare nessuno; la seconda era stato colto da una fastidiosa indigestione: “Mandare quelle spiegazioni al direttore sarà un po’ imbarazzante, persino un po’ indecoroso, ma mica posso perdere il lavoro per vergogna...”.

 

COSA NON CAPIVO QUANDO SI PARLAVA DI DEMANSIONAMENTO

Interno giorno. Mattina. Sono passati quasi due mesi. È gennaio e l’incidente delle assenze ingiustificate è passato senza lasciare traccia. O almeno così pare. Il capo del settore amministrativo è nell’ufficio e sta spiegando le novità a un attonito Carlo G.:

 

“L’azienda ha deciso di riorganizzare i propri assetti interni e così l’amministrativo verrà fuso col commerciale per realizzare economie di scala ed evitare lungaggini e inutili duplicazioni di funzioni. Purtroppo, caro G., la sua posizione non è più disponibile e dunque lei in futuro si occuperà di alcune esigenze operative dell’ufficio”. “Cioè?”.

RENZI POLETTI RENZI POLETTI

 

“Qualunque cosa serva: dal fare le fotocopie al distribuire la posta fino a occuparsi di qualche pratica all'esterno”. “Ma io sono laureato, sono inquadrato in una categoria più alta e ci sono almeno tre postazioni libere del mio livello... Voi non potete...”.

 

“In realtà possiamo eccome: se lo ricorda il Jobs Act? Ovviamente, se lei volesse privarci del suo contributo ne saremmo addolorati, ma è un suo diritto e sui diritti non si scherza, per carità...”.

 

ADDIO AI PRIVILEGI: IL NIENTE CHE RESTA DELL’ARTICOLO 18

Alla fine Carlo G. non si è dimesso, ma ad aprile è depresso, svogliato, tormentato da piccoli malanni. Ormai la riorganizzazione è completata e lui, dal colletto bianco con buone speranze di carriera che era, si ritrova galoppino dei suoi ex colleghi. L’unica cosa buona è che almeno ha mantenuto lo stipendio: cioè quasi, qualche indennità di responsabilità in meno gli ha tolto quasi 80 euro netti al mese.

 

RENZI POLETTI RENZI POLETTI

Oggi l’ha chiamato il capo del personale: “Vede G., noi siamo come una famiglia, ma la crisi economica e la competizione internazionale ci costringono a essere molto attenti ai costi, anche a quello del lavoro. E qui veniamo a lei, caro G.: lei ultimamente è svogliato, dal dispositivo Gps del suo telefonino aziendale risulta che quando esce per servizi esterni si attarda senza motivo al bar dall’altra parte della strada.

 

E poi, vede, un dipendente che svolge il suo lavoro guadagna netti 1.300 euro, lei sfiora i 1.900. Capisce che per noi non è razionale, quindi avremmo deciso di fare a meno dei suoi servigi...”. “Ma come? Mi licenziate su due piedi per una pausa di dieci minuti al bar? Ma voi non potete...”. “In realtà possiamo. Anzi no: per caso lei è gay?”. “No”. “Allora non può neanche accusarci di discriminazione, possiamo: si ricorda il Jobs Act? Per legge le dobbiamo solo un indennizzo”.

 

COM’È DI SINISTRA IL SALARIO MINIMO. OPPURE NO?

Milano. Esterno giorno. Agosto. Carlo G. s’avvia al lavoro: è presto ma vuole arrivare mezz’ora prima dell’inizio. Da un paio di settimane l’hanno assunto in una ditta che lavora nell’indotto della XXX Spa, sempre settore della logistica: fa di nuovo il galoppino, solo che invece dei 1.900 euro che erano il suo stipendio prima e dei 1.300 che il Contratto nazionale prevede per quella posizione, ne guadagna 900.

FABRIZIO DE ANDRE FABRIZIO DE ANDRE

 

Quando ha provato a farlo notare al capo del personale, però, quello ha ritirato fuori il Jobs Act: “Se lo ricorda? La nostra associazione datoriale non ha firmato il rinnovo del Ccnl e quindi il Jobs Act ci consente di applicare il salario minimo stabilito per legge, che fa appunto 900 euro. Fortunato lei, anzi, l’hanno appena alzato di 50 centesimi l’ora...”.

 

E così Carlo G. si ritrova a guadagnare 900 euro, come quando faceva il cameriere per mantenersi all’università, ha paura di tutto, soprattutto delle telecamere che lo riprendono tutto il giorno, ma sta zitto perché almeno non è disoccupato. Il suo unico problema è quella strana parentela che sente tra le frasi “se lo ricorda il Jobs Act?” e “qui chi non terrorizza, si ammala di terrore” (De André).

 

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